Agricoltura

Turismo e agricoltura insieme per valorizzare il miglior Made in Italy

1 Giugno 2018

L’Italia ha il più imponente patrimonio enogastronomico al mondo, che potrebbe essere un formidabile driver di promozione e commercializzazione turistica. Per questo primario motivo la scelta del premier Giuseppe Conte, che dovrebbe essere perfezionata nelle prossime settimane, di unire politiche agricole e turistiche in un unico ministero affidato al leghista Gian Marco Centinaio, appare tutt’altro che stravagante.

I trend mondiali di crescita del cosiddetto food tourism parlano chiaro: da quasi un decennio il segmento legato a cibo e vino aumenta ad un tasso doppio di quello generale. Una recente ricerca condotta da Isnart e Unioncamere ha stimato che nel 2017 le presenze motivate dal turismo enogastronomico sono state oltre 110 milioni (57% di turismo internazionale e 43% di turismo domestico), il doppio rispetto al 2016, e l’indotto generato ha superato i 10 miliardi: un’esplosione inimmaginabile dagli stessi addetti ai lavori. D’altra parte, come mette in luce l’analisi Isnart-Unioncamere, tra le ragioni di scelta della destinazione di vacanza nel nostro Paese, il turismo enogastronomico è la terza in assoluto, subito dopo quella culturale e naturalistica. Recenti osservazioni ci dicono inoltre come oltre un quarto dei visitatori che arrivano in Italia degusti vini e piatti Made in Italy, il 18,7% acquisti in loco prodotti tipici e/o artigianali del territorio, l’11,3% partecipi ad eventi enogastronomici. E l’1,6% dei turisti prende parte attivamente alle fasi di produzione in aziende dell’agroalimentare o dell’artigianato. Tra gli stranieri, poi, i più propensi a venire in Italia anche e soprattutto per le sue ricchezze enogastronomiche, sono i francesi(25,9%), i tedeschi (22,5%) e gli inglesi (16,9%). E non è dunque un caso che l’incoronamento, da parte del colosso delle guide turistiche Lonely Planet nel suo report annuale Best in Europe, dell’Emilia Romagna come migliore destinazione europea sia avvenuto soprattutto in forza delle eccellenze agroalimentari presenti nei territori emiliano-romagnoli: dal prosciutto di Parma, al Parmigiano Reggiano, all’Aceto Balsamico di Modena, passando per il ragù bolognese ed arrivando ai celeberrimi tortellini in brodo di carne.

Già i numeri del “Rapporto sul turismo 2016” di UniCredit e Touring Club Italiano, avevano parlato chiaro: tra i fattori per cui i viaggiatori, soprattutto stranieri, scelgono l’Italia e tra quelli che giovano al nostro Paese i feedback migliori, ci sono la cucina (75%) e la qualità dei prodotti locali (69%).

Il valore attribuito al Made in Italy ed ai suoi prodotti, insomma, è, almeno potenzialmente, un indiscutibile fattore di attrattività turistica. Su cui, però, fatta eccezione per alcune regioni (Emilia Romagna, Toscana, Alto Adige), è mancata una vera e propria strategia. Basti pensare che il tema del food tourism era stato indicato da Enit nel suo piano triennale tra i «cluster tematici di prodotto su cui basare la strategia di medio e lungo termine». Ma, nonostante l’ente di promozione, come ci ha riferito, abbia messo in campo una cinquantina di iniziative nel mondo dedicate all’enogastronomia,  tanto rimane da fare. Se avessimo colto fino in fondo le opportunità del turismo enogastronomico non saremmo di fronte ad un altro dato: in Europa, la domanda primaria per viaggi legati a food&wine rappresenta un milione di viaggi all’anno, ma la parte più rilevante dei flussi turistici prodotti sono assorbiti da Francia e Spagna, nostri primari competitor sul turismo nel suo complesso.

E che dire, poi, del fatto che l’Italia, che ha proclamato il 2018 come anno del cibo italiano nel mondo, è drammaticamente assente nelle mete di food tourism del sito ufficiale del turismo europeo? Il portale, curato dalla European Travel Commission – ente di cui l’Italia, con Enit, è membro, rappresentato nel board of directors da Antonio Preiti – presenta anche una sezione dedicata a circa quaranta esperienze di viaggio enogastronomico: per il nostro Paese vengono citati Napoli per la parmigiana, Polignano a Mare come luogo, al pari di altre sei destinazioni, dove degustare sapori di mare. E San Marino, che in realtà nemmeno è suolo italiano, per la piadina.

Ci rendiamo perfettamente conto che il portale del turismo europeo mai potrà rappresentare tutta la ricchezza delle filiere enogastronomiche italiane. Ma se l’Italia è presente in tono minore cosa significa? Che l’Europa è brutta e cattiva e ci ha voluto marginalizzare anche in questo caso? Oppure, più verosimilmente, che, per l’ennesima volta, abbiamo perso tempo a raccontarcela, a lanciare fastasmagorici piani costati milioni di euro di consulenze, progetti, percorsi, poi rimasti meri slogan?

Difficile dire se l’accorpamento tra agricoltura e turismo ci permetterà finalmente di valorizzare il nostro turismo fondato su eccellenze agroalimentari famose in tutto il globo. Va però detto che il nuovo dicastero può costituire una occasione unica per legare in modo profondo cibo, paesaggio e cultura, elementi distintivi dell’identità italiana, e farne straordinari volani di promozione turistica del miglior Made in Italy nel mondo, così come di rinnovamento e di maggior ancoraggio alla domanda dei modelli turistici del Belpaese.

@albcrepaldi

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