No al populismo giovanilista. Contro le discriminazioni anagrafiche
Se una volta lo scontro era ideologico, oggi si è fatto anagrafico (o forse lo è sempre stato). Il nuovo, il giovane è bello. I capelli bianchi e le rughe, no, questo sarebbe meglio farlo sparire.
Tanto è vero che quando si discute dellla pubblica istruzione (e dell’università) si cita sempre l’età media dei docenti.
Tanto è vero che abbiamo ex presidenti del consiglio ed ex cavalieri che cercano di mantenersi giovani a tutti i costi (e a costi che non tutti possono permettersi).
Ma ha senso basarsi sull’anagrafe per valutare una persona? Esplicitando il principio di uguaglianza, l’articolo 3 della Costituzione vieta le discriminazioni di ogni tipo (opinioni, religioni, sesso, persino le inesistenti razze). Ma tace sulla discriminazione anagrafica. Sarà che non siamo nostalgici, però tutta questa esaltazione del giovanilismo, della “Giovinezza”, ci fa pensare a epoche che furono, ahinoi, ben poco democratiche.
Certo, da decenni siamo governati da un apparato gerontocratico, più che burocratico: se cambiano i politici (adesso abbiamo un presidente del Consiglio che pare un bambino), non cambiano però gli altri, dai docenti universitari ai Dirigenti delle ASL ecc. ecc. Sono allora comprensibili le proposte di prepensionare i vecchi (magari ultracinquantenni) e assumere giovani (al massimo trentenni, vedi gli incentivi del governo Letta). Tanto più che la disoccupazione giovanile, in Italia, è altissima.
E che fare con i cinquantenni che perdono il lavoro e, troppo vecchi per cambiarlo, sono troppo giovani per la pensione? Che fare quando si cerca un lavoro e c’è sempre un’età massima? I quarantenni sono già quasi da scartare. E che fare con i giovani trentenni che tra breve saranno cinquantenni? I trentanovenni inizino a tremare.
Eh, sì, la giovinezza non è eterna, per quanto la si desideri eternamente. Soprattutto, giovinezza non è sinonimo di competenza e preparazione. Il criterio anagrafico non è un buon indicatore per la selezione del migliore. Ma sembra, ultimamente, un persuasivo argomento populista (e questo, per noi, non è un complimento).
Allora proviamo a proporre il contrario: una legge che protegga i dipendenti con più di 40 anni, che vieti la discriminazione in base all’età del candidato, che proibisca alle banche di porre condizioni troppo gravose a un anziano che stipuli un mutuo (a mio padre, che ha più di 70 anni, non lo farebbero nemmeno). E una modifica dell’articolo 3 della Costituzione che vieti esplicitamente tali discriminazioni. Allora forse torneremo a parlare delle competenze e dei criteri che ci servono per valutarle. Allora, forse, i giovani cercheranno di orientarsi a questi criteri, quando cercheranno un lavoro.
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