Diritti

La sfida di #LoveSpeech per il contrasto creativo all’hate speech online

1 Giugno 2018

Quante forme di odio si scatenano sui social media? Lo abbiamo chiesto ai quattro gruppi di adolescenti e giovani con cui stiamo attivamente lavorando da febbraio nel progetto #LoveSpeech: esperimenti di viralità positiva. I target d’odio che ci hanno nominato sono numerosi e variegati: omosessuali, musulmani, immigrati, stranieri (specialmente “di colore”) e persone sovrappeso, ma anche zingari, meridionali, vegani, forze dell’ordine, vip, disabili, secchioni, senza dimora, donne, ebrei, squadre di calcio avversarie, ecc.

Il tema del contrasto all’hate speech online è stato molto discusso negli ultimi anni, soprattutto a livello di politiche europee. Nel 2016 l’Italia ha avviato un iter legislativo – il disegno di legge C. 4077 – che recepisce le direttive emanate dalla UE in materia di prevenzione all’incitamento all’odio e alle discriminazioni basate su razza o origine etnica, disabilità, sesso, nazionalità, religione, convinzioni personali, età o orientamento sessuale sui media e sui social media.

Nei mass media hanno avuto molto risalto alcuni tragici episodi di cyberbullismo legati al body shaming (critiche e offese legate a forma, misura e aspetto del corpo) o al ** revenge (rivelazione pubblica di foto a sfondo erotico-sessuale destinate all’uso privato con scopo vendicativo). Questi, anche nei racconti dei giovani ingaggiati nel progetto, sono le esperienze che maggiormente toccano da vicino e colpiscono emotivamente, magari perché riguardano anche alcuni loro amici o conoscenti.

Sempre più frequenti sono anche i racconti di odio omo-transfobico (legati all’identità sessuale e di genere) sicuramente sdoganati da una presenza sempre più importante di questi temi nei media e nell’opinione pubblica in Italia. Più difficili da riconoscere, invece, sono gli episodi legati all’islamofobia e al razzismo sui quali sembra esserci oggi un consenso piuttosto ampio per le argomentazioni diffuse soprattutto dalla politica che normalizzano i motivi dell’odio (“gli stranieri sono diventati troppi”, “l’Islam è una religione che incita alla violenza”).

Non bastano misure di controllo, monitoraggio e punizione delle condotte che alimentano l’odio online perchè un intervento di contrasto all’hate speech sia efficace: occorre anche un paziente lavoro educativo, formativo e culturale che agisca sul pensiero critico, sulle competenze comunicative e relazionali e, infine, sull’apprendimento del funzionamento tecnico dei social media stessi nei loro aspetti più insidiosi. Anche questo tuttavia è insufficiente se avviene in un’ottica solo adulta o di adulti che pretendono di insegnare ai giovani come si contrasta l’odio sui social.

Con il progetto #LoveSpeech abbiamo accettato la sfida di inventare modalità creative di contrasto all’hate speech online con un approccio peer-to-peer che puntasse sul protagonismo dei partecipanti: quattro gruppi di adolescenti e giovani che si incontrano in diversi contesti (un centro educativo, due scuole superiori e un corso universitario) hanno svolto un training specifico per poi iniziare a misurarsi con la creazione di campagne di sensibilizzazione rivolte ai pari. Hanno scoperto i trucchi dei social media, hanno sperimentato alcune dinamiche di relazione giocando e hanno acquisito le regole per una buona osservazione del mondo dei social e delle relazioni sociali.

Da un’iniziale perplessità circa la rilevanza del tema nella vita personale (“l’odio online non mi riguarda” oppure “è normale” o ancora “è una cosa che colpisce solo i personaggi popolari”) e la possibilità di incidere sugli users (“è una perdita di tempo contrastare l’odio online perché ci sarà sempre”) di alcuni di loro, adolescenti e giovani hanno preso consapevolezza attraverso i racconti personali del peso emotivo di queste esperienze. Hanno iniziato a comprendere quali sono le reazioni automatiche e comuni all’hate speech nella vita sociale offline e online: fuga, aggressione verbale o fisica, chiusura e la formazione di identità reattive (aggregarsi contro l’avversario/hater).

I giovani partecipanti hanno ascoltato le testimonianze di una giornalista – Laura Silvia Battaglia – e di due youtubers – Aya Mohamed e Bellamy Okot – e si sono pian piano incuriositi scoprendo nuovi modi di reagire all’hate speech: l’ironia e l’auto-ironia, la provocazione intelligente, la formazione di identità solidali e positive (aggregarsi per valorizzare e affermare identità collettive) per citarne alcuni. Sotto la guida dei tutor di progetto, si sono attivati per raccogliere idee e creare prodotti di comunicazione da viralizzare.

Oggi, a metà percorso, stiamo accompagnando la nascita di queste campagne. Abbiamo notato come un progetto destinato principalmente alla realizzazione di prodotti per la comunicazione sociale abbia fatto emergere anche una necessità di educazione alle competenze sociali e ai digital media di carattere più ampio e ci abbia al contempo interrogato su questioni educative trasversali nate dal dialogo con i protagonisti di questa iniziativa.

 

Massimo Modesti
Coordinatore del progetto

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