In questo testo vorrei proporre l’istituzione di mezzi di scambio complementari al denaro ma che, a differenza di esso, siano basati su valori, ovvero siano orientati in una precisa direzione etica, organizzativa o culturale. Vorrei anche mostrare come tale strumento riuscirebbe, al contempo, a riconciliare l’economia con l’etica (ideale che, alla fine dello scorso secolo, sembrava ancora possibile al Premio Nobel Amartya Sen), ma anche a riavvicinare il capitalismo ad un’autentica democrazia e l’agire individuale all’esistenza di comunità inclusive.
Denaro e potere: due strumenti che si rafforzano a vicenda, ed insieme emarginano i valori
Da ormai molti anni, emergenze fra cui i cambiamenti climatici e le crescenti disuguaglianze evidenziano la necessità di ripensare, se non addirittura rivoluzionare le strutture economiche e sociali in cui viviamo. Al di là di tale suggestione, la politica, che in tale contesto sarebbe chiamata a farsi carico di un surplus di fantasia e coraggio, è in Italia e nell’intero Occidente prevalentemente sede di estemporanee operazioni di marketing, conflitti di interesse, mera ricerca del consenso.
L’economia e i suoi paradigmi dominano la maggior parte delle nostre interazioni sociali, e perfino il nostro vissuto interiore, nella misura in cui ci si percepisce prevalentemente come soggetti che consumano o producono, o aspirerebbero a poterlo fare.
Allo stesso tempo, la nostra è l’epoca delle contrapposizioni, reali o percepite: tecnocrazia contro populismi, globalismo contro piccole patrie, individuo contro comunità, capitalismo contro democrazia, mercato contro Stato e, alla base di tutto ciò, economia contro etica.
Il denaro è il solo mezzo di scambio esistente. Lo è in virtù della sua universale utilizzabilità, della sua capacità di prescindere dai valori, dagli intenti, dalle storie di chi ne fa uso. D’altra parte, solo tramite il denaro è possibile ottenere quei beni che si percepiscono essere fonte di sussistenza fisica, sicurezza emotiva, godimento intellettuale. Il nostro ruolo sociale, sia esso il lavorare in un determinato settore o il produrre certi beni, è la principale modalità con la quale si ha accesso al denaro, e ciò ha effetti profondi sulla percezione che abbiamo della realtà: i nostri valori (ciò che vorremmo realizzare o che il resto del mondo realizzasse) sono fortemente condizionati da ciò che è conveniente in virtù del nostro ruolo. In effetti, come rilevato da Georg Simmel nel suo capolavoro “La filosofia del denaro” (1900), il denaro, mezzo ideale per una società fondata sulla divisione del lavoro, finisce per diventare il solo fine, capace di rendere tutti i fini e valori un mero strumento per avere accesso ad esso.
Secondo una schematizzazione in linea con ricostruzioni quali quella di Jürgen Habermas , la nostra società si basa così su tre elementi: il denaro, mezzo universale che consente di scambiare beni e servizi funzionali al proprio stare al mondo; il potere, che si esprime in decisioni capaci di generare certezza per chi partecipa a tali scambi economici; e i valori, come dimensione intermedia che influenza il potere (perché i partiti politici sono scelti sulla base delle proprie visioni del mondo), ma che, invece di essere autonoma e liberamente determinata, è a sua volta regolata dal particolare modo con il quale si accede al denaro, ed è pertanto confinata nell’ambito delle convinzioni meramente personali.
La nostra civiltà, fondata così sulla libertà (facoltà di scegliere i mezzi più adeguati ai propri fini), trascura del tutto l’autonomia (capacità di scegliere fini che siano incondizionati e precedenti il proprio particolare ruolo nel mondo). Ciò ha rilevanti implicazioni non solo per i singoli, ma anche per le nostre società: se i valori non sono che interessi particolari, ben difficilmente potremo seguire una volontà generale che sia orientata al bene comune (e, come indicato da Jean-Jacques Rousseau, ci limiteremo a prendere atto della volontà di tutti come mera somma di volontà particolari); se manchiamo di autonomia morale, nel senso suggerito da Immanuel Kant, sarà impossibile vivere in un kantiano, universale “regno dei fini”; il lavoro sarà, come rilevato da Hannah Arendt, la sola o prevalente dimensione del proprio partecipare ai meccanismi sociali, una partecipazione che si esaurisce nella possibilità di accedere a beni di consumo; e, come osservato negli ultimi anni, anche grazie a processi per molti versi opportuni e necessari (le transizioni ambientale e digitale), a livello pubblico si riterrà che determinati comportamenti debbano e possano essere modificati esclusivamente attraverso incentivi o sanzioni di tipo monetario. Il prevalere di una concezione meramente strumentale del buono e del giusto è, a mio avviso, ciò che viene trascurato anche da chi critica il dominio dei mercati e dell’ideologia neoliberista.
