Diritti

Internazionale di Ferrara 2020, Djarah Kan: «Essere razzisti è comodo»

4 Ottobre 2020

Il Covid-19 cambia pure il festival internazionale di Ferrara. E la fa, per l’occasione, con un format rimodulato e adeguato alle normative anti-contagio. Sette weekend spalmati da ottobre a maggio animeranno la città estense con incontri, dibattiti, proiezioni e mostre. Il primo dei sette appuntamenti, andato in scena sabato 3 e domenica 4 ottobre, ha messo al centro dell’attenzione il tema delle disuguaglianze accentuate dalla recente pandemia: dal Black lives matter alle differenze sociali ed economiche. Fra gli ospiti i fumettisti Joe Sacco e Zerocalcare, l’economista femminista Marcella Corsi, la politologa francese Virginie Raisson, il giornalista britannico Gary Younge, il reporter olandese Olivier van Beemen. E poi Paolo Giordano, Fabio Geda e i giornalisti della redazione di Internazionale. E la 14esima edizione del festival emiliano ha dato spazio anche a Djarah Kan, scrittrice e attivista culturale italo-ghaneana, nata a Napoli e da anni in prima linea contro le discriminazioni razziali.

INTERVISTA A DJARAH KAN

Djarah, al Festival interverrai sul movimento Black Lives Matter. Un movimento che è tornato sotto i riflettori dopo i vergognosi episodi avvenuti negli USA.  Prima di oggi se ne parlava poco? Come mai? 

Sicuramente lo scarso interesse del giornalismo mainstream per tutto ciò che accade fuori dai confini italiani ha inciso in maniera significativa. Non si parla abbastanza di politica estera. Non si parla abbastanza di cultura, di movimenti sociali e diritti civili in questo Paese. Black Lives Matter è un movimento presente negli Satati Uniti dal 2016. A seguito della morte di George Floyd le loro istanze politiche sono riuscite ad attraversare l’Atlantico arrivando fino a noi. Tuttavia la centralità della vita dei neri all’interno di un sistema politico e sociale che razzializza le persone, non è un argomento di facile lettura in Italia, dove gran parte del razzismo, è omogeamente distribuito e diretto contro gli immigrati, che essi provengano dall’Algeria, dalla Siria o dalla Nigeria.

-L’impressione è che la situazione americana e quella italiana siano diverse. Cosa ne pensi? In Italia gli attacchi razzisti sono spesso interpretati a partire dal fenomeno dell’immigrazione. Può trattarsi di una chiusura ad accettare culture diverse?

Nessuno dice mai una sacrosanta verità: che essere razzisti è comodo e conviene. Grazie al razzismo chi ha un’azienda o un’attività commerciale si sente giustificato ad assumere e sfruttare gli immigrati. Sottopagandoli e umiliandoli con la convinzione che sia giusto fare così, in quanto gli stranieri sono ospiti, e un ospite non si lamenta ma ringrazia e fa silenzio. Grazie al razzismo, si può decidere di maltrattare od escludere una persona, sulla base della sua etnia. Grazie al razzismo si ha sempre la giustificazione ideologica per esercitare la prepotenza, l’abuso e la violenza. L’idea di essere bianchi, cittadini legittimi di un Paese, è essa stessa un’idea razzista, che offre sempre a chi la abbraccia, la possibilità di avere più privilegi rispetto agli altri. Non c’è alcuna ragione per cui due persone uguali nella loro umanità dovrebbero essere trattate con maggiore o minore favore. Ma occasionalmente il razzismo, ti dice che sei il primo, che non siamo tutti uguali e che se vuoi l’ultimo pezzo di pane puoi averlo, basta convincere gli altri che tu sia superiore nella cultura e nella presunta razza.

 

-Lo scorso settembre hai votato per la prima volta. Quanto conta la politica nel superamento dei pregiudizi razziali?

-Dopo la crisi del 2008, si è registrato un aumento incredibile dell’intolleranza nei confronti delle minoranze etniche e delle comunità LGBTQI+. Era come se la classe politica, incapace di dare risposte alla disoccupazione, e al fallimento della socialdemocrazia, avesse lanciato sulla folla inferocita dei fantocci da smembrare. Le parole dei politici contano, come contano le campagne elettorali degli ultimi dieci anni, che hanno fatto della criminalizzazione dell’immigrazione, il loro cavallo di battaglia. Più era degradato e degradante il linguaggio che i politici utilizzavano per raccontare l’immigrazione, e più si degradavano i rapporti tra le persone. Solo che quella non era più campagna elettorale trasmessa h24 in Tv. Quella era la vita vera, di gente vera che esplodeva di rabbia contro i propri vicini per i trentacinque euro al giorno o l’albergo a quattro stelle che la Lega denunciava ogni giorno, sia dentro che fuori dai comizi elettorali. Si è persa tanta umanità in questi anni, ma non solo a causa dei partiti di destra. Tanta umanità si è persa anche col Decreto-Minniti, che ha istituito carceri fatti apposta per gli immigrati. E ancora, tanta umanità è andata perduta col Decreto Sicurezza di Salvini, che ancora una volta, tramite lo strumento della legge, ha ribadito quanto poco rilevante e inutile sia la vita e i diritti degli immigrati. Intanto la gente da casa, sta seduta e prende nota su come comportarsi e soprattutto su cosa pensare di “quegli extracomunitari che rubano e fanno i padroni in casa nostra”.

-Nonostante sia il 2020, oggi in italia si assiste, oltre a fenomeni di discriminazione razziale, anche a discriminazioni legate al genere. Tu sei una donna italo-ghanese, da esperta e attivista, puoi raccontarci cosa è questa doppia discriminazione? Puoi raccontarci qualche episodio?

-Il razzismo è il sessismo sono due facce della stessa medaglia. Le donne immigrate subiscono molteplici attacchi, sia nella sfera domestica che in quella lavorativa. Nella mia vita personale ho dovuto spesso constatare che l’immaginario coloniale del corpo della donna nera, è saldamente presente all’interno degli atteggiamenti maschilisti di cui spesso si rendono protagonisti gli uomini. Questo tipo di discriminazione serve solo a rafforzare l’idea che non esista un soggetto femminile, ma solo un oggetto femminile da abusare e sfruttare economicamente. Degradare una donna attraverso la presunta inferiorità del proprio genere e della propria etnia, rafforza il paradigma del maschilismo, che grazie al razzismo riesce a creare nuove categorie di esseri umani, ancora più fragili ed esposte alla violenza.

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