Commercio

Chiusure domenicali: sì o no? Amazon ringrazia

11 Settembre 2018

Il tema delle chiusure domenicali è complesso ed elaborare una misura equilibrata non è così semplice.

Temo che sia uno di quei temi in cui la dicotomia bianco/nero non possa essere applicabile.

Perchè?

Innanzitutto perchè le esigenze e le posizioni dei lavoratori del settore commercio sono estremamente variegate e analizzando solo i macrodati totali si rischia di avere una visione falsata della realtà.

Trovo che in questo articolo di Strade a cui rimando per un approfondimento (anche se è del 2015) sia ancora attuale e sul tema delle liberalizzazioni degli orari di apertura delle attività del settore commercio l’autrice abbia saputo ben enucleare le principali istanze dei lavoratori del settore.
La difficoltà sul tema dipende da molteplici fattori (settore merceologico, grado di stagionalità, grandezza strutturale dell’attività): a seconda dell’impatto di questi fattori sull’attività, le esigenze mutano sensibilmente.

Una nuova normativa dovrebbe saper contemperare il settore in modo equilibrato.
Questo meritevole obiettivo non si realizza nè vietando le chiusure domenicali tout court nè liberalizzando senza limiti le aperture festive come si è proposto e realizzato finora.
A mio avviso la strada da seguire sarebbe non sic et simpliciter analizzare i dati totali del commercio, ma elaborare prima di tutto una sintesi tra i dati globali rilevati nei principali settori merceologici scindendo l’alimentare dal non alimentare e i piccoli esercenti dalla grande distribuzione.
Diversamente, utilizzando solo un’analisi dei macrodati totali, senza le summenzionate distinzioni (pur se di certo più semplice) andrebbe inevitabilmente a falsare (almeno in gran parte), le conclusioni da trarre in merito.
Questa credo sia la via, forse meno semplice ma più razionale, da seguire per un equilibrato intervento sul tema.

Parlando di attività commerciali non di ristorazione, intrattenimento o turistiche: purtroppo non tutte le attività commerciali hanno la possibilità di fare turni tra i dipendenti per l’esiguità del personale.

Questo problema non riguarda solo il dipendente, ma anche il titolare dell’attività.

Purtroppo sempre di più per non dover chiudere o veder fallire la propria attività, un esercente è obbligato a tenere aperto il negozio sia di sabato che di domenica anche se non si tratta di un bar o un ristorante: la parte del leone dell’incasso la si realizza sempre più di sabato e domenica e sempre meno infrasettimanalmente.

Contemperare le diverse esigenze è quindi necessario.

Come dicevo in precedenza, una misura equilibrata si può realizzare a mio avviso solo attraverso l’analisi dei dati globali disaggregati e scorporati in base a una serie di parametri:

  • categoria merceologica (alimentare/non alimentare)
  • grandezza strutturale (grande distribuzione/negozio locale)
  • grado di stagionalità dell’attività commerciale (alto/basso grado di stagionalità)

Le dinamiche sono per forza di cose molto diverse anche solo limitandoci al dato strutturale dell’attività commerciale: ossia alla dicotomia catene e centri commerciali da un lato e negozi locali dall’altro.

Non si può valutare come comparabili le esigenze dei lavoratori dei negozi locali a quelle dei lavoratori occupati nei centri commerciali o più in generale della grande distribuzione.

Concordo quanto afferma sul tema Michela Cella su Gli Stati Generali che si possa e si debba trovare un altro modo per risolvere la questione contemperando i diritti dei lavoratori e la libertà imprenditoriale, in quanto:

governare i processi sia la scelta migliore sebbene più complicata, e che quindi la strada giusta sia la tutela dei lavoratori e non la chiusura forzata.

Ma bisognerebbe abbandonare quell’atteggiamento TINA (there is no alternative) e di ineluttabilità di fronte alle forze di mercato.

E ricordarsi che la politica può e deve essere più forte dei mercati, e che a volte davanti ad una critica “ma è antieconomica!” si risponderà “sì, e allora?”

A mio avviso una buona soluzione potrebbe essere prevedere una disciplina modulata diversamente per grande distribuzione e negozi locali.

Il pericolo che ad avvantaggiarsi dalla previsione della chiusura domenicale tout court delle attività commerciali siano soprattutto i colossi dell’E-commerce infatti, non è così remota e va tenuta in seria considerazione.

Si potrebbe stabilire ad esempio, che solo per quanto riguarda i negozi afferenti ad attività non rientranti nel settore alimentare, ristorativo o turistico della grande distribuzione (centri commerciali, catene) si possa mantenere l’apertura domenicale solo per un numero limitato di domeniche all’anno.

Mentre si potrebbe prevedere invece una piena liberalizzazione per i negozi locali.

Inoltre occorrerebbe agire anche sul fronte dei colossi E-Commerce e stabilire regole più restrittive, in quanto attuano una concorrenza sleale nei confronti dei negozi fisici, in quanto scaricano sui fornitori dei beni che vendono la gran parte delle spese di gestione, pagando tasse irrisorie.

Questo chiaramente si ripercuote sulle attività locali che in questo modo non riescono a essere sostenibili e a sopravvivere, quindi chiudono o falliscono, il tutto a danno dei lavoratori e del tessuto economico del Paese.

Oppure e allora lo si dica chiaramente, che si vogliono abolire i negozi locali e la categoria dei piccoli esercenti: di questo passo tra non molti anni i negozi non esisteranno più e il settore del commercio sarà unicamente appannaggio di Catene di multinazionali o E-Commerce senza negozio fisico, in cui i lavoratori di settore saranno impiegati in larga misura come magazzinieri con un braccialetto elettronico al polso per monitorare il grado di resa sul lavoro e ancora più in là, (ma non tra molto tempo) sostituiti integralmente da magazzini automatizzati.

Una notizia recente ma passata quasi inosservata all’opinione pubblica è che Amazon abbia ottenuto il via libera dal Comune di Spilamberto (MO) per la modifica di una variante che consentirà al colosso dell’E-Commerce di costruire un magazzino per lo stoccaggio dei prodotti da spedire, come quello già esistente a Piacenza.

Questo è stato consentito con la promessa di assunzione di 400 lavoratori.

In tempi di difficoltà economica e alto tasso di disoccupazione come questi è certamente un dato da tenere in seria considerazione.

Quello che forse non si è valutato con abbastanza attenzione e lungimiranza non solo e non tanto da parte della Giunta ma anche dei Sindacati dei lavoratori, è l’impatto sul medio-lungo termine a cui porterà una nuova sede logistica di Amazon: la chiusura di attività commerciali (di natura non alimentare) non limitata al spilambertese ma molto più lontano: l’avanzata di Amazon avrà un impatto come di “onda d’urto” nell’intera regione, con chiusura di molti altri negozi locali anche storici e perdita del lavoro dei dipendenti (e degli esercenti) qui occupati nei prossimi anni.

Potranno forse essere tutti riassunti da Amazon?

E se anche fosse a quali condizioni di lavoro?

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