Da un grande potere derivano grandi responsabilità. Ma è davvero così?

1 Luglio 2024

Un invito a riflettere sul nostro ruolo nel mondo e sul modo in cui utilizziamo le risorse a nostra disposizione.

 

Ho volutamente citato nel titolo un antico adagio che allude alla spada di Damocle, divenuto ancora più popolare grazie ai fumetti e ai film della Marvel. Introdotta da Stan Lee, la frase è apparsa originariamente come narrazione di chiusura in Amazing Fantasy (vol. 1) n. 15 del 1962, ed è stata successivamente attribuita a Ben Parker come consiglio al giovane Peter Parker, che tuttə conosciamo come Spiderman. L’idea, simile alla parabola della spada di Damocle del I secolo a.C. e al principio medievale della noblesse oblige (trad. la nobiltà comporta obblighi), è che il potere non può essere semplicemente goduto solo per i suoi privilegi, ma rende necessariamente i suoi detentori moralmente responsabili di ciò che scelgono di farne.

Con un triplo carpiato, degno dei migliori eroi della Marvel, arrivo ai giorni nostri, nella realtà che tuttə noi conosciamo, occupiamo e viviamo. Mi capita di conversare con uomini bianchi, la maggior parte delle volte etero cis, i quali si sentono spesso sotto attacco quando viene fatto notare che occupano il gradino più alto della piramide sociale e che quindi anche loro, sì, tutti loro, hanno una responsabilità verso chi occupa i piani più bassi di quella piramide.

Ma cosa c’entra Spiderman con gli uomini bianchi, etero cis, occidentali? È presto detto.

Non penso di fare torto a nessuno se parlo di un dato di fatto e, soprattutto, di dati ufficiali pubblicati in tutti i report e le statistiche degli istituti più autorevoli, dall’Istat al World Economic Forum. Eppure, finché si parla di Spiderman, ci troviamo tuttə (uomini, donne, occidentali, etero, abili ecc.) d’accordo nel sostenere che un supereroe debba in qualche modo mettere i suoi super poteri a disposizione delle persone che subiscono un’oppressione; diventa invece molto più difficile affermare che tantə di noi hanno la fortuna di potersi definire privilegiati e che quindi abbiamo noi per primi una responsabilità.

Mi faccio aiutare quindi da un’immagine che può rendere il ragionamento più chiaro: la “Ruota del privilegio” rende visibile il modo in cui i privilegi e gli svantaggi sociali influenzano la vita delle persone, per riflettere sulle cause profonde delle disparità sociali e delle ingiustizie e per meglio comprendere la teoria dell’intersezionalità.

 

 

 

È un modello visivo molto semplice che aiuta a comprendere come le diverse forme di oppressione e discriminazione si intersecano e si rinforzano a vicenda. Il diagramma mostra infatti i diversi gradi in cui una persona può essere marginalizzata o, al contrario, avere potere sugli altri in base alle sue caratteristiche, fisiche o sociali. L’importanza della Ruota risiede nel suo utilizzo come strumento per acquisire consapevolezza e, perché no, sforzarsi di decostruire le disuguaglianze sociali, per promuovere una società più giusta ed equa.

Il diagramma è diviso in diverse sezioni, ognuna delle quali rappresenta un tipo di privilegio o svantaggio sociale. Al centro si trova il potere, o privilegio appunto.

I gruppi di persone si posizionano sulla ruota in base alle loro caratteristiche identitarie, come razza, genere, classe sociale, orientamento sessuale, abilità fisica e così via. Le persone che si trovano nelle posizioni centrali della ruota hanno generalmente più potere o privilegi. Tendono ad essere parte del gruppo dominante nella società e ad avere un maggiore accesso a risorse e opportunità. Le persone che si trovano in posizioni periferiche della ruota hanno generalmente meno potere e privilegio. Tendono ad essere parte di gruppi marginalizzati nella società e ad affrontare maggiori discriminazioni e barriere.

Si arriva così al concetto di Intersezionalità, introdotto negli anni Novanta, da Kimberlé Crenshaw, giurista e attivista statunitense. La Ruota riconosce infatti che le persone possono appartenere a più gruppi identitari contemporaneamente. Questo significa che possono sperimentare diverse forme di oppressione e discriminazione che si intersecano e si amplificano a vicenda. Facciamo un esempio: una donna nera con disabilità può sperimentare discriminazione basata sul suo genere, sulla sua origine e sulla sua disabilità. Queste forme di oppressione non agiscono in modo isolato, ma si combinano per creare un’esperienza unica di svantaggio.

