Artigiani

La Sinistra, i poveri e il partito degli Alberto

3 Maggio 2018

La sinistra ha un grosso problema con i poveri.

La sinistra ha perso il voto nei quartieri popolari e al sud, è amica delle banche e delle tecnocrazie e addirittura vince nel centro di Milano (non c’è più morale, contessa).

Dalla stampa borghese ai 5 Stelle questa mutazione genetica della sinistra riformista e stata uno dei leitmotiv del pre e del post elezioni e continua ad essere l’argomento principe dei censori della deviazione renziana. In perenne senso di colpa, la minoranza del PD ritiene che i 5 Stelle abbiano rubato alla sinistra la capacità di interpretare le masse e per questo addirittura bisognerebbe farci un Governo assieme e comunque prendere appunti.

Chi si richiama alla sinistra-sinistra (“e ho detto tutto”, come Totò), onusto di sconfitte, immagina catartici bagni di popolo e di spesa pubblica per riconnettersi con questa entità mistica e perduta.

La Matrioska di luoghi comuni non dimentica niente, dai toponimi della vergogna (Milano Centro, i Parioli, Capalbio) alle patenti di nuovo PCI e nuovo Berlinguer generosamente elargite ora a Di Maio, ora a Salvini, ora addirittura a Di Battista.

Da storico, ex figiciotto e soprattutto affetto da colon irritabile, vorrei offrire un modestissimo contributo a districare un dibattito fatto di molta prevenzione e ignoranza, oltre che di spessa cattiva fede.

“Le ultime due generazioni hanno assistito a conquiste scientifiche e tecnologiche ben più numerose di quelle delle prime 798 messe insieme. Il mutamento di una società rapida trasformazione non ha avuto grandi ripercussioni sull’aspetto esteriore della vita di ogni giorno… ma ha profondamente alterato la percezione della realtà e le aspettative. Esso ha sottoposto i ruoli tradizionali e le istituzioni ad una tensione dura e incomprensibile, ha abbandonato i punti di riferimento e i rituali che hanno regolato e uniformato la vita per generazioni, e ha reso inutile, per risolvere i problemi dei giovani, l’esperienza di chi li ha preceduti. I figli, che si rendono conto di quanto la loro stessa vita sarà diversa, non guardano più ai genitori come modelli né li investono di autorità: piuttosto, adesso sono i genitori che imparano dai propri figli.” Non lo ha scritto Gianroberto Casaleggio ma lo storico americano Arthur M. Schlesinger Jr., collaboratore di JFK e autore di un libro “I cicli della storia americana” che racconta come la storia politica di una società democratica sia un continuo avvicendarsi di cicli progressisti e di cicli conservatori, all’interno dei quali cambiano i comportamenti e le priorità degli elettori.

Oggi siamo probabilmente all’inizio di una glaciazione conservatrice e i riformisti arrancano ovunque anche e soprattutto perché le masse hanno la priorità di avere risposte semplici, immediate, dicotomiche. All’alba del ciclo conservatore, i poveri hanno bisogno di un nemico (i migranti, la Casta) e di una utopia magari banale ma chiara e semplice (il reddito di cittadinanza, la flat tax, solo ariani in giro).

Come avverte Schlesinger, questo cambiamento porta con sé anche un disconoscimento dei ruoli precedenti e dell’autorità prima riconosciuta e questo rappresenta a mio avviso il principale problema per la sinistra. Detta in altri termini, gli umili oggi sono per la gran parte contenti e orgogliosi di esserlo. Non cercano nell’urna il riscatto dalla loro condizione, ma chi promette le più comode lisciate di pelo.

Chi viene dal PCI (che era un partito di massa più dei 5 Stelle), ricorda perfettamente come l’aristocrazia comunista amasse le masse ma non la povertà, né tantomeno l’ignoranza. Il rivoluzionario di professione poteva essere di umilissime origini ma doveva farsi il mazzo, studiare ed emanciparsi. Secondo Di Vittorio i cafoni dovevano uscire la domenica con il cappello come i signori e Togliatti non concepiva che i compagni gli dessero del “tu”. Il buon Burioni non avrebbe auto problemi a imporre la propria linea sui vaccini, che oggi invece fatica perché le masse non riconoscono proprio quell’autorità che il nostro eroe a ragione rivendica.

