Economia civile
Uso della rete e capitale sociale: Internet spiazza le nostre relazioni?
Una domanda tra le domande, ai tempi dell’iper-connessione, è: ma Internet fa bene o male alle nostre relazioni sociali?
Il quesito ha alimentato e alimenta un dibattito ricchissimo, nella letteratura delle scienze sociali come nella sfera delle politiche pubbliche, riproducendo, a distanza di qualche decennio, il dilemma sociale che, anni fa, poneva al centro dell’attenzione la televisione, il monolito del Novecento davanti a cui ha cominciato a mutare il nostro modo di stare insieme in società.
Già il più volte citato Robert Putnam (Harvard University), sociologo autore di Bowling Alone, aveva sottolineato negli anni ’70 del secolo scorso le profonde mutazioni che caratterizzavano gli Stati Uniti, in cui a poco a poco si osservava un’inesorabile disgregazione di quello che, nel lessico di chi lo studia, è denominato capitale sociale. E già allora lo studioso americano, tra le varie ipotesi di spiegazione, avanzava quella dell’innovazione tecnologica.
Definire il capitale sociale è difficile, forse impossibile e, perché no?, magari inutile in un certo senso. Diciamo, tuttavia, che dentro questa scatola nera c’è tutto l’intangibile che produce e dà valore alla nostra vita di relazione: le attività di volontariato, la partecipazione politica, una visita al museo o una serata trascorsa al cinema. È difficile dire che cosa sia il capitale sociale ma è abbastanza pacifico riconoscere come esso faccia parte del cemento relazionale che ci tiene uniti in un consesso civile.
Studiare, dunque, come la nostra vita sociale cambi, di pari passo con le tecnologie, è fondamentale per cogliere l’impatto dei beni relazionali sullo sviluppo economico e per studiare le trasformazioni di significato dell’esistenza umana, e qui la parola significato è usata nell’accezione di meaningful, inteso appunto come ciò che rende la vita degna di essere vissuta.
Con un approccio empirico rigoroso, servendosi di dati riferiti al contesto del Regno Unito, un team di ricercatori italiani ha provato a dare una risposta quantitativa a una domanda specifica: qual è stato l’impatto della rete broadband sul capitale sociale, inteso come una serie di attività della vita quotidiana che un cittadino, tipicamente, svolge?
Gli autori dello studio sono: Andrea Geraci (University of Oxford), Mattia Nardotto (Katholieke Universiteit Leuven), Tommaso Reggiani (Masaryk University Brno) e Fabio Sabatini (Sapienza Università di Roma) e si sono concentrati sul Regno Unito in virtù della disponibilità di dati molto capillari e utili.
A metà degli anni 2000, l’introduzione della tecnologia DSL ha consentito infatti l’accesso ad Internet per mezzo della vecchia rete telefonica in rame, e la velocità di connessione che ne risultava era inversamente proporzionale alla distanza dell’utente dal nodo della rete che forniva il servizio Internet.
Più si risiedeva lontano dal punto in cui veniva fornita la connessione e meno velocemente, cioè, si potevano scaricare i dati, il che si traduceva in una user experience, per un usare un termine che va molto oggi, di bassa qualità.
Disponendo, dunque, delle coordinate di residenza degli utenti e di molte altre informazioni socio-demografiche, contenute nella British Household Panel Survey, è stato possibile indagare, lungo la dimensione temporale (tra fine ‘900 e inizi degli anni ‘2000), come l’introduzione della nuova tecnologia, si sia accompagnata a un cambiamento radicale delle abitudini e dei comportamenti dei cittadini inglesi, in funzione della qualità della tecnologia stessa.
I risultati sono suggestivi; nel Regno Unito, una riduzione di 2 km della distanza dal nodo ha causato:
- Una diminuzione del 4,95% della probabilità di andare al cinema regolarmente.
- Una diminuzione del 12,7% della probabilità di partecipare alle attività di un partito politico.
- Una diminuzione del 4,8% della probabilità di partecipare alle attività di un sindacato.
- Una diminuzione del 13% della probabilità di partecipare a organizzazioni scout.
- Una diminuzione del 6% della probabilità di partecipare alle attività di associazioni di volontariato.
- In generale, l’accesso a Internet veloce ha ridotto la partecipazione alle organizzazioni della società civile
L’intuizione è semplice: quanto più è migliorato l’accesso alla rete internet, tanto più la qualità della connessione ha spiazzato il capitale sociale, sotto forma di partecipazione civica, riducendo la frequenza di alcune attività che, fino a qualche anno fa, erano invece molto diffuse.
Lo studio non esaurisce la complessità di una questione delicata, né è sua intenzione farlo: viene giustamente ribadito come, con l’evolvere della tecnologia e dei mezzi a disposizione, la relazione tra l’uso della rete e il capitale sociale debba essere continuamente studiata e aggiornata.
L’analisi si concentra sulla velocità di connessione e, indirettamente, si fa riferimento a una fruizione più passiva di Internet: pensate a una serata in cui fate binge watching con l’ultima serie tv su Netflix e vi perdete una retrospettiva sui Fratelli Marx, magari ordinando una pizza con uno dei servizi di delivery digitali, invece che andarvi a sedere nel locale che amate tanto.
Naturalmente, quello che si fa in rete è rilevante e sono gli stessi autori a citare il ruolo sempre più importante dei social media e la complessità, in questo caso, dello studio degli effetti che essi producono sul capitale sociale: spiazzano, anch’essi, le relazioni sociali, oppure le amplificano, per esempio inducendo una sempre maggiore partecipazione al dibattito politico di un gran numero di persone? Favoriscono la fiducia reciproca e l’instaurarsi di un dibattito civile o, piuttosto, aumentano la polarizzazione in una rete che contrappone bolle opposte, ciascuna avvinta dal fascino del proprio racconto del mondo?
Come che sia, si tratta di un ambito di ricerca molto stimolante nel mondo delle scienze sociali e la disponibilità dei dati offre molti spunti per l’investigazione scientifica di un tema di assoluta rilevanza nell’agenda del politico come della comunità in cui viviamo.
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