Le sfide di Parigi: riforma del mercato del lavoro di Macron
Il Governo francese ha avviato la riforma del mercato del lavoro, primo vero banco di prova per il neo-eletto Presidente Emmanuel Macron. La proposta è stata varata dal Consiglio dei ministri e sarà presa in esame dall’aula a fine luglio. Per l’emanazione dei decreti si dovrà attendere settembre, nel frattempo proseguiranno i negoziati con i sindacati e le parti sociali. Il completamento della “loi travail”, riforma del lavoro già realizzata sotto la presidenza Hollande, era stato annunciato in periodo di campagna elettorale dal nuovo inquilino dell’Eliseo e prevede alcune modifiche rispetto alla norma sulle 35 ore, entrata in vigore nel 2002. Gli obiettivi sono quelli di rendere più flessibile il mercato del lavoro (mediante l’utilizzo di contratti aziendali) e di ridurre il tasso di disoccupazione, oggi stimato attorno al 9,4%.
Cosa cambia con la riforma: i contratti d’impresa
Schematizzando all’estremo, è possibile estrapolare tre modifiche sostanziali introdotte dalla riforma:
- accordi di impresa prioritari a scapito di quelli nazionali di categoria;
- tetto alle indennità di licenziamento;
- consultazione dei dipendenti sugli accordi ottenuti almeno col 30% dei consensi da parte delle organizzazioni sindacali.
La prima questione concerne la prevalenza degli accordi a livello di impresa (siglati dalle singole imprese) rispetto a quelli nazionali di categoria (siglati dai maggiori sindacati con le associazioni di categoria di ogni settore), in particolare in riferimento a orari e retribuzione degli straordinari.
La riforma consentirebbe alle imprese di raggiungere accordi, anche peggiorativi (dal punto di vista sindacale), attraverso i quali aggirare le rigidità del vigente sistema. Attualmente a partire dalla 36ma ora scattano le maggiorazioni delle retribuzioni previste in caso di straordinari, mediamente del 25%. Con la nuova proposta le retribuzioni per le ore di straordinario sarebbero più basse, ma comunque non inferiori al 10%. La nuova legge introduce anche la possibilità per le imprese di raggiungere accordi con i sindacati per rendere più flessibile l’orario in caso di aumento della domanda (e non solo in caso di difficoltà). Ad un aumento delle ore lavorative non corrisponderebbe tuttavia un aumento della retribuzione mensile.
La riforma, sotto questo aspetto, permetterebbe l’abbassamento del costo del lavoro che favorirebbe l’acquisizione di competitività a livello internazionale incentivando le imprese ad operare in territorio nazionale. In termini concreti: meno delocalizzazione, più posti di lavoro, maggior benessere economico. Allo stesso tempo si correrebbe il rischio di ottenere effetti indesiderati. La letteratura economica, e non solo, è ricca di teorie fondate sulla convinzione dell’esistenza di un rapporto di causalità tra riduzione del potere contrattuale dei lavoratori e calo della produttività media. Va inoltre aggiunto che le 35 ore lavorative sono ormai radicate nelle abitudini, anche familiari, dei francesi. Si tratta pertanto di una modifica potenzialmente esplosiva dal punto di vista sociale.
Tetti alle indennità: un oltraggio ai diritti del lavoratore o un passo avanti giuridico?
Il secondo aspetto riguarda la fissazione di tetti alle indennità di licenziamento. Attualmente il loro ammontare è lasciato alla discrezionalità dei giudici del lavoro. Ne conseguono grandi differenze di valutazione e incertezza che porta i datori di lavoro a preferire contratti a tempo determinato. Se la legge venisse approvata, le indennità sarebbero corrisposte in base a criteri fissi e proporzionati in base agli anni di servizio del lavoratore. Il fine perseguito è quello di garantire maggiore certezza e possibilità di previsione per l’imprenditore affinché possa assumere con minor remore.
Le consultazioni dei dipendenti
Il terzo tema affronta la questione delle consultazioni dei dipendenti. Ad oggi, gli accordi aziendali vengono approvati con il via libera della maggioranza delle sigle sindacali, che godono pertanto del potere di veto. La riforma avviata dal Governo eliminerebbe il “sistema maggioritario”, introducendo la possibilità per il datore di lavoro di sottoporre a referendum vincolante un accordo che ottenga almeno il 30% dei consensi da parte delle sigle sindacali.
Tralasciando i giudizi di valore, vediamo ora le possibili implicazioni socio-economiche delle modifiche apportate.
Cosa non torna nella riforma Macron
Si diceva al primo punto che la nuova legge consentirebbe alle imprese di stipulare accordi volti a flessibilizzare i contratti lavorativi. In particolare, tali accordi avrebbero per oggetto le maggiorazioni cui ha diritto chi si presti a straordinari e l’ammontare di ore lavorative. Le ipotesi di vedersi corrisposte remunerazioni per straordinari inferiori a prima (a parità di ore effettuate) e di dover rispettare un contratto che a un maggior numero di ore di lavoro non fa corrispondere un aumento della remunerazione mensile sono sufficienti ad evidenziare la possibile perdita di potere contrattuale da parte dei dipendenti a scapito del datore di lavoro.
Oltre all’evidenza del fatto che, se si lavora di più senza guadagnare di più si è più poveri (per esempio, si dispone di meno tempo libero), esistono importanti conseguenze di carattere socio-psicologico. La scuola delle Relazioni Umane, sviluppatasi negli Stati Uniti a partire dagli anni Venti del secolo scorso, sottolinea la necessità di una visione del rapporto uomo – azienda che non si limiti a considerare i dipendenti come puri erogatori di forza lavoro, ma che recuperi il fattore umano mediante la creazione di un ambiente di lavoro socialmente gradevole all’interno del quale ogni individuo possa avere la percezione di contare e di sentirsi realizzato. Le modifiche introdotte a favore delle imprese, discusse al primo punto, e la possibilità di sottoporre a referendum accordi non approvati dalla maggioranza delle sigle sindacali potrebbero andare in direzione opposta rispetto agli scopi della riforma e danneggiare l’intero sistema impresa.
Nel frattempo i sindacati sono già in allarme. La Cgt (Conféderation générale du travail) ha annunciato uno sciopero preventivo per il 12 settembre, la Cfdt deciderà come muoversi a settembre, dopo la conclusione dei negoziati. Parigi giocherà nei prossimi mesi partite importanti, in campo nazionale così come in campo internazionale dove si propone come punto di incontro tra Europa e Stati Uniti (temi attuali accordo sul clima e gestione dei flussi migratori). Il momento appare favorevole: il candidato di “En marche”, eletto pochi mesi fa, gode ancora di grande popolarità e la Francia ha recentemente registrato il semestre di maggior crescita dal 2010. Ma, si sa, le cose cambiano molto in fretta al giorno d’oggi.
Filippo Giacinti per Scriptema
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