Agroalimentare

Se il bond lo garantiscono il cibo e il bere ‘Made in Italy’

8 Aprile 2016

Che l’Italia, il suo vero ‘oro’, non lo abbia nascosto nei ‘caveau’ ma tra filari di viti e campi di grano, acetaie o caseifici, cantine e prosciuttifici – nell’agroalimentare, per tagliare corto – non è poi un gran segreto. Se solo i prodotti Dop e Igp – secondo un rapporto Ismea -Qualivita – sviluppano, nel segmento ‘cibo e vino’, un patrimonio da 13,4 miliardi di euro, per una crescita del 4% e un peso del 10% sul fatturato totale e il valore del loro export tocca i 7,1 miliardi di euro con un incremento di oltre l’8% e un peso del 21% sul totale delle esportazioni agroalimentari italiane, quel che si muove di nuovo, nel comparto, è l’intreccio tra prodotti ambiti ed eccellenti – e per questo di grande valore – e finanza. In particolare, la possibilità di ottenere fondi per investimenti attraverso l’emissione di obbligazioni – i cosiddetti minibond aziendali – garantite dagli stessi prodotti. Amati e di successo. Credibili.

A febbraio, come hanno riportato i media locali e nazionali, la cooperativa modenese ‘4 Madonne Caseificio dell’Emilia’ – che lavora 75.000 forme di Parmigiano, più o meno il 2% della produzione mondiale – ha offerto in ’pegno’ il suo formaggio per finanziarsi e garantire una obbligazione dal valore di 6 milioni di euro quotato sul segmento ExtraMot di Borsa Italiana in scadenza a gennaio 2022 e un rendimento fisso annuo del 5%. Nelle stesse settimane in Valpolicella, invece, il Gruppo SalvaTerra, ha sottoscritto un finanziamento a medio termine da 9 milioni di euro erogato da un gruppo di banche offrendo a garanzia il vino serbato nelle sue cantine.

E proprio il vino che, secondo il rapporto Ismea-Qualivita, ha registrato nel 2015 esportazioni per 5,4 miliardi di euro in crescita del 5,3% rispetto al 2014 con le ‘bollicine’ vere protagoniste (2,8 milioni di ettolitri le consegne oltre confine e 985 milioni di corrispettivi) e secondo l’annuale indagine di Mediobanca, presentata ieri, ha visto i maggiori gruppi archiviare una crescita del fatturato del 4,8% soprattutto grazie a export (+6,5%) e spumanti (+10%), rappresenta l’ambito ideale per i mini-bond capaci di portare ‘ossigeno’ alle aziende medio-piccole alle prese con l’inasprirsi delle condizioni di accesso al credito bancario. A suggerirlo, con dovizia di particolari, è uno studio, pubblicato nei giorni scorsi,  condotto da Crif Ratings, pensatoio economico che fa capo a Crif, società bolognese specializzata in sistemi di informazioni creditizie, business information e soluzioni per la gestione del credito.

“Il candidato ideale – afferma Paolo Bono, Associate presso Crif Ratings nel rapporto consultabile sul sito della società – è il settore del ‘Wine’ che per diverse ragioni appare un segmento molto interessante per lo sviluppo di finanziamenti alternativi al prestito bancario In questo comparto, il tessuto imprenditoriale è costituito quasi esclusivamente da piccole e medie imprese; allo stesso tempo il posizionamento di prezzo e il livello dei margini unitari risultano positivamente correlati con l’offerta di vini invecchiati che alimentano il valore delle rimanenze e necessitano di una pianificazione finanziaria di medio e lungo periodo”.
Di fatto, viene sottolineato, “osservando le prime 15 imprese italiane per marginalità unitaria, per circa l’80% di esse il peso del magazzino rispetto al fatturato è superiore al 50%, una circostanza che si spiega con la focalizzazione produttiva su vini affinati che, prima di essere veicolati sul mercato, alimentano il valore degli stock per più esercizi”. Condizioni che appaiono adatte al mercato obbligazionario. “Tanto più – conclude lo studio – se il valore del magazzino, che per le 15 imprese considerate supera i 400 milioni di euro nei bilanci 2014, può essere utilizzato a garanzia del debito e quindi a riduzione del suo costo”.

D’altronde, evidenzia ancora Crif Ratings – che ha dato vita a un osservatorio  semestrale con Wine Monitor di Nomisma  sui tassi di default delle imprese vinicole italiane – oltre al record dell’export nel 2015, i tassi di ‘default’ nel comparto risultano “ampiamente al di sotto della media registrata per l’intero ‘Food & Beverage’”. Sia “con riferimento a incagli e sofferenze bancarie” sia per i “default pubblici. Nel 2015 i tassi di default Basilea e pubblico del settore wine si attestano, nell’ordine, al 3,9% e 0,5%, sensibilmente inferiori a quelli del complessivo comparto del Food & Beverage, rispettivamente il 4,4% e lo 0,9%”.

(Immagine di copertina tratta dal sito Internet della Enoteca Regionale Emilia-Romagna)

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