Artigiani
La Svizzera ha costruito un muro di burocrazia per tenere fuori le Pmi italiane
Che si tratti di frontalieri dipendenti o imprenditori, poco importa. Gli italiani nella vicina Svizzera continuano a non avere vita facile. Dal primo febbraio di quest’anno, infatti, gli imprenditori, artigiani e non, già iscritti all’Albo italiano, che lavorano per brevi periodi in Canton Ticino, rischiano di non poter più lavorare nel territorio svizzero. A rendere loro la vita difficile è un provvedimento del Consiglio di Stato del Cantone chiamato LIA (Legge imprese artigianali). La discutibile legge obbliga le imprese italiane che lavorano o desiderano lavorare in Ticino all’iscrizione all’Albo delle imprese artigianali. I settori e le professioni interessate sono moltissimi; ne sono coinvolti piastrellisti, falegnami, gessatori, posatori di pavimenti, vetrai, giardinieri e persino spazzacamini.
La LIA impone alle imprese estere di dimostrare l’adempimento dei requisiti stabiliti dalle nuove disposizioni con prove certificate dalle autorità, pena pesanti multe fino a oltre 45.000 franchi, a partire da agosto. Peccato che la commissione svizzera che valuterà l’idoneità al lavoro in Ticino delle imprese estere, per lo più italiane (quelle dei «ratti», perché così vengono chiamati gli italiani dalla destra ticinese), come riportano le associazioni di categoria italiane, difficilmente la si riesce ad immaginare esente da pregiudizio. In alternativa ai requisiti professionali previsti, però, ma solo in via transitoria, viene richiesto l’esercizio dell’attività da almeno cinque anni in Svizzera. Inoltre, la richiesta di iscrizione all’Albo per le imprese estere che vogliono lavorare per un periodo massimo di novanta giorni all’anno è subordinata anche alla produzione di una serie di documenti da parte delle autorità italiane. Una legge insomma, che secondo la Confartigianato e la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e delle Piccole e Medie Imprese (CNA), violerebbe gli accordi bilaterali con l’Unione Europea in materia di riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali e libera prestazione delle imprese. Il Ticino non è forse Svizzera?
Dal primo giugno del 2006, ogni impresa UE ha infatti il diritto di lavorare in Svizzera, per novanta giorni all’anno, senza più bisogno di autorizzazioni preventive. Per lavorare oltre il confine è sufficiente informare in anticipo le autorità che si intende svolgere un lavoro e rispettare, chiaramente, le normative svizzere sul tema. In Ticino, però, prima della LIA, il 9 febbraio del 2014, è stato indetto un referendum che ha bocciato la libera circolazione, a dimostrazione di «un atteggiamento insofferente nei confronti dei frontalieri, delle imprese e dei lavoratori autonomi», come confermato da Alberto Bergna, Segretario della CNA di Como, che si dice fortemente sconfortato di fronte alla decisione del Cantone. Le imprese italiane che lavorano in Ticino sono infatti molte, e i flussi della libera circolazione fra le aree di confine italiana e svizzera sono piuttosto squilibrati. Le imprese ticinesi presenti in Italia sono invece poche, per le difficoltà burocratiche riscontrate qui; difficoltà che però secondo Bergna non sono insuperabili come sostenuto dai ticinesi. Le pratiche per poter lavorare in Italia, peraltro, non si differenziano particolarmente dalla ticinesi e soprattutto, agli artigiani svizzeri la stessa CNA fornisce tutta l’assistenza necessaria, attraverso uno sportello aperto proprio in accordo con il Ticino. «Certamente in Svizzera aprire un’impresa è più facile – continua il Segretario – che in Italia, per la tassazione più favorele e una burocrazia più snella, ma qui non si sta parlando di voler aprire nuove imprese, e il Ticino non può pensare che gli italiani vicini al confine preferiscano aprire in Svizzera, piuttosto che invece prestare servizi altamente qualificati e spesso richiesti dagli stessi ticinesi per brevi periodi quando vi è l’occasione o la necessità».
Secondo una rilevazione di Confartigianato, nel 2015 hanno lavorato in Canton Ticino 4.548 titolari di un’azienda o lavoratori indipendenti, e 9.835 dipendenti di un’azienda distaccati provenienti dall’estero per effettuare una prestazione di servizio. Sono italiani il 79,1% dei prestatori di servizio indipendenti e l’85,8% dei lavoratori distaccati presso un committente svizzero. La quota più elevata (83,7%) di persone registrate nel Cantone (escluse quelle assunte da un datore di lavoro svizzero) sono lavoratori dipendenti e indipendenti di imprese ma con sede in Italia.
Il settore a maggior vocazione artigiana, dove si concentrano principalmente i lavoratori dipendenti e indipendenti che prestano servizio in Ticino, è quello delle Costruzioni (53,5%); il 19,2% di queste persone lavora invece nel Manifatturiero e il 14,0% nei Servizi artigiani. Le prestazioni lavorative, però, hanno una durata media tra i diciassette e i ventidue giorni in un anno, un tempo limitato, che non giustificherebbe assolutamente il sostenimento degli adempimenti previsti nella LIA con i relativi costi burocratici.
Inoltre, per una ditta individuale artigiana, se la Camera di Commercio in Italia ha ridotto il diritto annuale a 120 euro nel 2016, rispetto ai 200 del 2014, il Canton Ticino chiede per l’iscrizione al nuovo Albo oneri per un massimo di 2000 franchi svizzeri, quasi 1837 euro al cambio oggi. Se la stessa impresa non paga il diritto camerale italiano incorre in una sanzione pari ad un massimo di 120 euro, diversamente, in Svizzera, il mancato adempimento previsto dalla LIA costa 45.327 euro. Secondo Confartigianato, per un’impresa con meno di venti addetti, il costo del lavoro di 2322 euro/dipendente potrebbe salire del 78,1%, dopo aver sostenuto l’onere di iscrizione previsto dalla LIA dell’importo massimo di 2000 franchi.
