Commercio
L’economia globalizzata ha i millenni contati
Diceva Giorgio Ruffolo, studioso della macroeconomia e purtroppo troppo poco ricordato, che “il capitalismo ha i secoli contati”, dal titolo di un suo volume in cui, in anni non sospetti caratterizzati dal mantra “globalizzazione”, preconizzava la macroeconomia che sarebbe venuta.
In questi giorni, l’Agenzia Voronoi (by Visual capitalist) ha tracciato un bilancio dei mercati mondiali alla luce delle principali variabili incidenti sull’economia globale: la pandemia, la crisi bellica e la comparsa sui mercati dei BRICS. La valutazione avviene mediante lo studio del sistema complesso Import-Export che verifica, attraverso le varie bilance commerciali, i principali flussi commerciali two-way. Il metodo è quello dell’analisi del G20, un gruppo di 19 paesi e due unioni regionali, che rappresenta collettivamente l’85% dell’economia mondiale, il 75% di tutte le esportazioni e il 66% della popolazione mondiale. Dal grafico, elaborato attraverso i dati dell’Observatory of Economic Complexity, a partire dal 2022, si apprezza chiaramente la ripolarizzazione del mercato globale e mostra il mercato di esportazione per ogni membro del G20, in base alla quota di beni esportati.
A chi esporta il G20? È interessante notare che gli Stati Uniti e la Cina sono state le principali destinazioni di esportazione per un numero uguale di paesi del G20 (sette ciascuno) nel 2022. (Fig. 1).
Mercato USA: è prevalente la regionalizzazione “politica” del mercato. I principali paesi esportatori negli USA sono Messico e Canada, confinanti; asiatici (Giappone, Cina e India), europei (Germania). Interessante notare che Cina e India sono tra i principali paesi dei BRICS, tendono alla de-dollarizzazione ma malgrado questo il mercato prevale sulle ragioni di geopolitica ed esportano comunque verso gli USA, grandi consumers.
Mercato Cinese: tout malgrè la Cina importa dalle aree regionali asiatiche, su sette principali paesi, quattro appartengono ai BRICS (Russia, Indonesia, Brasile, Sud-Africa) e altri sono Consumers come South Corea e South Arabia.
Mercato Europeo: mostra tutte le sue precarietà con scarsa attrattività e capacità d’esportazione. Un mercato di Paesi Consumers, poco produttivo, tende a consumare o a esportare prodotti specifici manufatturieri (Germania verso la meccanica e automotive, Italia verso fashion ed excellent food).
Interessante qualche notazione sui flussi specifici. La maggior parte dei paesi asiatici ha inviato la quota maggiore delle proprie esportazioni alla Cina, mentre il Nord America e parte dell’Europa hanno esportato principalmente negli Stati Uniti. Per la Cina stessa, gli Stati Uniti sono emersi come un partner commerciale chiave, ma non si riproduce il contrario. Gli Stati Uniti hanno inviato il 16% delle proprie esportazioni, la quota singola più significativa, al Canada, per un valore di 308 miliardi di dollari nel 2022. Segue il Messico (15%), assai minori le esportazioni alla Cina (8%). Ma anche le classifiche incrociate confermano che il mercato globale appare tripartito in Economie e macroaree d’influenza, confermate in USA, Cina e Germania.
Tuttavia, la diversificazione implica che il mercato d’importazione maggiore sia quello USA con 1845 mld versus quello cinese che è meno della metà (623 mld d‘import). A distanza segue la Germania con 179 mld. Come dire, il Capitalismo in versione classica consuma più di quello Statale in versione cinese e gli europei comprano poco e si accontentano delle scorte!
Un’altra valutazione riguarda la quota di esportazioni tra i membri del G20. Ad esempio, gli Stati Uniti sono il più grande mercato di esportazione sia per il Messico che per il Regno Unito. Tuttavia, il 77% delle esportazioni del Messico va negli Stati Uniti, rispetto a solo il 13% del Regno Unito. Si deduce che solo una bassa percentuale delle esportazioni dei paesi europei vada ai più grandi mercati di esportazione in termini di valore, il che indica un forte commercio regionale all’interno dell’Europa.
Un ormai obsoleto grafico sui consumi e produzione di gas indica quanto il Vecchio Continente sia nella morsa occidentale americana da un lato e asiatica dall’altro. Basti vedere i volumi delle bilance commerciali di Gran Bretagna, una volta Impero britannico e del suo Dominion più importante, l’India che domina sui due mercati, asiatico e americano, (Fig. 2).
Tuttavia il punto è proprio quello che non appare: Cina e USA, attualmente dominanti sui mercati, sono destinati nel lungo termine (anche se saremo morti come preconizzava Keynes) a cedere il passo a India e soprattutto ai Paesi emergenti Africani come la Nigeria, in virtù delle future previsioni demografiche con un enorme finestra demografica da dominante Youth Bulge. Quanto alla vecchia cara Europa, in few words, si sta incistando, sta riducendo le sue possibilità di penetrare nei grandi circuiti, statunitense e asiatico, e si auto confina in un Mercato Unico, che per quanti sforzi faccia, non supera l’Atlantico da un lato mentre la vecchia “via della seta” appare solo one way, import ma non export. Ergo, da un lato c’è il Capitalismo neo-classico-liberista americano, dall’altro il già emerso Capitalismo di Stato in salsa cinese, e l’Europa galleggia su una terza via che non è quella nebulosa di Giddens di blairiana memoria, non è socialista, non è sovranista ma solo affetta da povertà di risorse e di idee.
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