I valori: possibile base dello scambio, per una concezione del bene
In tale contesto, se noi disponessimo di mezzi di scambio basati su valori, potremmo superare i limiti derivanti dall’impiego esclusivo del denaro per prendere parte alle nostre transazioni.
Attraverso una piattaforma centralizzata, imprese, individui e comunità locali potrebbero scambiare liste di benefici derivanti dall’applicare determinati valori morali, organizzativi e culturali (fra cui il rispetto dell’ambiente, la giustizia sociale, l’inclusione delle minoranze). L’applicazione di tali valori dovrebbe essere provata dal rispetto di indicatori fissati per legge, quali ad esempio: una certa riduzione di emissioni inquinanti, nel caso delle imprese, o un dato aumento dell’estensione delle aree verdi nelle città; una certa riduzione dell’indice di Gini, a livello locale, o della dispersione salariale, nell’ambito delle imprese.
I benefici dovrebbero, come l’applicazione dei detti indicatori, essere oggettivi e verificati, prima di poter trasferire tali documenti. Essi potrebbero includere: i miglioramenti reputazionali e sanitari ottenuti applicando scelte favorevoli all’ambiente; l’aumento della produttività e della motivazione dei lavoratori in contesti che abbiano favorito un approccio inclusivo; la riduzione della criminalità in aree che abbiano visto l’applicazione di misure contro la disuguaglianza dei redditi.
I benefici sarebbero conoscibili al pubblico anche senza acquistare i documenti, e anzi sarebbero un fattore motivante la scelta di entrarne in possesso. D’altra parte, solo dopo aver ottenuto la materiale disponibilità di un documento sarebbe possibile verificare quale indicatore è stato in passato associato a ciascuno dei benefici indicati nella lista.
Dopo aver acquisito una lista, sarebbe possibile aggiungere proprie esperienze ad essa, e trasferire nuovamente ad altri tale documento. Ciascuna delle liste si riferirebbe a un dato valore, e sarebbe scambiabile con beni o servizi, ma non con denaro. Le liste sarebbero piuttosto dei mezzi di scambio complementari al denaro. Tuttavia, in virtù della loro scambiabilità con beni e servizi, le esperienze avrebbero un controvalore monetario, determinato inizialmente come costo medio derivante dal rispettare gli indicatori fissati per quel dato valore. Successivamente, l’equivalente monetario di ciascuna delle esperienze sarebbe determinato dalla dinamica della domanda e dell’offerta sul mercato. Il controvalore di ciascun documento sarebbe proporzionale al numero delle esperienze descritte.
In tal modo, vi sarebbe un incentivo economico (l’aumento del proprio potere di acquisto) a esercitare l’autonomia, ovvero ad aggiungere proprie esperienze conformi a determinati valori, e che siano tendenzialmente preferite anche da altri partecipanti. Si creerebbe un meccanismo cooperativo nella definizione di una nozione di bene comune, per il fatto che le esperienze maturate dai precedenti proprietari dei documenti sarebbero mantenute nel tempo, e continuerebbero a stimolare la domanda delle liste detenute dagli attuali proprietari. Viceversa, è facile constatare come nelle attuali transazioni economiche, di tipo puramente monetario, anche gli individui e le organizzazioni aventi le migliori motivazioni etiche e culturali non possono in alcun modo garantire che le loro controparti (che impiegheranno i beni o il denaro ricevuti da tali individui e organizzazioni) applicheranno nel futuro i loro stessi criteri di scelta: nel denaro non sopravvive alcuna narrazione che vada oltre l’assenza di ogni narrazione, non si trasformano i ruoli, ma si studiano nuovi modi per confermarli.
Inoltre, nella misura in cui tale schema favorirebbe l’autonomia funzionale (intesa come capacità di scegliere valori che prescindano dal proprio interesse immediato), esso eliminerebbe la riduzione dei valori a convenienze, ovvero uno dei principali ostacoli alla creazione di comunità inclusive e a un’interpretazione della politica che vada oltre la rappresentanza di interessi.
La società, nel divenire comunità, sarebbe anche riconosciuta come dotata di una propria identità: l’importanza relativa dei valori, misurata dall’andamento dei controvalori monetari dei diversi tipi di esperienze.
Riconciliare economia ed etica, capitalismo e democrazia, individuo e comunità è in fondo un unico compito, che può trovare un elemento chiave nel superamento del carattere neutrale delle nostre relazioni sociali. Così come la mente, secondo molte tradizioni spirituali, è solo un’espressione della coscienza universale, benché si tenda a confondere il pensiero con la verità, allo stesso modo il denaro è solo uno strumento che, per non distruggere la dimensione etica e comunitaria della società, va subordinato all’autonomia interiore, al dialogo con l’esterno, al rapporto con la totalità.
Bibliografia
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