Artigiani

Lavoratori in cooperativa e investitori cinesi: così è rinata la Conceria

10 Marzo 2015

Già nel medioevo, poco dopo l’anno 1100, Tolentino era conosciuta per la qualità delle sue concerie. Molti degli opifici che nacquero in questo Comune marchigiano, al tempo ricco di conventi e palazzi signorili sintomo di un’economia fiorente, erano infatti laboratori di lavorazione della pelle: una tradizione che, a distanza di mille anni, si è tramandata intatta.

Oggi, seguendo la tendenza regionale e nazionale, l’economia di Tolentino è sfiorita; di questo declino sono state vittima diverse aziende della zona, tra cui alcune delle concerie più famose. Come la Pelletterie 1907, nota nel mondo con il marchio Nazareno Gabrielli, che negli anni novanta vantava oltre 600 dipendenti: nel 2009 ha chiuso i battenti ed oggi vive ancora in acque agitate, tra accuse di bancarotta, proteste degli ex dipendenti e processi giudiziari in corso.

C’è invece chi si è avvicinato al baratro, ma ha saputo rialzarsi in tempo e ripartire: è la storia di Conceria del Chienti, azienda di lavorazione della pelle tra le più antiche d’Italia (è stata fondata nel 1924). Nata come centro produttivo di pelli di capretto e montone, la Conceria si è specializzata in pellami di vitello e vitellino. Produce calzature e pelletteria per marchi conosciuti in tutto il mondo – Gucci, Tod’s e non solo – affermandosi come leader a livello internazionale. Un pedigree di tutto rispetto che non è bastato ad evitare grosse difficoltà economiche, in concomitanza con la crisi finanziaria del 2008, quando i conti segnalavano debiti fino a 20 milioni.

Eppure Conceria del Chienti ha saputo rinascere «dalle ceneri di una società in liquidazione», come annuncia sul sito ufficiale, attraverso un progetto innovativo di workers buyout denominato CTC Project. Perché innovativo? Perché è nato dallo sforzo congiunto di una cooperativa italiana, formata dai vecchi lavoratori dell’azienda, e dal gruppo cinese Jihua Group Corporation Limited, che ha acquisito la precedente società e oggi gestisce CTC a livello commerciale. Un inusuale tandem sino-marchigiano che rappresenta un caso unico a livello nazionale.

Il binomio sembra funzionare: JH controlla il marchio, le licenze e il portafoglio dei clienti, organizzando rarissime visite nello stabilimento; la produzione artigianale storica è ancora appannaggio delle stesse mani sapienti che conservano intatto il know-how accumulato in oltre novant’anni di storia. I cinesi acquistano il pellame, lo cedono in conto-lavorazione alle cooperativa, e acquisiscono il prodotto finito per poi venderlo sul mercato. Il rapporto tra la cooperativa CTC Project e il gruppo cinese non è esclusivo, tuttavia: i soci hanno infatti la possibilità di sviluppare una propria linea di prodotti.

«Eravamo rassegnati alla chiusura», racconta oggi Luca Mariotti, presidente della Cooperativa. «Il workers buyout ci si è presentato come l’unica opportunità di rilancio possibile, e così abbiamo deciso di unire le forze e di provarci. Oggi possiamo continuare il lavoro che abbiamo sempre fatto e che sappiamo fare, evitando che quasi un secolo di storia muoia con l’azienda. La formazione della cooperativa è stata come una luce nel buio». CTC project è partita ufficialmente a novembre 2014 con 35 associati e 15 non soci, scelti tra gli ex-dipendenti. «Il progetto futuro è quello di assumere degli esterni – spiega Mariotti – anche a seconda dei carichi di lavoro che dovremo affrontare».

Per ora, la congiuntura economica resta sfavorevole. Il senso di un’operazione come quella portata avanti dai lavoratori di CTC, però, è un sintomo coraggioso dei tempi che cambiano. La Cina, vista da molte aziende italiane come una minaccia, può diventare anche un’opportunità. Perché in fondo ogni tradizione, per sopravvivere, necessita di innovazione. E questo, in quella regione geografica immaginaria che unisce Tolentino e Pechino, lo sanno bene.

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