Commercio
Liberalizzazioni: tutti moderni (con il tempo libero degli altri)
Il Governo dei lugubri tecnici ne ha combinate parecchie. Monti viene ricordato per la sua austerity, la grisaglia, il cagnolino della Bignardi e soprattutto per il suo ministro gemente Elsa Fornero ideatrice di una scellerata riforma pensionistica, di cui in molti stanno pagando e pagheranno le conseguenze. I dipendenti delle grandi catene della distribuzione organizzata lo ricordano soprattutto, e non proprio con affetto, per il provvedimento di liberalizzazione totale degli orari commerciali, una cui ipotesi di parziale modifica è ora in discussione al Senato.
Da quel fatidico giorno, in occasione di ogni festa comandata l’opinione pubblica si divide in due accese tifoserie: da un lato prevalentemente i lavoratori di queste imprese (ma anche Confcommercio, Confesercenti, la Curia) , dall’altro i consumatori o meglio i teorici della bulimia da consumo come sinonimo di modernità.
Molti dei provvedimenti di Mr. Monti venivano giustificati con la famosa frase “Ce lo chiede l’Europa”.
Dopo alcuni anni risulta che l’Europa ci abbia chiesto parecchie cose per comprendere fino a che punto potesse arrivare il nostro masochismo. Per fare un esempio a caso, ad Amburgo, il supermercato più liberista apre da lunedì al sabato dalle 8.00 alle 21.00. Molti esercenti invece chiudono addirittura nel primo pomeriggio, il sabato.
Gli Amburghesi (come tutti tedeschi) hanno un mercato del lavoro assai flessibile, con orari assai flessibili e annessi problemi di conciliazione (per rispondere all’ opinabile e malmostoso articolo di Stefano Feltri su Il Fatto Quotidiano del 17 settembre), una vita incasinata quanto o forse di più dei Milanesi, eppure non sentono l’impellente bisogno di uno yogurt alle 3 di notte e sanno farsi probabilmente una ragione se il Primo Maggio si accorgono di essersi dimenticati di acquistare i crauti da accompagnare allo stinco.
Paiono essere cioè riusciti nella titanica impresa di rimanere persone raziocinanti pur vivendo nella città più ricca della Germania, senza trasformarsi fisiologicamente in consumatori compulsivi.
In fatto poi di modernità una metropolitana funzionale e funzionante, treni regionali veloci, puntuali e puliti, li consoleranno certamente di non potersi fregiare di un Carrefour h24.
Esaurita l’argomentazione che il sempre aperto fa “cool” i liberalizzatori del tempo altrui prendono in genere ad accanirsi contro cassiere e commessi che si lamentano quando invece:
a) dovrebbero ringraziare se hanno un lavoro con tanta gente a spasso.
b) dovrebbero pensare a infermieri, vigili del fuoco, autisti, ferrovieri, militari, poliziotti.
La prima argomentazione di attacco è in linea con la filosofia dell’epoca, del JobsAct, secondo cui la quantità del lavoro si sostituisce alla sua qualità, e un lavoratore che ha dei diritti o ambisce a conservarli si deve un po’ vergognare, e sbrigarsi a convertirsi alle religione delle tutele crescenti che poi crescenti non sono quando a crescere sono solo precarietà e paura. C’è sempre chi sta peggio. Non è però che stando tutti peggio si aumenti l’indice di gradimento di questa vita.
La seconda la dice lunga su quanto Amburgo sia lontana non tanto geograficamente ma culturalmente: vengono infatti paragonati lavoratori di servizi pubblici essenziali con lavoratori che di essenziale non sono chiamati a garantire nulla. A meno che un etto di mortazza il 25 aprile possa salvare un vita umana.
Sempre loro poi non risparmiano (e come sarebbe possibile) i sindacati, che invece di fare inutili battaglie di retroguardia dovrebbero contrattare condizioni migliori per i lavoratori. Andrebbe spiegato a questi ideologi dello shopping che la contrattazione non è un diritto esigibile tou court (magari!) e che gli accordi che un po’ ovunque si stanno facendo non sono in grado di sciogliere tutti i nodi.
Cercare poi intese con aziende che licenziano in massa i dipendenti, come Auchan (con buona pace di un altro cavallo di battaglia dei nostri liberalizzatori del tempo altrui: “Le aperture creano occupazione”) o che gli accordi li disdettano come Carrefour, le Coop, Ikea, non è propriamente,di questi tempi, un automatismo.
Per queste imprese la domenica è divenuta la seconda giornata di maggiori incassi, incassi in parte orientati da promozioni mirate, incassi che si spostano da altre giornate, incassi che manco per sbaglio vengono destinati almeno in parte agli addetti che le domeniche come nei festivi consentono materialmente che le serrande si alzino. Ma non è tutto oro quello che luccica. La scelta tanto a la page di Carrefour di aprire la notte (scelta fortemente contestata dalle organizzazioni sindacali) non è indice di chissà quale strategia avanzata di marketing, bensì del tasso di disperazione di una azienda in crisi, per la quale la prossima trimestrale di cassa è l’unico orizzonte possibile su cui giocare il tutto per tutto.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione che salvaguarda il diritto del lavoratore di astenersi dalla prestazione festiva, porrà forse un freno agli appetiti famelici di molte aziende del settore che si erano spinte a prevedere nelle lettere di assunzione l’obbligo di lavorare a Natale. Basterà?
Di sicuro questo provvedimento di civiltà non risolve il quesito di fondo, che non è esauribile nella diatriba tra moderni e reazionari, consumatori e commessi, sindacati e imprese, ma ci interroga sul grado di analfabetismo culturale che la nostra società è disposta a tollerare. È in ballo cioè che tipo di paese siamo e/o vorremmo diventare. Ipermercati aperti 365 giorni, magari h24, riflettono attraverso le vetrine immagini di miseria sociale e non di opulenza.
Andare a fare la spesa la domenica o il 25 aprile può essere una opportunità che con un minimo di organizzazione si può evitare di cogliere senza conseguenze letali. Evitare di portare i bambini al centro commerciale a svernare, preferendo un parco o una mostra, non può che fare bene al loro futuro e al nostro presente.
Che la notte poi porti consiglio forse è vero, di certo la notte non c’è bisogno di scorrazzare per un supermercato per farsi venire idee, come suggerisce in uno spot Francesco Facchinetti. Fortunatamente qualcuno che sta dalla parte delle cassiere e delle loro famiglie, del tempo investito e non riempito di vuoto, o peggio, da altri sfruttato c’è, e guarda caso si chiama Francesco anche lui, ma di mestiere fa il Papa, paradossalmente raggiunge altissimi tassi di produttività la domenica e i festivi e non…a proposito che lavoro fa il figlio dei Pooh?
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