Agroalimentare
CHI È VERAMENTE CHEF RUBIO?
«La lobby più potente al mondo dopo quella delle armi è quella del cibo. Un cibo che serve ad annichilire le persone, a farle ingrassare, a pompare la loro dipendenza da glicemia, grassi e zuccheri presenti in quantità tali, nel cibo industrializzato, da inebetire le persone. Ingozzata di veleno la gente pensa solo a magnà e rimagnà». A dirlo è Chef Rubio, mica un NO EXPO qualsiasi. Roba pesante se con il cibo ci campi. Write and Roll l’ha intervistato e l’ha fotografato come mai l’avete visto. La celebrità, i racconti osceni, l’amore per la sorca, i trans, il Papa. Lo chef di Unti e bisunti e de I re della griglia si fa coprire di spaghetti al sugo e mostra le sue contraddizioni. Tutte quante. Foto di Mattia Zoppellaro.
Ti costa un po’ fatica parlare?
Molta fatica (sorride)…No, non è vero, dipende… Quando attacco e mi piace l’argomento, tiro un sospiro di sollievo. Magari sto un po’ sulla difensiva all’inizio, ma stando tanto in silenzio come un eremita poi ho bisogno di conversare. Siamo animali sociali no? Alla fine sono pieno di contraddizioni come tutti quanti, quando sto in mezzo alla gente mi piace dire la mia, ma non mi piacerà mai, e dico MAI, quanto osservare.
Dopo questi ultimi anni, tutto questo lavoro, questa esposizione, questo cambio di vita da sconosciuto a personaggio televisivo, sei cotto?
No, ancora qualche barlume di energia ce l’ho però se ho cinque minuti di svago mi annullo, vado tipo in catalessi. Faccio scorta di energia, comunque… si son cotto sfondato. Ma sai, non c’è nessun conflitto tra quello che ho fatto per arrivare fino a questo punto e la fatica che mi è costato farlo, è tutta energia convogliata nella stessa direzione. Sono convinto di aver vissuto più vite di tanti altri miei coetanei o dei miei stessi genitori. Non ti dico che potrei già morire contento però me dovesse pijà un furmine adesso mi son tolto tante soddisfazioni. Detto questo, ho parlato più di quanto abbia mai parlato in trent’anni.
Come è la tua celebrità? Tutti vogliono staccarti un pezzettino per attaccarlo al frigo con una calamita come fosse una cartolina di Venezia?
Mah. La cosa brutta è che quando si nutrono di te che fai che ne so il cantante…quella canzone se la mettono in loop, però è tutto più soft, meno invasivo, invece quando ti vedono nella loro tv, nella loro cucina, accanto alle loro cose è come se tu diventassi uno di casa. Amo i miei fan ma chiaramente questa bomba di affetto che mi torna addosso, anche se piena di bontà, alle volte è troppo da gestire. Gli amici me li sono scelti, le compagnie me le scelgo, sono un grosso selezionatore, dover accettare sempre pacche sulle spalle, strattoni dopo un po’ mi mette in crisi.
A Elvis gli aprivano apposta il cinema per una proiezione privata. Hai paura di fare quella fine.
No, speriamo de no, di non ingrassare così (ride) e di non morire di infarto sulla tazza del cesso. Speriamo di no. Vorrei morire in maniera più decorosa oppure in maniera eclatante tipo cadendo dal quarto piano di un mega supermercato colorato e esplodendo come una bomba, come un atto dimostrativo, coi bambini che urlano e io che schizzo dappertutto.
Oh mamma. Ma è catartica questa morte così metaforica?
(ridiamo entrambi) Vorrei sporcare tutti, vorrei rompere il cazzo anche nell’istante in cui muoio.
Rompere il cazzo è in contrasto con la riservatezza di cui parlavi prima.
È la firma estroversa che vorrei mettere all’opera. Tipo “scusate ma volevo dire una cosa anche io, posso? Ora posso???”. E magari quando stai mangiando il gelato alla panna o alla crema ti arriva lo schizzo di sangue in faccia.
