Commercio
Volantinaggio, quando il caporalato è l’anima della pubblicità
Ecco la nuova puntata dell’inchiesta “I nuovi schiavi del Nord Italia“, dedicata alle attività di volantinaggio. Il lavoro, vincitore della prima edizione del premio #diPubblicoDominio, è frutto di uno sforzo congiunto di Marco Amendola (interviste, riprese e composizione video), di Fabrizio Annovi (infografiche) e di Alberto Crepaldi (testi e interviste).
Vengono scaricati da furgoncini alle prime luci dell’alba in vari punti delle nostre città. Lavorano, spesso anche per 12 ore continuative, almeno sei giorni su sette. Intascano, nella migliore delle ipotesi, 30 euro al giorno. Il guadagno mensile, attorno ai 400-600 euro, deve spesso anche servire per pagare l’alloggio messo a disposizione dal caporale di turno. Nella maggior parte dei casi, i protagonisti sono stranieri e in misura sempre più marginale studenti universitari. Parliamo dei lavoratori utilizzati per l’attività di volantinaggio di materiale pubblicitario della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e che riempie quasi ogni giorno le nostre buche delle lettere.
Non passa mese che, anche nel profondo Nord, casi di sfruttamento guadagnino la ribalta della stampa locale. Segno, questo, di un radicamento nelle modalità di inquadramento dei lavoratori addetti al volantinaggio – anche comunemente soprannominati “postini” – , fatto in spregio alle più elementari norme in materia contrattuale. E frequentemente governate da organizzazioni criminali con la consueta consulenza di colletti bianchi senza scrupoli. Come nel caso del giro di lavoro nero e sfruttamento fatto emergere dalla Guardia di Finanza altoatesina nei mesi scorsi, a seguito di oltre un anno e mezzo di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Vicenza.
“E la più grossa operazione mai condotta nel Norditalia – conferma il colonnello Gabriele Procucci, comandante della Guardia di Finanza di Bolzano – ma è solo la punta dell’iceberg di un sistema ampio e articolato, che purtroppo ha contaminato diversi settori”. Il caso messo sotto la lente dei riflettori da parte degli investigatori ha permesso di scoprire una raffinata organizzazione imprenditoriale e lavorativa fondata su vero e proprio caporalato: 41 lavoratori stranieri, prevalentemente pachistani, indiani e algerini, completamente senza contratto di lavoro, ogni giorno venivano trasportati e lasciati in diverse aree e comuni della Bassa Atesina, tra Bolzano e Trento, con il compito di infilare in decine di migliaia di buche delle lettere pubblicità di supermercati, centri commerciali, market dedicati al faidate. “L’aspetto sconvolgente di questa vicenda – preme a precisare Procucci – è che l’organizzazione aveva messo in piedi una sorveglianza degli spostamenti e delle consegne con GPS applicati alle biciclette, senza che il lavoratori ne fossero a conoscenza”. Grazie agli appostamenti degli uomini della Guardia di Finanza ed alle “confessioni” dei lavoratori sottoposti ad interrogatorio, è stato possibile rivelare le condizioni molto critiche nelle quali erano costretti ad operare: in sella a biciclette per lo più sgangherate e insicure, venivano sfruttati fino a tarda sera anche per 13-15 ore al giorno, sottoposti al controllo di un caposquadra ed a costanti minacce di essere licenziati o malmenati qualora si fossero anche solo sognati di denunciare alle Forze dell’Ordine i soprusi subiti. L’organizzazione era poi “multietnica”, composta di cinque persone di nazionalità indiana e da due italiani, per i quali sono stati formalizzati i capi di imputazione di «associazione per delinquere», «illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro» e «violazioni delle norme di sicurezza ed evasione fiscale». Indiano l’individuo che, con la complicità di un amministratore fiduciario fintosi iscritto all’Albo dei commercialisti e revisori contabili, aveva messo in piedi il sistema di volantinaggio in nero, fondato su una società con sede a Vicenza e regolarmente registrata, articolata poi in altre quattro ditte individuali e altrettante società per gestire al meglio la ramificazione dello sfruttamento in Trentino e nella parte meridionale della Provincia autonoma di Bolzano.
Ma chi ha potuto o dovuto accettare questa forma di schiavitù? Alcune persone hanno riferito agli uomini della Guardia di Finanza di avere domicilio nella Bassa Atesina o in Veneto. Ma la maggioranza è risultata senza fissa dimora, per lo più single, senza legami familiari in Italia e spesso costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie. Reclutati e spostati alla stessa stregua di pacchi postali, come ci ha raccontato Marco (nome di fantasia, ndr), una delle vittime dello sfruttamento, in varie zone del Norditalia a seconda dei servizi di distribuzione che dovevano essere effettuati.
Marco, poi, ci racconta di essere stato assoldato attraverso trafficanti internazionali: «Io ho pagato 5.000 euro per arrivare qui, dietro la rassicurazione di guadagnare almeno 1-1.500 euro al mese con un contratto regolare e che avrei avuto un aiuto per far arrivare i miei famigliari in Italia: in sei mesi, tolti i soldi che mi servono per vivere e pagare l’alloggio che condividevo con altri 5 colleghi, ho messo da parte 650 euro, lavorando sempre in nero…ogni volta che ricordavo le promesse fatte venivo minacciato di essere denunciato alle autorità e rispedito a casa». Il ricatto e la minaccia di essere denunciati è un gioco da ragazzi per i caporali, che come primo atto di riduzione in schiavitù, sequestrano i documenti dei malcapitati.