Gli imprenditori populisti della paura vellicano questa attitudine del popolo a rimanere nella propria condizione, da qui programmi che sono piattaforme da assemblea condominiale, piene di risentimento ben indirizzato e di ricette semplici semplici.

La sinistra riformista (l’unica oggi che abbia qualcosa da dire) oggi balbetta soluzioni, ma anche quando parla è troppo forbita e moderata, troppo equilibrista e postdatata (fanno eccezione gli 80 Euro di Renzi, unico vero tentativo non del campo populista di mettere in mano ai cittadini un risultato concreto e tangibile della politica e preso frettolosamente a pernacchie).

Che fare oltre a passare la nottata, che certamente passerà ma ci lascerà, grazie agli alfieri del sottosviluppo, un Paese tornato indietro di decenni?

Visto che lo fanno tutti, provo a buttare anche io i miei due cent, partendo da un toponimo della vergogna, Milano centro, e dal mio amico Alberto.

Alberto è un artigiano mobiliere brianzolo, giovane ma non giovanissimo. È mobiliere figlio di mobilieri e nipote di mobilieri, che ha studiato da mobiliere e ha sempre fatto quel mestiere. Conformemente alla sua schiatta, Alberto ha sempre votato Lega tranne alle ultime elezioni, in cui ha votato PD. “Perché il PD è di destra” direbbe il cretino prevalente, ma la ragione non è questa. Alberto ha votato PD perché esporta il 55% della produzione, con Industria 4.0 ha reinvestito gli utili nella digitalizzazione dell’impianto produttivo (ha comprato un braccio robotico di cui è orgogliosissimo), al Salone del Mobile dello scorso anno ha conosciuto dei clienti africani per i quali ha arredato un condominio a Dakar.

Alberto non gioca con la finanza né con le start up, né tantomeno pensa di andarsene dalla sua Brianza, lavora nella sua azienda e fa crescere delle persone che lavorano con lui non come gli schiavi di Glovo ma come dei lavoratori. Alberto non è diventato riformista sui libri, ma perché pratica con successo la moralità del conto economico e del lavoro manifatturiero nella sua accezione migliore (che è anche la più italiana).

Alberto non è ricco e non si è trasferito in via della Moscova, ma riconosce che tra quelle persone “sofisticate” oltre a qualche robbing baron, ci sono secoli di cultura del produrre e dell’innovazione inclusiva. C’è insomma un’idea di sviluppo fatta di produzione, spiriti animali e lavoro (tanto lavoro) non piratesca né stracciona che oggi può essere minoritaria ma non è casta o Trilateral.

Se il riformismo vince a Milano non è il male assoluto, ma si deve sapere che da subito deve tornare a proporsi come alternativa al Medioevo parlando a tutti gli Alberto d’Italia (imprenditori, manager, operai, immigrati), che ancorché dispersi sono tanti e soprattutto sono la parte migliore di questo Paese.

Quell’impasto di tradizione, bellezza e innovazione che fa il meglio del nostro Made in Italy deve diventare programma politico, più Impresa 4.0 e meno scempiaggini alla Grillo – De Masi.

Vaste programme ma necessario non tanto per le sorti della sinistra (di cui ce ne cale relativamente), ma perché i barbari alle porte sono tanti e non sono solo gli alfieri giallo verdi del sottosviluppo.

Il giorno dopo la chiacchierata rivelatrice con Alberto, il fato mi ha portato in un albergo lussuoso del centro di Milano dove un simpaticissimo professore bocconiano con tanti nomi e cognomi arringava una folla di manager sempre in cerca “da svortà” (cit.) sulle meraviglie della blockchain. Novello Lenin dei plutocrati mondiali, il nostro decantava liricamente le prospettive di dissoluzione dello Stato in una somma di contratti fra individui, mentre chi aveva apparecchiato l’evento annuiva soddisfatto e ignaro che la dittatura dell’algoritmo avrebbe dissolto il suo mondo, il nostro e quello di Alberto.

Paradisi fiscali dove si estrae criptomoneta, rotten boroughs dove si producono le merci in vendita su Amazon, l’ex occidente fatto di lavoratori gig, reddito di cittadinanza e lotte tra poveri.

L’abbraccio tra sottosviluppo e turbocapitalismo.

Un incubo, da cui ci può salvare il partito degli Alberto, fatto di Brianza, Milano (si, pure il Fuorisalone), ma anche del Centro e Sud Italia che ancora credono alla moralità del Fare.

 

pic by Emanuele Barbaro ©

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