Stai dicendo che è difficile difendersi dal successo. Tu ce la fai?
Boh, non ce l’ho fatta subito, ci ho messo qualche settimana per capire cosa stesse succedendo perché è stata un’evoluzione (o involuzione) veloce. All’inizio non è che fossi sulla bocca di tutti. Le persone erano più discrete mi avvicinavamo in maniera positiva e mi faceva piacere questa nuova dimensione, poi piano piano si è arrivati a un livello che mi ha spaesato tipo TANTE attenzioni e tutte assieme. Come ho potuto ritagliare anche cinque minuti di tempo ho ripreso ad ascoltare musica notte e giorno e alle volte era un escamotage per estraniarmi o fingere concentrazione. Nei treni capita che m’infilo le cuffie anche spente sperando che nessuno mi chieda niente.
E questo ti fa sentire in colpa?
No, anche perché non mi sottraggo mai a farmi una foto con un fan, però mi toglie qualcosa. Ad esempio non posso più fissare le persone che era uno dei miei passatempi preferiti. Prima di avere una vita pubblica passavo un sacco di tempo in giro cercando di capire le persone guardandole negli occhi, adesso non posso farlo più. Questa è la mia quotidianità al momento, ed è doveroso concedersi nei confronti di chi ti permette pure di esistere.
Non mi pesa il fatto di uscire meno la sera, non uscivo neanche prima. Però essere un signor nessuno all’aeroporto mi manca. Gli aeroporti mi piacevano da morire, ci andavo a osservare le vite degli altri, ora li detesto. Una volta era tutto una gita, tutto una visione, era come andà a Tokio, a New York, metropoli dove non ti caga nessuno, dove ti mischi nella folla, adesso sono a un punto in cui non c’è un albero, un cespuglio, niente dietro cui nascondermi.
C’è una parte del tuo carattere calma, da osservatore. L’altra però è sfrontata, prepotente…
Ma la parte prepotente voleva solo mostrare a quella silente che sapeva il fatto suo però forse non aveva fatto il conto con il rovescio della medaglia. Sai io credevo che sarei stato un fenomeno più underground, non di massa. Pensavo che avrei avuto un pubblico di nicchia e non avevo ambizioni megalomani, volevo semplicemente dire la mia. Solo che quello che ho detto e come l’ho detto pare sia piaciuto fin oltre le mie aspettative. Io sono per il dare, anche la cucina è dare. Tu offri qualcosa a qualcuno, metti a disposizione la tua arte per qualcun altro. Però è un’arte funzionale, non può essere fine a se stessa un’arte, non è fine a se stessa e da li può nascere tutto quello che vuoi, tipo un libro, un quadro, un film. Il cibo è la cosa più intima che ci sia e se ne sta lì nella sua compiutezza.
Ma come è nato il personaggio di Rubio, da dove esce? Sei stato scelto da Discovery dopo che avevano notato dei tuoi video amatoriali su YouTube, giusto?
Sta cosa me fa ride! Il personaggio… non esiste un personaggio cioè esiste per chi vuole ridurlo a tale ma quello che vedi in tv sono io. Gli autori mi hanno dato solo dei grossi consigli tecnici e professionali, però i contenuti, i pensieri, tutto il resto sono improvvisate mie. Sia ben chiaro, improvvisate che senza gli autori e le loro competenze non avrebbero mai funzionato.
Questo non c’entra niente con il dualismo (un tribale enorme, tipo un tao) che hai tatuato sulla schiena?
Sì, chiaro. Sono il mio dualismo.
Il dualismo che finirà per…
No, è ciclico. Il mio io duplice è sempre all’interno dello stesso involucro quindi ‘ndo scappo? Il casino è quando uno vuole scappare. Io credo che non affrontarli amplifichi i problemi. E questo vale nei sentimenti, nei rapporti, nel lavoro. Credo anche, però, che crescendo i problemi che sembravano insormontabili spesso non lo sono più o vengono smontati. Alla fine siamo noi che comandiamo non il nostro corpo o cervello.
