Agroalimentare
Ci salveranno i luoghi comuni. Forse
Era un sabato mattina di fine primavera. Seduto in uno dei tanti Starbucks di New York, con un frapuccino davanti, cerchiavo con la penna rossa gli appartamenti che sembravano fare al caso mio sulla pagina degli annunci immobiliari del New York Times. Alla fine del frapuccino ne avevo segnati una quarantina. Un’oretta di telefonate e su quaranta chiamate, giusto una decina, si erano concluse con una chiacchierata. Tutte le altre con un messaggio in segreteria: probabilmente, visto il week-end, i proprietari di case da affittare se ne stavano agli Hamptons o su qualche altra spiaggia vicina.
Entro lunedì tutti, ma proprio tutti, mi avevano richiamato per prendere un appuntamento o per dire che il locale era già stato affittato. E tutti, ma proprio tutti, avevano perso qualche manciata dei loro ‘New York minutes’ per scambiare due chiacchiere con un italiano appena arrivato a vivere e lavorare, per un po’, in città. E giù a chiedere della Toscana, del buon cibo e del buon vino. Della Dolce Vita (che non c’è più), dell’abbigliamento e dei motori. Di Venezia, di Roma e Firenze, tutte così charming. Di Fellini, ancora, chè vieni da Rimini.
E poi dei marchi del lusso, di Pompei, di Renzo Piano, impegnato a costruire il nuovo grattacielo del New York Times, del ‘ma come fate, tutti voi, a cuocere la pasta al dente anche se non siete chef?’. A parte la pizza e il mandolino, una bella sfilza dei luoghi comuni che, da sempre, accompagnano l’Italia. Pure oggi. E per fortuna.
Tutti i luoghi comuni che, per un attimo provi a smontare – ‘beh, guardi, no mica tutto è così…’ gracchi al telefono – ma che, invece, ti tieni ben stretto.
Erano gli anni del Berlusconi imperante, quelli del ‘venite a investire in Italia che abbiamo delle belle segretarie’, della politica estera del cucù e del Porcellum. Quasi invisibili, per chi dell’Italia aveva in mente il ‘Chiantishire’e la sua aura di bellezza. Sono i giorni del Renzi più o meno imperante, del referendum costituzionale, dell’Italicum, del Movimento 5 Stelle e dell’antipolitica. Altrettanto invisibili, a quanto pare, per chi dell’Italia ha in mente, storia, cucina, cultura, moda, motori. E magari pure pizza e mandolino.
Che fanno parte di un patrimonio culturale unico. E unico serbatoio da sfruttare per provare il rilancio se, secondo il World Economic Forum (qui e anche qui), l’Italia perderà la metà dei suoi posti di lavoro – per mancanza di competenze adeguate a fronteggiare la quarta rivoluzione industriale – nei prossimi cinque anni.
Se se solo i prodotti Dop e Igp (qui) sviluppano, nel segmento ‘cibo e vino’, un patrimonio da 13,4 miliardi di euro e il valore del loro export tocca i 7,1 miliardi di euro aprendo la via a un intreccio tra prodotti eccellenti – e per questo di grande valore – e finanza con la possibilità di ottenere fondi per investimenti attraverso l’emissione di obbligazioni garantite dagli stessi prodotti. Amati e di successo. Credibili.
Forse sbaglio, ma se ci salviamo, ho idea che sarà per i luoghi comuni. Non per molto altro. Per fortuna.
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