Commercio
Voi, che perculate Di Maio: andate a lavorare il 26 dicembre. Poi twittate
Non avrei mai pensato di scrivere un post a difesa di Di Maio. Perché dalla politica (o dal feticcio della politica) ormai cerco di stare alla larga.
Ma oggi, scorrendo stancamente i wall (si chiamano così?) dei social network che frequento, sono rimasto sorpreso. Da cosa? Dalla quantità di amici e compagni “democratici” impegnati a fare sarcasmo su quanto il candidato premier del M5S ha detto circa l’insensatezza di aprire negozi e centri commerciali per le festività. Io da chi si dice “progressista”, rispetto a questo tema che coinvolge gioco forza il lavoro e una certa idea di società, non mi aspetterei sarcasmo ma, al contrario, riflessione.
Perché la questione, a mio avviso, merita attenzione o – quanto meno – volontà di comprensione. Di Maio – ma prima di lui molti altri politici (ho sentito con le mie orecchie poco più di una settimana fa al Brains Day de Gli Stati Generali il Sindaco di Milano Beppe Sala dire sagge parole sulle città “che devono prendersi anche delle pause”) e in alcuni casi ben più autorevoli personalità – non ha detto che nei giorni di festa non si debba lavorare in assoluto ma che “i negozi”, le attività commerciali, dovrebbero restare chiuse.
Un liberista o liberale che dir si voglia che prenda in giro questa cosa non mi toccherebbe minimamente; sarebbe coerente con ciò in cui crede. Ma da chi si colloca, almeno nominalmente, in un’area progressista, queste spallucce fatte di spocchia pseudo modernista, non le trangugio.
Perché l’altro giorno, quando una gentile commessa da cui avevo appena comprato un regalo di Natale mi ha detto “Per qualsiasi problema ha un mese per il cambio ma noi il 26 (dicembre) siamo qui!”, ho provato un profondo e umano sentimento di compassione per quella lavoratrice che – suo malgrado – si trovava obbligata a lavorare in un giorno in cui, chi non fa lavori “essenziali”, festeggia e riposa. Bene, in quel momento ho fatto lo stesso identico pensiero di Di Maio: che senso ha che un negozio apra il 26 dicembre?
E, si badi bene, questo pensiero non l’ho fatto essendo “cattolico” o “commerciante” (si legga Repubblica di oggi che dice “Di Maio strizza l’occhio a cattolici e Confcommercio”) ma solo sentendomi ancora dotato di una coscienza empatica.
Personalmente il tenere aperte attività non essenziali e non a gestione familiare (un imprenditore o un lavoratore autonomo del suo tempo fa quel che gli pare) in giorni di festa radicati nell’identità popolare e culturale di un Paese mi pare davvero un altro passo verso il nonsenso in cui già dimoriamo.
Anche perché, in fondo, a me uno che va per negozi il 26 dicembre non pare stia molto bene.
Per finire: se dovessi guardare, da populista qual son sempre stato, a nuove categorie di proletariato da difendere ed emancipare, guarderei a queste lavoratrici e lavoratori, spesso sfruttati, a cui si coarta non solo il tempo, ma anche un po’ di festa.
Quindi a voi, che vi sentite moderni e cool perculando Di Maio su questa vicenda, suggerisco una semplice cosa: il 26 dicembre, anziché postare auguri banali su Facebook, sfiancanti tavole imbandite su Twitter, immagini di voi felici in una SPA, su una pista da sci o vostri selfie con il caviale tra i denti su Instagram, fatevi un po’ di turni in qualche centro commerciale periurbano.
E dopo, solo dopo esservi fatti due palle quadrate e magari sottopagate, ascoltando le frustrazioni di uno che il 26 dicembre vuole cambiare il maglione che sua nonna gli ha regalato, potrete twittare che “è la concorrenza bellezza” o “tanto c’è Amazon”.
Prima, se proprio non volete ammettere che Di Maio tutto sommato ha posto una questione meritevole di discussione, meglio un nobile e saggio silenzio.
Twitter: @Alemagion
Facebook: alessandro.maggioni.792
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