Agroalimentare
L’azienda Tuetera e Soulfood raccontano un progetto di agricoltura rigenerativa
In Brianza, l’azienda agricola Tuetera sta mettendo in campo l’ambizioso progetto di un sistema agroforestale rigenerativo, e intorno si svilupperà l’esperimento di un villaggio agricolo autonomo.
Un terreno di 170 ettari, 9 cascine ora ridotte a ruderi da ristrutturare, 3 diversi comuni e province da mettere d’accordo a livello amministrativo per gestire un unico progetto: quello di Tuetera potrebbe essere un progetto pilota e ispirare altre aziende agricole ad adottare sistemi non solo sostenibili ma appunto rigenerativi di utilizzo dei terreni.
Gli Stati Generali ha intervistato Alessandro Rovati, fondatore di Tuetera per farci raccontare la sua idea. Abbiamo parlato anche con Alessandro Di Donna di Soulfood Forestfarm Impresa Sociale, che affianca Tuetera come consulente sulla parte di agroforestazione, per scoprire come funzionerà il progetto sul piano agricolo.
Che storia hanno i terreni su cui avrà luogo il progetto?
Alessandro Rovati: I terreni provengono da un fallimento ed erano in proprietà a una banca: i tre proprietari precedenti provavano a fare investimenti di tipo speculativo ma le associazioni locali del comune di Inverigo si sono sempre opposte a progetti che non avessero fini di salvaguardia del territorio o di rigenerazione dell’ecosistema. Questo fallimento risale a più di vent’anni fa e quando siamo entrati le cascine erano completamente mascherate dalla bellezza della natura. Il primo lavoro che abbiamo fatto è stato quello di ripulire, di scoprire questi ruderi e pian piano capire qual era la morfologia del territorio, pulire strade. C’erano 9 km di strade asfaltate perché i proprietari precedenti volevano fare un campo golf: era un progetto molto elitario. Quando ci siamo interfacciati noi con le amministrazioni e abbiamo portato valori di agricoltura rigenerativa e di biomimetismo, gli si sono illuminati gli occhi.
Come hai scelto il luogo per farlo partire?
Io sono originario della Brianza. Erano sei o sette anni che cercavo dei terreni altrove, per esempio in Toscana, ma sempre più ho capito che volevo farlo vicino a Milano: questo è un posto che è visitabile dalla città in solo 40 minuti di treno. Avere un posto del genere a ridosso della città è molto più significativo.
State cominciando proprio ora con Soulfood a lavorare sui primi due ettari, giusto?
Sì, poi nei prossimi 3 o 4 anni, oltre al progetto rigenerativo di questi due ettari e mezzo, si svilupperanno altri ettari sempre in agroforest e agricoltura rigenerativa e ci saranno progetti di biodinamica e di permacultura. L’idea è di trovare modello agricolo Tuetera per poi espanderlo e fare divulgazione, convincendo l’agricoltore next door che una cultura della terra di questo genere è totalmente possibile, sia in termini di lavoro che di profitto. Il profitto è qualcosa che cerchiamo, anche per far vedere un sistema del genere può dar da vivere e mangiare a delle famiglie e alla comunità allargata.
Cosa farete delle 9 cascine?
Alle cascine saranno associate varie attività, per esempio sul piano educativo. Stiamo cercando sistemi educativi fuori dal sistema classico basati sul vocational learning, in modo che il ragazzo (ma anche l’adulto, perché la scuola sarà aperta anche agli adulti) possa seguire la sua vocazione, i suoi interessi.
Oltre alla scuola ci sarà una bellissima parte di ospitalità, sia a breve che a lungo termine. L’idea è di avere nei prossimi anni una comunità di persone che vivano stabilmente o anche solo nel weekend o anche sei settimane all’anno all’interno di Tuetera.
Ci saranno case, cottage, case sugli alberi… ognuno potrà trovare quello che cerca perché questo è un progetto assolutamente non elitario, anzi, profondamente inclusivo.
Creeremo anche un centro di guarigione per cercare di colmare questo buco che c’è tra medicina convenzionale e medicina più tradizionale, fitoterapeutica.
Ovviamente ci sarà anche una parte sportiva: vorremmo coinvolgere atleti, predisporre aree sportive. Vogliamo creare un contesto di villaggio sperimentale in cui ci sia tutto: lo sport, la ricerca, l’educazione, e tutto ciò supportato da un sistema agricolo con vita autonoma.
Una sorta di villaggio autarchico?