Come sei arrivato in cucina?
Non è un vocazione la mia, i miei fanno gli avvocati. La cucina è venuta fuori perché è riuscita a colmare una mia curiosità. Una curiosità che mi divora da dentro e che mi ha sempre accompagnato e che mi porterà a cambiare ancora. Non credo che farò il cuoco per sempre. Unti e Bisunti non è un programma di cucina, è una ricerca antropologica. L’elemento di sfida lo abbiamo usato solo come escamotage ma volevamo dare una voce ai più deboli ma anche dare un po’ fastidio, sparigliare.
Quindi la tua curiosità è solo un ponte, un mezzo per giungere ad altro. Che ne so, perché non hai aperto la tua catena di ristoranti?
Naaa, ma tu sei matto. Un ristorante non lo vorrei. Sono ponti, sì. Non esistono forse attori che fanno i cantanti o cantanti che fanno i registi? Ecco io credo di essere così.
Ecco infatti quando ho letto il tuo blog, Traslochi Funebri, sono rimasto sorpreso. Non sapevo che scrivessi.
Nemmeno io quando mi son messo a scrivere. Il blog è nato in un’estate del 2010, credo. C’era una mia amica, Luisa Rinaldi, che chiamarla amica è riduttivo. Noi ci chiamiamo Morgana e Lucifero. Come se fossimo alter ego.
Infatti i pezzi non sono firmati, come se fosse un autore unico, e l’immaginario è comune. Ed è un immaginario cupo, fatto di scambismo, divorzi, storie omosessuali, un qualcosa che non avrei mai detto.
Mi sono reso conto di quanto eravamo affini e mi è venuta voglia di raccontare tutti quegli scenari che piacciono a entrambi. Il nostro intento era quello di comunicare a tutti coloro che ci stanno attorno che in realtà sono dei morti ambulanti, ma volevamo dirglielo simpaticamente. Traslochi non è altro che un libro però incompiuto, sono tre storie che si sarebbero dovute evolvere e poi incastrare. Ci siamo fermati per lavoro. Adesso lei è in Australia e nel nostro gioco di scrittura io sono quello che scrive la pagina dopo, quindi voglio aspettare che entrambi abbiamo le condizioni necessarie per continuare. La cupezza, comunque, è in tutti noi, no? È scomodo parlarne, ma mi piace. Welsh, Palahniuk, a me piace molto quel mondo.
Comunque si tratta di un dialogo tra te e lei, diciamo che la scrittura è la rappresentazione del vostro immaginario.
Certo, non avrei potuto farlo con nessun altro.
Non avevi paura, essendo un personaggio pubblico, di scrivere certe cose? Sei cosi libero di gestire la tua immagine?
Beh, certo, ho degli obblighi contrattuali e i limiti del comune buon senso. Rispetto massimo per chi mi dà il lavoro, per i professionisti che mi circondano e so che il rispetto è reciproco. Per quanto riguarda la mia libertà di pensiero non sarà certamente un programma televisivo a fermarmi. Ho una spiccata sensibilità per i temi sociali di una certa delicatezza, come le condizioni di vita in carcere o gli abusi in divisa. Mi capita di parlarne sui miei profili social e non credo di aver mai superato i criteri di un’osservazione civile e aperta al dibattito. Lo faccio per me e per il ‘popolo’, intendo per la gente. Mi piace l’idea di svegliare menti assopite e soprattutto mi piace essere vigile sulle ingiustizie.
E questa cosa da chi l’hai presa in casa?
A me devi spararmi per non farmi parlare. Questo è il carattere di mia madre. Mio padre è più diplomatico ma credo di andare oltre loro due. Non sopporto le ingiustizie. Non è ancora capitato ma farò delle figure barbine. Se vedo uno che picchia un cane in strada io vado e lo pesto.
Quindi la roba omosessuale di cui parli non è autobiografica? Prima parlavamo di trans e necrofilia, sei mai stato con un trans o con un uomo?