Quello scoperto dalla Guardia di Finanza di Bolzano è il caso più eclatante degli ultimi anni di caporalato nel settore del volantinaggio. Ma nelle stesse settimane, sempre la Guardia di Finanza, stavolta a Cesena, ha fatto luce su un’organizzazione sospettata di sfruttare lavoratori, di nazionalità per lo più pachistana, che distribuiva volantini pubblicitari in diverse province dell’Emilia Romagna. Anche in questo caso, i lavoratori erano completamente in nero, la paga era da fame (5 euro ogni mille volantini distribuiti), le condizioni di lavoro erano molto precarie ed il tutto era stato messo in piedi di tre individui di nazionalità pachistana che avevano costituito delle società individuali di comodo. A monte di questa organizzazione, secondo quanto è trapelato dalle indagini, c’era una serie di imprese del riminese che ottenevano le commesse dai grandi marchi e poi subappaltavano il lavoro alle ditte individuali dei pachistani. A rendere il quadro ancora più grave, il fatto che i lavoratori sfruttati erano costretti a vivere in pessime condizioni igienico-sanitarie, in un’abitazione locata dai “caporali” per la quale pagavano tra i 100 ed i 200 euro al mese a persona. Come i lavoratori sfruttati in Trentino Alto Adige, anche quelli di Cesena erano sottoposti illecitamente a continua sorveglianza attraverso sistemi di localizzazione satellitare, che ne monitoravano tutti gli spostamenti effettuati.
Da Cesena a Modena la musica non cambia. Proprio nelle scorse settimane, a Formigine, un piccolo comune in provincia di Modena, è stata portata a termine un’importante operazione della locale Polizia Municipale, che ha permesso di fare luce sulle nuove frontiere dello sfruttamento di lavoratori addetti al volantinaggio. In questo caso, infatti, erano richiedenti asilo – una ventina provenienti da Senegal, Pakistan, Gambia e Burkina Faso – , ad essere utilizzati per distribuire volantini porta a porta dietro un pagamento medio al giorno di 15 euro. Gli sfruttati, due dei quali abbiamo incontrato e che a stento si fanno comprendere in un italiano molto approssimativo, hanno alluso ad un film tristemente noto. Fatto di arruolamento da parte di presunti caporali, accompagnamento nelle zone di distribuzione con un furgone, dove erano pure caricate le biciclette assegnate. Il tutto condito da condizioni di vita molto penalizzanti, assenza di fissa dimora, malnutrizione, carenza di relazioni sociali.
Numeri sullo sfruttamento di lavoratori nel volantinaggio non esistono, perché il settore, anche per via del suo ridotto contributo al Pil nazionale, non è mai stato oggetto di studi ed analisi approfonditi. “Ci sono invece – conferma Procucci – stime ricavabili dai materiali parlamentari elaborati nel corso dell’iter di approvazione della legge 199 del 2016 sulla base di rapporti della Flai-Cgil: sarebbero oltre 400 mila le persone sottoposte a rischio di ingaggio sotto caporale e di questi oltre 130 mila si troverebbero in una situazione di grave vulnerabilità sociale”.
Il nuovo quadro normativo venutosi a configurare con l’approvazione della Legge 199, a detta del colonnello Procucci, potrebbe offrire strumenti più efficaci nella lotta al caporalato. “Innanzitutto – puntualizza l’ufficiale della Gdf – ha modificato l’articolo 603 bis del codice penale in alcune parti fondamentali ed oggi perché si possa parlare di sfruttamento si può prescindere dalla constatazione di condotte violente, minacciose e intimidatorie perché sono sufficienti l’utilizzo e il fatto di approfittarsi delle condizioni di bisogno del lavoratore. L’altro aspetto significativo è dato dal fatto che non vengono più colpiti solo gli intermediari, ma anche i datori di lavoro che pongono in essere lo sfruttamento. E infine la legge ci agevola operativamente avendo modificato sostanzialmente gli indici di sfruttamento: nella precedente normativa si parlavo di condotte e violazioni sistematiche su orario, periodi di riposo o di aspettativa, ferie, norme sui contratti di lavoro, mentre la nuova norma parla di mera reiterazione ed è dunque sufficiente che la violazione avvenga due o tre volte”.
Vedremo, insomma, se l’ottimismo, seppur cauto, dell’alto rappresentante della Guardia di Finanza verrà suffragato dai fatti.
Proprio mentre usciamo dal comando della Guardia di Finanza altoatesino ci imbattiamo in un “postino”, che su un carrello portavalige ha un carico di centinaia di volantini: sono le promozioni natalizie dei principali supermercati della zona. La mattina seguente chiamiamo un attore della GDO che a Bolzano ha diversi market per capire come funzioni la distribuzione dei propri materiali pubblicitari: gentilmente ci viene spiegato che il servizio è affidato a società che offrono un pacchetto tutto incluso. Nessun dubbio, nel nostro interlocutore, che nel pacchetto possa essere incluso lo sfruttamento, o addirittura la schiavitù.
@albcrepaldi
@amendolamarco
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