Il Canton Ticino è da sempre polo di riferimento per il lavoro degli italiani, soprattutto per chi vive e lavora nelle zone di confine. Il 98,4% dei frontalieri sono italiani. La Lombardia confina, poi, con due Cantoni Svizzeri, il Ticino e il Grigioni, due regioni che in questo momento, paradossalmente, applicano quindi misure diverse, a meno di dieci km di distanza, rispettando quest’ultimo gli accordi bilaterali.
Il nuovo obbligo indubbiamente aggrava le condizioni delle imprese italiane che hanno già una tassazione sui profitti di 36 punti superiore a quella di un’impresa svizzera, e oneri burocratici (misurati dal tempo necessario ad un’impresa per pagare le tasse) che sono 4,2 volte quelle di una impresa svizzera. L’imposizione di barriere all’ingresso alle imprese italiane, si legge nella rilevazione di Confartigianato, non è giustificata dalle condizioni del mercato del lavoro, tenuto conto che, grazie alla riduzione delle persone in cerca di lavoro nel nostro Paese, il differenziale tra il tasso di disoccupazione del Canton Ticino rispetto a quello delle due regioni italiane confinanti (Piemonte e Lombardia) nell’ultimo anno si è più che dimezzato, passando da 1,6 punti a 0,7 punti.
Il Presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, il 3 febbraio, ha così inviato in merito una lettera al Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Sandro Gozi, sollecitando l’intervento del Governo italiano nei confronti delle autorità svizzere per far sì che vengano rispettati i diritti di stabilimento e libera prestazione dei servizi delle imprese sanciti dall’Accordo tra l’Unione Europea e la Svizzera del 21 giugno 1999. L’Accordo stabilisce l’applicabilità delle direttive comunitarie sul riconoscimento delle qualifiche professionali anche ai cittadini elvetici e impone, a sua volta, alla Svizzera, di applicare ai cittadini UE le procedure stabilite dalla Direttiva Europea 2005/36/CE in materia di stabilimento e di libera prestazione dei servizi delle imprese.
La Camera sembra aver già recepito le preoccupazioni delle associazioni di categoria, che nel frattempo si sono organizzate facendo pressioni anche a livello regionale, e ha approvato una mozione che impegna il Governo ad assumere iniziative in merito agli effetti sulle imprese italiane della nuova LIA. La mozione, in particolare, impegna l’Esecutivo ad assumere iniziative, anche in sede europea, per garantire il rispetto delle norme che regolamentano il riconoscimento delle qualifiche professionali in forza dell’accordo tra l’Unione europea e la Svizzera; a richiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alle decisioni discriminatorie assunte dal Cantone Ticino in contrasto con gli accordi di libera circolazione delle persone; ad analizzare i contenuti dei provvedimenti legislativi e regolamentari assunti dal Canton Ticino e ad assumere iniziative, qualora siano in contrasto con gli accordi bilaterali o con l’Unione europea, presso le sedi opportune affinché venga modificato quanto disposto unilateralmente.
I deputati del Partito Democratico, Chiara Braga e Mauro Guerra, che hanno sottoscritto e contributo alla stesura della mozione approvata dall’Aula di Montecitorio, con il parere favorevole del Governo, spiegano: «Questa legge sulle imprese artigianali varata dal Canton Ticino, che di fatto ostacola la libera circolazione delle imprese estere, nella maggior parte italiane, è stata oggetto d’attenzione da parte del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Qualche giorno fa la Farnesina ha comunicato di aver fatto partire in maniera formale due distinte procedure. La prima riguardante una nota formale all’ambasciata italiana a Berna affinché provveda a notificare al Governo svizzero le riserve avanzate dall’Italia in merito al provvedimento ticinese e le preoccupazioni di come atteggiamenti di tale natura possano inficiare il quadro delle relazioni tra Italia e Svizzera in un momento complesso. La seconda è l’attivazione ufficiale della rappresentanza italiana presso l’Unione Europea affinché agisca nei confronti dei competenti uffici della Commissione Europea al fine di approfondire la questione e stabilire se la recente legge ticinese in materia di artigianato sia o meno lesiva dei trattati bilaterali sottoscritti tra la UE e la Confederazione Elvetica in materia di libera circolazione delle persone e di ostacoli tecnici al commercio. Sulla base del parere che verrà fornito dagli uffici di Bruxelles, l’Italia si riserverà successivi ed ulteriori passi».
Il ministro degli Esteri Gentiloni ha quindi compreso l’importanza della questione per le piccole e medie imprese dei territori di confine portandola all’esame dei massimi livelli istituzionali europei, dando così seguito alle indicazioni contenute nella mozione presentata dal Partito Democratico. Ora si tratta di attendere il pronunciamento della Commissione Europea.
Nel frattempo, però, Roberto Maroni, Governatore di Regione Lombardia, in occasione di un incontro a Milano con Norman Gobbi, Presidente del Governo ticinese, ha espresso un parere decisamente contrastante con quello del Governo italiano e delle associazioni, definendo l’introduzione dell’albo degli artigiani in Ticino «non una legge discriminatoria; ma una legge fatta per regolamentare».
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(Foto di copertina tratta da infoinsubria.com)
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