(ride) Sia chiaro, a me me piace la sorca. Certo è che ho girato il mondo, non vivo col paraocchi e ti dico mai dire mai. Non mi piace il pregiudizio, mi sono capitate situazioni goliardiche con amici dove c’erano anche trans. Non mi piace il pregiudizio, sono per la massima espressione della libertà, anche sessuale, e per il rispetto. Chiaramente penso che gli omofobi siano dei gran repressi.
Anche questa, quindi, è una tua battaglia di integrazione?
Sì, ti faccio un esempio. Amo molto la fotografia, mi piacerebbe realizzare dei progetti fotografici ma non ruffianate, per esempio mi è capitato di vedere lavori su drag queen, trans, prostitute e gay rappresentati come in un circo. Vorrei andare tutti i giorni a filmare, che ne so, una prostituta seduta accanto al fuoco di un bidone che batte e stare con lei, solo, nel silenzio, cercando di capire ma non capendo per forza. Non devi per forza capire, devi trattare una persona come un essere umano. Punto. Vorrei realizzare una Pietà di Michelangelo, un uomo che è Gesù Cristo ma tenuto tra le braccia da un trans che fa la Madonna. Però immagina il trans più bello che possa esistere sulla terra perché il mio sogno è che i superficiali siano tratti in inganno e abbocchino e pensino “che fregna”. Vorrei che si innamorassero di quella Madonna senza sapere che è una trans altrimenti la giudicherebbero e basta.
Noi abbiamo parlato di Dipré, che in questo mondo ci vorrebbe bazzicare anche se spesso prende delle derive tutte sue.
Lui è una persona totalmente spregevole però uno lo adora, non puoi resistergli.
Prima mi hai citato un libro sulla necrofilia che hai purtroppo lasciato sul bus Terra Vision a Londra.
Sì, “Necrophilia Variation”, lo trovi su internet. E’ un libro in inglese che dice che lo stadio ultimo dell’erotismo è la necrofilia. Racconta la parabola di un uomo stanco di rapporti sessuali con la propria donna, prima, e con donne molto belle, dopo. La stanchezza, la ripetitività lo induce a spingersi nei meandri di se stesso, a esplorare le sue zone grigie. E allora prima c’è l’avventura col trans, poi la zoofilia e poi, come gradino più basso, la necrofilia. È obbrobrioso fare sesso con un morto, non c’è dubbio, ma il libro sposta l’asticella e sostiene che nulla impedisce di usare una parte di un cadavere come qualcosa che possa valorizzare quella persona e la sua memoria, senza metterla nel dimenticatoio per sempre. Così il protagonista decide di recuperare un femore, pulirlo per poi farne un dildo. Secondo lui un modo per evitare che quel corpo diventi cenere, così che quel cadavere continui ad avere una vita.
Madonna, sei attratto da sta roba?
No, no io sono attratto dal vero, odio le menzogne. Tutto quello che è fuori dalla realtà è menzogna.
Lo sai che ragioni quasi come un francescano?
Mi stai dicendo che sotto sotto ho il cristianesimo nel sangue? Non farti fregare, il cristianesimo si è appropriato di un’ideologia, quella della condivisione. Hanno fatto gli slogan. Prendi il gesto dello spezzare il pane e moltiplicarlo, un gesto su cui hanno il copyright. Quella è una tendenza insita nell’essere umano, perché se tu vuoi stare bene nel mondo devi dare. Ed egoisticamente devi essere felice tu di dare, perché siamo degli specchi e generiamo amore o odio a seconda degli altri, che a loro volta sono pure specchi. Insomma, se si è buoni e felici gira tutto meglio, no?
Minchia, sei totalmente un francescano. Il Papa ti piace?
Papa Francesco è una persona che, per quanto buona, non avrà mai il potere di restituire all’umanità quello che la Chiesa le ha tolto per millenni.
Le paghi le tasse?
