Artigiani

Dove si impara la fabbricazione digitale: ecco le scuole e i prof dei fablab

14 Maggio 2015

TRENTO – Al Centro Moda Canossa, istituto di formazione professionale nel cuore di Trento, capita spesso che gli studenti, o meglio le studentesse, visto che gli iscritti sono in gran parte ragazze, restino in aula dopo la fine delle lezioni. A renderli così zelanti non è la severità dei professori, e nemmeno la statua di gusto vagamente sovietico di Alcide De Gasperi, posta nella piazza di fronte all’istituto. Il fatto è che al Canossa c’è un fablab: un laboratorio di fabbricazione attrezzato con le tecnologie del digital manufacturing, come le stampanti 3D e le piattaforme di prototipazione elettronica Arduino. Qui, in particolare, si creano vestiti high-tech: perché gli Armani e i Versace del 2035, probabilmente, sapranno sia disegnare bozzetti sia modellarli in 3D, e dovranno intendersi un po’ anche di fisica e nuovi materiali. «La scuola deve imparare dal mondo reale, interpretare i trend e poi trasformarli in percorsi professionali seri – spiega a Stati Generali il direttore del Canossa  Alberto Garniga, 43 anni, una laurea in filosofia e una in scienze della formazione –. Qui gli studenti imparano a trovare soluzioni per problemi reali. E il fablab è un ambiente di sperimentazione dove prototipare idee. Un ambiente che amplifica la progettualità e la creatività».

Garniga è senz’altro un direttore atipico, ma è in buona compagnia. Michele Bommassar, 37 anni, una laurea in fisica, è docente dell’istituto e nume tutelare del fablab del Canossa: «Iniziative come questa preparano gli studenti alle sfide di domani, e gettano i semi per una nuova rivoluzione industriale», dice mentre mostra le attrezzature del fablab. Siamo in un locale piccolo ma luminoso: due stampanti 3D, una delle quali prodotta dalla DWS di Vicenza; i kit Arduino del piemontese Massimo Banzi; un manichino e una lavagna; dei pc; rocchette di filo; infine, dei tessuti intelligenti. Molto intelligenti: consentono, ad esempio, di realizzare «camicie che segnalano a chi le indossa quando ha la temutissima “aletta” sotto l’ascella, e rilasciano del deodorante. O T-shirt che misurano i parametri vitali e le performance atletiche». Lo stesso Bomassar sfoggia una borsa munita di LilyPad Arduino, grazie al quale la borsa “sente” le variazioni di peso e lo avvisa se dimentica di ri-mettere dentro un oggetto. Ma al Canossa la tecnologia non basta mai. Con il crowdfunding la scuola vuole raccogliere abbastanza denaro da acquistare un laser cutter e un body scanner per «parametrizzare tridimensionalmente il corpo dei potenziali clienti».

fablab Centro Moda CanossaStudenti del Centro Moda Canossa partecipano a workshop sulla fabbricazione di tessuti interattivi organizzato dal MUSE FabLab, gennaio 2015

Nel corso della visita Garniga cita diverse volte l’economista Stefano Micelli. Autore del noto saggio “Futuro artigiano” (Marsilio) e direttore della Fondazione Nordest, Micelli è un paladino della manifattura digitale in tutte le sue declinazioni. A Stati Generali racconta: «Ho personalmente favorito l’idea di creare dei fablab e makerspace all’interno delle scuole. Tali strutture consentono ai giovani di cimentarsi su problemi complessi, interdisciplinari, diventando protagonisti dell’innovazione. Inoltre aumentano in modo sostanziale la loro capacità di dialogare con il mondo esterno, favorendo la diffusione di nuove tecnologie in modo informale e partecipato». Per Micelli serve un rilancio della scuola politecnica, che «passa, prima di tutto, attraverso una nuova didattica, capace di far emergere la soggettività e la capacità di innovazione dei giovani. In seconda battuta, bisogna rilanciare in maniera concreta il dialogo tra scuola e imprese, così da favorire l’interazione con le comunità professionali già attive in rete e nel territorio».

Se il Nordest punta su fablab e scuole tecniche  per formare una nuova generazione di artigiani e professionisti della fabbricazione digitale, il Nordovest non è da meno. Una delle capitali del digital manufacturing tricolore è Varese, dove un bel po’ di PMI si stanno armando di stampanti 3D e affini. La Confartigianato locale e la fondazione San Giuseppe hanno sponsorizzato il FaberLab, officina per fare innovazione condivisa utilizzando le tecnologie del digital manufacturing. «Il FaberLab è per le imprese e il territorio. Qui facciamo corsi, incontri, progetti aperti a tutti: agli imprenditori, ma anche ai professionisti, agli studenti, ai cittadini insomma», spiega Angelo Bongio, senior manager innovazione e internazionalizzazione della Confartigianato. Oggi i consumatori globali chiedono prodotti sempre più personalizzati, ma la manifattura italiana potrà soddisfarli solo se ricorrerà al digital manufacturing. «Certo, la stampa 3D al momento si usa per le piccole serie – aggiunge il manager – ma la vera sfida sarà dunque passare dalle piccole serie alle grandi produzioni: il nostro compito è quello di accompagnare le aziende nella loro digitalizzazione».