Crenshaw, nel TED Talk “The Urgency of Intersectionality” 3, spiega come prestare attenzione a una singola categoria di identità sociale, soprattutto a livello individuale, ci impedisca di vedere gli effetti che le istituzioni e la cultura rafforzano a vantaggio di alcuni e a svantaggio di altri. L’appartenenza a più di un gruppo di identità sociale oppresso (ad esempio, afroamericano e donna) può comportare sfide complesse. Ogni volta che una persona è membro di due o più gruppi identitari sociali che sperimentano emarginazione e discriminazione.

La teoria dell’intersezionalità ci ricorda di guardare alla complessità dell’esperienza vissuta di una persona nella sua totalità, non a una singola categoria identitaria isolata dalle altre. Pertanto, dobbiamo esaminare noi stessə sia come individui che come parte di gruppi più ampi.

La “Ruota del privilegio” è stata criticata per essere troppo semplicistica e per non tenere conto di tutte le forme di oppressione e discriminazione. Alcune persone sostengono che la ruota possa essere usata per stigmatizzare e colpevolizzare i membri di gruppi privilegiati. Nonostante le critiche, penso rimanga uno strumento utile per comprendere le dinamiche del potere e del privilegio nella società.

Questa lunga premessa ci porta un passo avanti nel ragionamento: il privilegio e la responsabilità sociale sono due concetti strettamente collegati. Il privilegio si riferisce ai vantaggi in termini di potere, accesso a risorse e opportunità che alcune persone hanno rispetto ad altre, spesso a causa di fattori come la loro razza, genere, classe sociale, orientamento sessuale, abilità fisica e così via. Questi vantaggi non sono necessariamente guadagnati o meritati, ma piuttosto derivano da sistemi sociali e storici che favoriscono certi gruppi rispetto ad altri. La responsabilità sociale si riferisce all’obbligo morale che individui e organizzazioni hanno di operare in modo da non causare danni alla società e all’ambiente, e di contribuire invece al bene comune.

Dunque, in che modo privilegio e responsabilità sociale si collegano? Chi ha più privilegio ha anche una maggiore responsabilità sociale. Questo perché hanno più potere e influenza e, di conseguenza, hanno più capacità di causare un impatto positivo sulla società. Le persone privilegiate hanno la responsabilità di utilizzare il loro privilegio per promuovere la giustizia sociale e l’equità e lavorando per smantellare i sistemi di oppressione. Anche Martha Nussbaum, nel suo saggio Women and Human Development: The Capabilities Approach, analizza come le disuguaglianze di genere limitino le capacità delle donne in molti contesti. E quindi, per promuovere una vera uguaglianza di genere, è necessario riformare le strutture sociali, legali ed economiche in modo che tutte le persone che presentano svantaggi oggettivi a causa del loro genere, provenienza, estrazione sociale, abilità possano sviluppare pienamente le loro capacità e vivere vite di valore.

Ora, per concludere, torniamo al nostro uomo bianco, o Spiderman se preferite. Per rinnovare l’invito a prendere consapevolezza della propria posizione, voglio citare Murgia: «Ogni maschio eterosessuale che nasca dentro al patriarcato deve essere consapevole di abitare lo scalino più alto di una gerarchia di ingiustizia dove tutti quelli e quelle che stanno sotto di lui hanno meno diritti riconosciuti. Negarlo sarebbe non solo illogico sul piano intellettuale, ma anche scorretto su quello etico. Dire -ma cosa c’entro io con questo- è infantile e un po’ furbo perché significa non voler riconoscere la differenza tra concetto di colpa e quello di responsabilità. La colpa è un carico morale esclusivamente personale e, a meno che tu non abbia praticato deliberatamente un’ingiustizia o una violenza su qualcuna, ovviamente non è tua. La responsabilità è invece un carico etico collettivo che ci riguarda tutti e tutte, perché le regole che seguiamo ogni giorno reggono la disuguaglianza che viviamo, anche se in misura diversa. La colpa ce l’hai o non ce l’hai. La responsabilità invece te l’assumi se pensi che quelle conseguenze ti riguardino e tu possa fare qualcosa per modificarle per il meglio» (M. Murgia, Stai zitta, Einaudi, 2021; p.72).

Insomma, grazie alla Ruota sopracitata, chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui, può quanto meno rendersi conto della posizione sociale che occupa e, sulla base di questo, decidere quale sia il modo migliore di usare questo privilegio: in un modo o nell’altro, serve andare oltre la consapevolezza di avere un potere, lo diceva anche zio Ben.

TAG: Diversity & Inclusion Index
CAT: discriminazioni, Integrazione

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