Io sì. Sappiamo tutti che l’Italia è uno dei Paesi con la maggiore pressione fiscale al mondo, la prima in Europa per tassazione sul lavoro. Ne paghiamo fin troppe e me ne sto rendendo conto ancora di più adesso che ho cominciato a lavorare con più costanza. Nonostante i miei tanti impegni professionali negli ultimi due anni mi è stato impossibile mettere da parte risparmi, il 60% evapora in tasse. Giusto pagare le tasse ma il nostro è un sistema complesso e macchinoso che deve sanare buchi creati da sperperi e ruberie precedenti e che non risolve il problema dell’evasione. Un cane che si morde la coda.
Ah, perché hai un contratto a progetto immagino.
Certo poiché do un servizio.
La gente penserà che ti sei messo a posto, che sei ricco, che tu non possa avere problemi.
Avessi lavorato all’interno di un ristorante qualunque, in una qualunque città, avrei guadagnato lo stesso, anzi forse qualcosa di più perché le tasse me le avrebbe pagate un datore di lavoro.
Hai ricevuto offerte di lavoro da ristoranti?
Sì, collaboro nei ristoranti di alcuni colleghi che stimo. Oppure fornisco consulenze come con chi mi chiede di rifargli il menù. E non mi dispiace prendere parte ad eventi, che ne so, se mi chiamano a parlare della cucina romana o a cucinare qualcosa di street. O a cimentarmi con la cucina di qualità che amo, ad esempio quella asiatica.
Come vieni percepito nel mondo della cucina fuori dalla tv? I tuoi colleghi nella mia testa sono Cracco & Co..
Ma no, non li conosco neanche. Io per colleghi intendo i cuochi che ho conosciuto nelle cucine. In tv io non faccio il cuoco ma il comunicatore e il mio messaggio è dire: la cucina va fatta se ha un senso, se è al servizio di qualcuno. Io cucino per le persone, per altri da me, non è che faccio il piatto per il “giudice” del talent. Ho bisogno di cucinare nella realtà e ho bisogno che cucini per me una persona in carne e ossa che voglia darmi qualcosa.
Sai, io lo amo un po’ Cracco. Quell’aria da sergente maggiore di Full Metal Jacket fa si che gli voglia bene. Lui fino a tre anni fa nessuno sapeva chi fosse e lavorava come un cane come tutti noi. Poi, dopo Masterchef, è diventato un vate ma nel mondo della cucina era già apprezzato.
Spetta, Spetta. Io sto dicendo che lui è totalmente diverso da me, sia perché è molto più bravo sia perché ha più esperienza. Pur non avendoci mangiato mi basta vedere il suo lavoro per provare un gran rispetto nei suoi confronti, come cuoco. Da ogni singolo gesto che compie in cucina, nelle poche immagini che ho visto, si vede che viene da anni di alta cucina e fa delle cose che a me magari non uscirebbero nemmeno tra anni.
Ci mangeresti da lui?
Io mangerei da chiunque, ci mangerei per la sua cucina, non perché è Cracco di Masterchef. Anzi, tutto questo artificio commerciale che ha intorno, questo essere così esposto mediaticamente, forse, è anche riduttivo nei confronti del Cracco Cuoco.
E che ne pensi di quando fa bruciare le patatine col pomodoro sopra nella pubblicità?
Boh, quelle son scelte sue che io non avrei fatto. Come quell’altro che ha sponsorizzato la Coca Cola, nulla di più lontano dal cibo.
Ecco questo è un punto importante, me ne rendo conto al supermercato. Ti faccio un esempio: ogni volta che sono di fronte a una bufala campana la vorrei comprare ma poi penso ad Acerra, all’inceneritore, ai luoghi dove vengono prodotte e la rimetto giù. Quante delle cose che sono sugli scaffali di un supermercato ci avvelenano? Quante delle robe che ci stanno qua dentro mi fanno male? E il biologico? Se stai a Milano è già tanto se vai alla Sma sotto casa, come fai a mangiare decentemente? Gente che fa la liposuzione a 34 anni, panze, panini…
Non è vivere è sopravvivere.
Se uno come me volesse seguire un regime alimentare sano e non avvelenarsi, cosa dovrebbe fare?