Anche gli industriali di Varese sembrano pensarla come i colleghi artigiani. Recentemente l’Università Carlo Cattaneo ha siglato un accordo con l’azienda tedesca MakerBot, controllata del colosso americano della stampa 3D Stratasys. L’ateneo acquisterà 20 stampanti 3D MakerBot, e nel 2016 inaugurerà il primo MakerBot Innovation Center fuori dagli States. «Per i nostri studenti di ingegneria si tratta senza dubbio di una grande opportunità – commenta Luca Mari, 52 anni, docente nonché direttore del laboratorio di fabbricazione digitale SmartUp – Riteniamo che questi strumenti siano dei grandi abilitatori per rendere più efficienti e innovative le aziende, quindi formare dei professionisti che li sappiano utilizzare è cruciale».

Mari parla della necessità di coltivare «l’attitudine al fare» negli studenti, e «trasformarli in maker». Riccardo Arciulo, romano, 32 anni, una passione per il restauro di veicoli d’epoca,  è tra questi: «In Italia l’interesse verso il digital manufacturing sta crescendo – osserva –, il nostro è un paese manifatturiero, e il digital manufacturing può portare nuova linfa alle aziende del settore. E poi ricordiamocelo: i veri protagonisti del miracolo italiano furono proprio i maker, gente come Adriano Olivetti, Aristide Merloni, gli ingegneri della stessa Fiat». Arciulo è advisor di IntendiMe, startup che fa dispositivi indossabili per non-udenti, e lavora in Coffeefy, giovanissima startup per la quale ha realizzato un dispositivo per le macchinette del caffè che permetterà all’utente di pagare la bevanda con il telefono. A suo parere, «l’Italia dovrebbe puntare un po’ meno sul software, e un po’ più sull’hardware. Ben vengano i fablab, ma ovviamente serve anche un cambiamento di mentalità e di cultura. Bisogna capire che lavorare manualmente non è degradante. Anzi, permette di trasformare le proprie idee in qualcosa di concreto e solido».

Maria Punturo è docente dal 1980, insegna elettronica e telecomunicazioni presso la sede tecnica dell’istituto Pacinotti-Archimede di Roma. Laureata in ingegneria nucleare, ha sempre creduto nel dialogo tra scuola e imprese high-tech, e nella necessità di far toccare con mano agli studenti cosa sia l’innovazione. «Quest’anno abbiamo fatto partire il fablab, che ufficialmente sarà inaugurato a maggio – racconta a Stati Generali –. Il laboratorio, che rientra nel più ampio progetto della Palestra dell’innovazione, rappresenta un vero e proprio avamposto del digital manufacturing: ci sono due stampanti 3D, laser cutter, una fresa a controllo numerico che è un gioiellino…». Alla Punturo, che un ex allievo definisce «una prof leggendaria», non manca la passione. «Il fablab va oltre la dimensione tecnologica: vogliamo offrire ai ragazzi uno spazio dove elaborare progetti che siano tecnici ma al contempo imprenditoriali». Gli studenti, insomma, «devono tirar fuori le loro idee, avere il coraggio di mettersi in gioco, e liberare quella creatività e quell’innovatività che si può avere solo alla loro età». Il fablab, infine, ha anche un risvolto più pratico: «grazie a iniziative simili i ragazzi sono assai più motivati a studiare le materie tecniche, perché scoprono un’applicazione concreta, reale, di quanto studiano. La loro voglia di imparare e il loro impegno aumentano».

A Roma, dove dal 2013 si tiene la Maker Faire, la passione per il digital manufacturing sembra aver contagiato pure i politici locali. O almeno uno di loro. Gian Paolo Manzella ha 49 anni, una carriera internazionale alle spalle, ed è consigliere della regione Lazio per il Partito democratico. Lui nell’artigianato digitale sembra crederci davvero. «I fablab hanno una fortissima dimensione educativa, dobbiamo moltiplicarne la presenza nelle scuole, e sfruttare questa moda delle stampanti 3D per orientare i nostri ragazzi, cioè gli italiani di domani, verso una cultura del fare e della creatività». Manzella sottolinea che la Regione ha stanziato 20 milioni di euro per lo sviluppo della manifattura digitale (e di altre due voci), e poi aggiunge: «Si tratta, comunque, di un grandissimo fenomeno. Che spezza le barriere tra il mondo dell’artigianato e quello della tecnologia. Che colma gap generazionali. Migliora il nostro modo di produrre. Apre nuovi mercati. Certo, ci vorrà del tempo, è una scommessa di medio-lungo termine». Ma al Canossa di Trento, così come al Pacinotti-Archimede di Roma, c’è una cosa che a quegli studenti curiosi non manca: il tempo.

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