Agroalimentare

Tradizione, sostenibilità e Made in Italy: Yezers incontra Carlo Cracco

1 Settembre 2020

L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo

 

Una nuova avventura enogastronomica tra le colline di Montalbano a Santarcangelo, dove un terreno particolarmente vocato dona frutta e verdura di pregio. Due parole d’ordine: sostenibilità e responsabilità, che indicano una direzione più coscienziosa del fare cucina, in quanto non basta più realizzare un buon piatto, ma è importante anche quello che c’è dietro. Il rispetto della tradizione, della storia culinaria del Belpaese, fatta di osterie e trattorie a conduzione familiare, di luoghi e prodotti peculiari. Il Made in Italy dunque, il mestiere del cuoco – che non è mero affare dei figli d’arte o impresa dei novizi, ma duro lavoro artigianale, fatto di passione e costanza – e infine una ricetta dall’anima multiforme, un po’ borbonica, siciliana, e un po’ garibaldina: il timballo di maccheroni del Gattopardo.

Questi sono solo alcuni dei punti e degli argomenti affrontati nella chiacchierata con Carlo Cracco, che si è svolta nel corso dell’incontro telematico organizzato da Yezers l’8 luglio scorso. Lo chef – che ha confidato di non amare questo appellativo, “perché qualcuno poi pensa che sia un titolo tipo professore o maestro, io sono semplicemente Carlo” – si è raccontato alla platea dei partecipanti, partendo da uno dei suoi ultimi progetti: l’acquisto e lo sviluppo di un’azienda agricola in provincia di Rimini, a Santarcangelo, paese d’origine della moglie Rosa Fanti.

L’attività svolta da Cracco nell’azienda agricola s’inquadra in un disegno più ampio, che muove innanzitutto dall’esigenza di ripartire – dopo i mesi di chiusura dovuti al lockdown – dalla campagna e dai prodotti genuini della terra. Si producono infatti frutta e verdura – ciliegie, rapanelli, cachi, susine e pesche – ma sono coltivati anche tanti ulivi e lungo la collina si estende una bellissima vigna. Gran parte dei prodotti viene trasformata in marmellate, succhi e confetture, mentre molta della frutta raccolta finisce direttamente nelle tavole dei ristoranti di Cracco a Milano. “L’esigenza di avvicinarci sempre di più a quella che è l’origine dei prodotti è sempre stata nelle nostre corde”, ha sottolineato Cracco, aggiungendo che “si cerca ogni giorno di attirare fornitori e contadini e di stabilire con loro un rapporto duraturo nel tempo. A volte ti scontri, invece, con un bisogno ancora più forte, ossia avere dei tuoi prodotti, con un valore maggiore perché unici. Da qui nasce l’azienda agricola che, anche se non andrà mai a coprire il 100% del nostro fabbisogno, ha come obiettivo di arrivare almeno all’80%”.

Contestualmente allo sviluppo dell’azienda di Santarcangelo, che si fonda su un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e biologica, è nato il progetto di produzione della carta partendo dal riutilizzo degli scarti alimentari. Cracco ha spiegato che “da quando siamo in Galleria la carta è diventato un tema importantissimo: dalle confezioni agli imballaggi se ne consuma una marea. Ci siamo chiesti se ci fosse un modo per poter contribuire al risparmio di cellulosa e abbiamo iniziato ad utilizzare gli scarti alimentari. Nel nostro caso”, ha continuato lo chef, “abbiamo usato le bucce d’arancia che dopo la conservazione si fanno cuocere ed essiccare; poi si frullano e si ottiene una farina, grazie alla quale riusciamo a risparmiare il 15% circa di cellulosa”.

Dunque il rispetto della terra e dei suoi prodotti e la circolarità delle risorse sono i pilastri di un approccio più responsabile e sostenibile del fare cucina e del concepire la ristorazione come servizio. Dall’esperienza di Santarcangelo emerge anche la consapevolezza di alcuni squilibri che, seppur noti, rimangono comunque oggetto di riflessione. “Abbiamo imparato, e lo sapevamo già, quanto poco viene pagato chi lavora la terra rispetto a chi è poi il cliente finale. E a volte stupisce lo spreco di prodotti, perché c’è chi vuole solo ciliegie di diametro 5 o mele perfette, nonostante il sapore sia lo stesso. La frutta va raccolta e mangiata, deve maturare nella pianta, altra cosa fondamentale che non succede quasi più oggi. Per cui l’obiettivo è di studiare e ricercare i meccanismi per rispettare ciò che abbiamo già, servendolo al meglio”, ha spiegato Cracco.

Nel corso dell’incontro è stato affrontato anche il tema del Made in Italy, concetto abusato secondo lo chef, o usato per altri scopi. “Bisogna partire da alcuni dati di fatto”, ha continuato Cracco. “Innanzitutto chi gira l’Italia giustamente ne visita le attrazioni principali, senza però cercare di capire perché certi luoghi danno certi frutti e soprattutto perché certe tradizioni sono riuscite a creare delle ricette ancora famose in tutto il mondo. Il nostro popolo ha nel DNA la capacità di saper ascoltare e governare la terra; basti pensare al pomodoro, prodotto importato dalle Americhe, la cui massima espressione è quella italiana. All’inizio era una pianta ornamentale, poi si è capito che era un frutto molto prezioso e si è creata un’industria, che oggi è importante conservare”. “Inoltre”, ha continuato, “siamo un Paese di piccoli produttori, contraddistinto da differenze geografiche e ambientali, con migliaia di prodotti diversi che variano enormemente anche nel giro di qualche chilometro”. Dunque lo spirito del Made in Italy dovrebbe essere la conservazione di queste differenze e dei valori che le hanno rese grandi, non un brand o un’idea, ricordando anche che la nostra storia culinaria è nata in trattoria.

Nella parte conclusiva dell’incontro Cracco ha evidenziato l’importanza del ruolo svolto dal negozio online aperto nel mese di dicembre, che in pieno lockdown ha comunque garantito la continuità del servizio di ristorazione. Ha ricordato le difficoltà della riapertura, “esperienza molto forte caratterizzata da incognite e diffidenza delle persone, che all’inizio avevano paura di tornare al ristorante”. Ha parlato della sua formazione, partendo dall’esperienza della scuola alberghiera, spiegando che il mestiere del cuoco è innanzitutto artigianale e contraddistinto da “un continuo donare agli altri”. Infine ha proposto una ricetta per Yezers, il timballo del Gattopardo, “un piatto per chi vuole andare un po’ oltre, proprio come voi; dolce, salato, che contiene la pasta e ne è anche avvolto”. Una ricetta che per essere realizzata ha bisogno di almeno una mezza giornata di lavoro, che racchiude al suo interno diverse personalità e storie, evoluzione e tradizione.

 

Francesco Giorgi
Membro della Redazione di Yezers

 

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