Scacco matto alle iraniane: lo sport nazionale resta la negazione
I campionati mondiali degli scacchi femminili che dovrebbero tenersi in Iran l’inverno prossimo hanno scatenato l’ultima polemica sui diritti delle iraniane.
Almeno due campionesse internazionali hanno minacciato di non partecipare al torneo che prevede, in linea con la legge iraniana, il velo islamico per tutte le concorrenti. La Federazione Intenazionale degli Scacchi, FIDE, è stata accusata di sottomettersi alla volontà del regime iraniano: invece di premere per il diritto delle iraniane a scegliere il loro abito, regalando il torneo alla teocrazia islamica, ora anche le giocatrici straniere si devono adeguare alle legge che obbliga tutte le donne a portare il velo sul suolo iraniano, a prescindere della nazionalità o religione.
Nazi Paikidze, ex-campionessa dell’America, dice: “E’ inaccetabile che tale torneo venga tenuta in un passe dove chi rifiuta il velo obbligatorio finisce in carcere e in generale i diritti delle donne sono molto limitati.” Paikidze dice che molto probabilmente non parteciperà al torneo. Carla Heredia, campionessa pan-americana ecuadoriana ha detto: “Questo (evento) va contro lo spirito dello sport, che dovrebbe essere lontanto dalla discriminazione basata sul genere o religione.”
La FIDE invece insiste sulla sua decisione, per Susan Polgard, capo della commissione donne della FIDE, si tratta di rispettare le differenze culturali: “Io quando vado in qualsiasi paese mi metto l’abito locale. Nessuno me lo obbliga’’.
Peccato che questo “rispetto per le differenze culturali” non serva alle iraniane che si battono contro il velo obbligatorio. Masih Alinejad, giornalista iraniana in esilio che da Londra ha lanciato la campagna Le Mie Libertà Clandestine, dice: “Il velo non è la nostra cultura. La Republbica Islamica ci impone una legge reazionaria e lo impone pure alle donne non musulmane di tutto il mondo.”
Dall’altro canto, ci sono iraniani che considerano questo torneo come un’occasione per promuovere lo sport femminile in Iran. Per motivare le iraniane, per avere contatti con il mondo, e per spingere i limiti che il regime le impone. Secondo loro, boicottare l’evento le priva di questa occasione, isolerebbe l’Iran, e perfino potrebbe scatenare la reazione ostile del regime. Dopo l’accordo nucleare con le potenze del mondo, dicono, è l’ora di aprire l’Iran al mondo.
Chi ha ragione? Quale approccio contribuirebbe all’emanicapazione femminile in Iran? Il contatto con il mondo può favorire le condizioni delle iraniane? Un torneo del genere può aprire la strada verso nuove opporutnità sportive?
Contrariamente a ciò che qualcuno sostiene, non è il contatto con il mondo che porta il regime ad alleggerire la sua presa sulle donne. Al contratio: il regime permette il contatto con i il mondo solo nelle discipline e sotto le condizioni che esso ha già approvato.
Il regime iraniano ha concesso dei diritti alle donne, ma solo nell’quadro del suo sistema valoriale e giudiziario (islamico). Le donne possono viaggiare, ma per aver il passporto ocorre il permesso del marito. Possono lavorare, ma con il permesso del marito. Possono studiare, ma solo nelle discipline pre-stabilite. E possono fare certi sport, perché questi sono compatibili con il velo islamico. Quindi non è la pressione (tra l’altro inesistente) della comunità internazionale o il contatto con il mondo che ha permesso alle iraniane di giocare agli scacchi. Ma è il regime che a priori ha deciso di permetterle di giocare agli scacchi in quanto lo si può fare con il velo, mentre invece non possono nuotare, o fare la ginnastica. Non è il torneo internazionale che apre le porte alle iraniane. Sono gli ayatollah che hanno già aperto la porta, quella porta sola, alle iraniane, e quindi al torneo. Per fare un altro esempio, nel pallavolo maschile l’Iran gioca ai massimi livelli, ma malgrado il rimprovero della FIVB, la federvolley internazionale, le donne non possono neanche entrare nello stadio a guardare le partite nemmeno quando l’Iran ospita le squadre internazionali come l’Italia; non è il contatto con il mondo cha fa cambiare idea agli ayatollah.