Non è tutto un incubo, basta studiare, leggere e informarsi. Per esempio: la popolare dieta proteica, mollatela! Non c’è niente di più deleterio di quella. Vuoi del buon cibo? È raro che sia pubblicizzato. Al supermercato è tutto al ribasso, hai presente tutti quei prodotti belli e lucidi, quei pomodori giganti che non sanno di niente? Quelli sono deleteri. Fai conto che l’insalata delle buste, quella già lavata per intenderci, non ha mai visto la terra. Ha proprietà nutritive pari a mangiare della carta, carta bagnata. Ecco tu le compri perché sono pratiche ma pensaci a quando la vai a infilare dentro al tuo organismo. Cristiano Tomei è un mio collega di Lucca, un cuoco eccezionale, che stimo tantissimo, con lui ne parlo spesso. Ogni volta conveniamo sul fatto che la lobby più potente al mondo (dopo quella delle armi) è quella del cibo. Un cibo che serve ad annichilire le persone, a farle ingrassare, a pompare la loro dipendenza da glicemia. I grassi e gli zuccheri sono presenti in quantità tali, nel cibo industrializzato, da inebetire le persone. Ingozzata di veleno la gente pensa solo a magnà e rimagnà. Per mangiare bene devi andare spesso, sempre più spesso, in quei posti a cui non daresti una lira. O nelle bettole o nell’eccellenza totale, quella penta stellata. Perché, per un diabolico effetto boomerang, pure i ristoranti di alta cucina sono vittime di ignoranza e pregiudizi. Il ristorante di alta cucina viene ancora concepito come quel posto dove tu spendi una cifra da capogiro, mangi una cosa sola e ti danno una cacatina, ma non è così. Vai in un ristorante serio, ti arrivano otto/dodici portate, lo sai? E guarda sfido anche il più magnone di tutti che alla decima portata è pieno! Io magno da morì ma quando ho fatto degustazioni di alta cucina il dolce non ce l’ho fatta a mangiarlo.
Ma noi non siamo il Paese dove si mangia meglio al mondo?
Ci siamo autoproclamati come detentori della salubrità ma siamo all’ottavo-decimo posto in Europa per l’alimentazione e nei primissimi posti per obesità infantile.
Dov’è che si mangia bene?
Nord Europa, Francia, Spagna, ovunque tu possa mangiare un pezzo di pane e formaggio e ti sporchi ancora le mani di terra. Anche in Italia si mangia benissimo però nelle piccole realtà. L’idea di gestire il cibo locale in grosse quantità è pericolosa, è una catena che paradossalmente diventa criminale.
Diobono addirittura criminale?
Mi spiego: prendi ad esempio un imprenditore proprietario di una grossa cantena di punti vendita alimentari che va dal piccolo produttore e gli dice ‘mi piace la tua burrata, la vuoi mettere dentro il mio prestigioso negozio presente in tutta Italia e anche all’estero?’ E quello dice ok. L’imprenditore si prende l’80% di quel che guadagna con la burrata e il produttore si tiene il misero resto. Poi dopo un anno trova un’altra azienda produttrice di burrata e gli fa ‘ciao ciao’ con la manina. E intanto il piccolo produttore si è preso solo il 20% di quello che poteva guadagnare e si trova totalmente fuori dal mercato, costretto a chiudere o a svendersi. Dietro questa logica vedo solo il profitto del singolo imprenditore e non dell’intera filiera. L’americano se la burrata se la vole magnà se se ne va in Puglia come è giusto che sia. Così ogni giorno la burrata non dovrà decollare con degli aerei, inquinare, e percorrere migliaia di chilometri. Non è non che tutti i cibi debbano essere per forza reperibili in ogni momento della vita dell’anno e ovunque, anche in Alaska!
La politica, diciamo, tu non…
Non mi sento rappresentato da nessuno. Abbiamo ancora in piedi una legge elettorale giudicata incostituzionale e non vedo alcuna riforma all’orizzonte ma solo chiacchiericcio politico e tattiche. Il nostro sistema politico andava rivoluzionato tanto tempo fa.