Per il momento l’autarchia è quasi utopica, ma si può essere un villaggio autonomo – Decentralized autonomous organization – cercando anche un’indipendenza energetica, un autosostentamento sul piano del cibo… si tratta di capire cosa è possibile fare prima di tutto facendolo. Si tratta soprattutto di creare collaborazioni, coinvolgere persone per creare insieme qualcosa di nuovo. Per esempio abbiamo già coinvolto i ragazzi di Soulfood cui stiamo affrontando la parte agricola, o un bellissimo collettivo di architetti che si chiamano Frange mobili che ci stanno aiutando sul versante delle costruzioni in modo che siano completamente sostenibili e a zero impatto ambientale. E stiamo creando anche collaborazioni con le università o con altri imprenditori. Un po’ una Factory come quella di Andy Wharoll ma senza nessun ego: una fucina dove portare persone che vogliano fare cose in maniera pensata, affrontando le criticità che vediamo esserci nel sistema. L’idea è di capire quali sono i problemi e per quanto possibile dare la nostra, non dico risolverli ma fare la propria parte.
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E per voi, quando è cominciata questa collaborazione?
Alessandro Di Donna: La collaborazione è cominciata a settembre 2021. Noi di Soul Food Forestfarm stiamo seguendo questo progetto come consulenti insieme a Fidim e l’Azienda agricola Tuetera. È un progetto che si colloca in un’area divisa fra tre comuni della Brianza: Veduggio Con Colzano, Inverigo e Nibionno. Si tratta di un’area molto conosciuta perché ospita l’Orrido di Inverigo, ci sono circa 34 fonti d’acqua sorgente che negli anni hanno creato delle vasche naturali e nei secoli scorsi erano considerate le terme della Brianza. C’è anche un bosco gestito. Insomma, a livello paesaggistico è eccezionale. Con un approccio di progettazione allargata e multi stake-holder, stiamo progettando insieme un sistema agroforestale rigenerativo
Ci state già lavorando?
Stiamo iniziando ora le prime operazioni di campo per avviarlo. In primavera metteremo a dimora i primi due ettari, poi in autunno si farà l’impianto arboreo e arbustivo.
E come sarà strutturato?
Il lavoro per il momento comprende appunto due ettari con filari in keyline distanziati fra loro 10 metri, così negli interfilari verranno posizionate culture produttive della filiera ornamentale, in particolare erbacee perenni da fiore, che cercano di andare contro il concetto del fiore reciso olandese.
Quindi immagino anche alveari.
Sì, c’è anche un progetto relativo all’apicultura che prevede l’allevamento dell’ape ligustica italiana: si tratta di un’ape autoctona in via d’estinzione e più che la produzione di miele il progetto è improntato sulla conservazione di questa specie, che sarà integrata in tutto il complesso agricolo; infine c’è la filiera dei principi attivi, quindi piante officinali, aromatiche per tinture madri, tisane etc.
E questo sistema si potrà poi espandere ulteriormente in quell’area?
L’idea è questa. Ci sono aree di bosco che attualmente sono improduttive, in parte arboreti degli anni ’90 che per mancanza di finanziamenti non sono state mantenute e quindi sono in stato di degrado e ora verranno riconvertiti a boschi produttivi con la produzione di funghi e piante della filiera ornamentale e di principi attivi del sottobosco. L’idea è sia riconvertire i boschi sia colonizzare le aree prative – non tutte ma alcune adatte alla produzione di frutta – in un sistema agroforestale misto che possa mantenere questo aspetto ecotonale. Quindi non vogliamo riportare il bosco pieno all’interno del seminativo ma un giusto equilibrio tra copertura vegetale arborea. I filari sono a 10 metri l’uno dall’altro così quando cresceranno avranno spazio e non andranno a chiudere il bosco, ci sarà un misto di ombra e luce.
Potrebbe essere di esempio anche per altri in futuro.
Sì. Questo progetto insiste su tre comuni, quindi c’è tutta una complessità di gestione amministrativa, quindi avrà un’importanza fondamentale per tutta la Brianza e sarà uno dei più grossi progetti di tutta Europa di agricoltura rigenerativa. È un ambito in cui si sta investendo parecchio, anche in Inghilterra sta nascendo un progetto di circa 500 ettari, sempre finanziato da privati. Si può dire che questa sia la nuova frontiera dell’agricoltura: non è solo il singolo agricoltore che cerca con le proprie forze di essere etico, che è difficile perché non ci sono sostegni adeguati; c’è invece una sorta di mecenatismo virtuoso, con anche un intento di business, perché no, ma con la volontà di investire sulla sperimentazione e su soluzioni veramente rigenerative. Si tratta di privati con una visione molto ampia, oltre alla capacità economica di poter poi eventualmente creare proprio un modello territoriale, su ampia scala. In questo modo poi l’esperienza sarà più facilmente replicabile anche dal singolo agricoltore o da un’azienda.
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