Dualismo tra una parte di te che vuole dare e un’altra che vuole far giustizia anche a costo di rompere i coglioni.
Il popolo è numericamente più potente delle forze di stato. Le cose si possono cambiare se lo si vuole.
Pur lavorando 24 h al giorno hai girato l’Italia, che paese hai visto?
Ho visto tanto ma forse tutto era anche in parte filtrato dal fatto che stessi lavorando, che fossi sempre di passaggio. Io vedevo la mia lotta personale per le piccole cose. Volevo far emergere gli Unti e Bisunti dell’Italia, che non sono i piatti ma le persone. Ad ogni modo, ho visto un popolo frustrato che sa che ci potrebbe essere una cosa migliore e lotta purtroppo con gli scarsi mezzi che ha al momento.
Che diresti a un ragazzino che ti vede in tv e che vuole fare quello che fai tu?
Sicuramente non esistono miti né eroi ma persone comuni che combattono per quello in cui credono. Se vogliono prendere spunto da qualcosa di buono che han visto in me che lo prendano ma che rimangano loro stessi e che facciano il loro percorso, non emulando quello che ho fatto io. Basta aver chiaro cosa li renderà felici, una situazione interiore che li farà sentire soddisfatti. Non è che se ti metti a studiare cucina poi finisci in tv cioè… ora è passato il concetto che la tv sia il punto di arrivo. Per me è quello di partenza. A me serviva un canale più largo per comunicare.
Quali saranno i tuoi progetti futuri?
Io da solo non posso fa niente, spero di trovare altre persone al mio fianco in tutti i campi possibili che credano in qualcosa, anche una sola, ma che sia la più giusta, ed andare avanti perché poi insieme ci si dà una mano. Spero che qualche altro cuoco gastronomo, storico, musicista venga stimolato dalla fortuna e dal merito che mi son preso e formi una squadra.
Qual è il ricordo più bello della tua vita?
Ogni viaggio in cui sono stato in un posto per più di tot tempo. Quando viaggi hai sempre il trauma del tempo, te devi abituà alle cose. Poi una volta che prendi confidenza c’è sempre quel momento in cui, improvvisamente, ti senti come uno del luogo, presente? Quelle sono le emozioni più belle. Per esempio, in nuova Zelanda, a un certo punto ho smesso di sentirmi un turista e mi sono fermato a guardare le colline che finiscono in acqua con l’erba. Due secondi, una sigaretta. Quelli sono i momenti più belli.
Hai paura della morte?
La morte non dovrebbe essere vista come la falce e il teschio ma come la cosa più naturale del mondo, a meno che non sia molto violenta. Può essere anche una figata pazzesca. Per me dopo la morte l’energia continua a circolare, quindi non sappiamo in che maniera interagiremo con il mondo dei vivi. Secondo me se esiste una percezione di incompiutezza della tua vita fisica e metafisica, esiste anche la possibilità di comunicare con quelli alle quali non hai detto le ultime due cose. A me è successo con mia nonna. Dormivo e ho visto mia nonna che mi diceva ‘Gabriele tutto apposto?’. Mi è apparsa che aveva trent’anni, come la vedevo nelle foto di famiglia. Mi sveglio con una telefonata di mio padre che mi dice che nonna è morta….è troppo potente come cosa per non essere calcolata, una cosa fattibile. C’è troppa energia in giro per non essere veicolata…e poi se l’amore non è per sempre, perché la morte dovrebbe essere per sempre?
La mia paura più grande è che sia per sempre.
Perché la morte deve essere per sempre? Nessuno lo hai mai detto né provato.
Mi hai aperto una finestra mi sa…
Me la sono aperta con te perché non lo avevo mai pensato neanche io. Dovremmo parlare più spesso.
—
L’intervista a Chef Rubio, assieme alle migliori interviste pubblicate da Write and Roll nel suo primo anno di vita, è contenuta nel libro Write and Roll Society – Le migliori interviste – Anno I edito da Historica edizioni.
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