Lo stesso è avvenuto per il calcio: le iraniane non hanno potuto partecipare ai tornei internazionali finché la Fifa non ha ceduto all’Iran, approvando il suo copricapo e pantaloni lunghi e larghi come kit ufficiale. Quindi, anziché premere l’Iran per rispettare il diritto delle sue cittadine di poter giocare con l’abbigliamento standard, la comunità internazionale ha legittimato il velo, già obbligatorio all’interno del paese, portandolo anche nell’ambito sportivo internazionale! Tutto con la giustificazione di differenze culturali e religiose: come se tutte le donne nei paesi islamici dovessero per forza essere musulmane e pure praticanti. Così la voce di un regime che decide la religione e la cultura di ogni suo singolo cittadino ha prevalso sui diritti universali, e sullo sport che dovrebbe essere al riparo dalla politica e religione.
Apartheid anti-femminile nella salsa culturale
Ammesso che il velo sia un elemento culturale, non lo sono anche la mutilazione genitale o tante altre forme di misoginia e discriminazione? Si può ufficializzare la discriminazione purché sia di matrice culturale?
Il regime di Apartheid in Sudafrica era sotto sanzioni, anche sportive, per anni e non poteva partecipare agli eventi sportivi internazionali. Il messaggio era chiaro: un regime che segrega i suoi cittadini non è degno di far parte della comunità internazionale. Nessuno si lamentò del fatto che a pagare il prezzo erano (anche) dei bravi atleti innocenti che perdevano l’opportunità di gareggiare a livello mondiale.
Allora perché un regime che ufficialemente seprara le donne dagli uomini e giuridicamente le rende cittadine di seconda classe merita di non solo partecipare ma perfino ospitare eventi sportivi di rilievo?
Perché l’Iran non è Sudafrica: ha il petrolio, un programma nucleare, ed è coinvolto e conta in conflitti regionali dalla Siria e Libano all’Iraq e lo Yemen. E l’Euorpa in bancarotta, dopo l’accordo nucleare, ha bisogno del mercato iraniano. Così l’Occidente sempre più assume un ruolo di sudditanza nei confronti dell’Iran. Lo scandolo delle statue romane non era un caso isolato. Le compagnie aeree come Air France che riaprono voli a Teheran ora obbligano le loro hostess di mettere il velo, anche quando sono a bordo dell’aereo di bandiera. Come si può incoraggiare il regime a non imporre la sua concezione della cultura autoctona alle sue cittadine quando le occidentali acconsentono e legittimano lo stesso (mal)trattamento per se stesse?
Il negazionismo è lo sport nazionale!
L’Occidente è debole, relativista, e codarda e applica doppi standardi per fini commerciali. Ma perché anche tanti iraniani (e iraniane) si oppongono alle pressioni, perfino simbolici, al regime? Molti iraniani non solo non sperano più in un cambio di regime, ma neanche in un cambiamento del regime.
Per primo, gli ayatollah hanno spaventato il popolo ricordando che ogni conflitto, o anche tensione, potrebbe trasformare il paese in un altro Afghanistan, Iraq, o Siria. Ragionamento strano per un popolo orgoglioso delle sue antiche radici che disdegna le sue nazioni confinanti, create artificialmente a righello dalle potenze coloniali. Ma il monito ha funzionato alla perfezione. Anche i cittadini dello “stato più antico del mondo” hanno paura di finire per ammazzarsi tra di loro se dovessero tentare di riformare il regime.
Allora scatta il meccanismo colletivo di vivere nella negazione. Gli iraniani hanno deciso di illudersi di avere già un paese come gli altri (liberi e occidentali)! La narrativa della lotta eterna tra i “moderati/riformisti” non invecchia mai. Bisogna dar tempo ai moderati/riformisti di tentare. Loro naturalmente non concludono mai perché nel disegno del sistema della Repubblica Islamica le istituzioni non-democratiche hanno sempre la meglio. E allora come dar colpa ai “riformisti”? Almeno non ci stiamo ammazzando come i siriani!
Nel frattempo fingiamo che il Paese è come gli altri: tappezziamo il facebook di immagini di una minoranza ricca che va a sciare al nord di Teheran, e fa feste peccaminose clandestine (con il rischio di arresti e flaggellazioni ma al giornalista occidentale che vuol far vedere ‘l’altra faccia dell’Iran’ questo dettaglio non importa).
Gli ambasciatori del “vero volto dell’Iran” invitano i turisti occidentali di visitare questa nuova, affascinanate destinazione. Ma non ti dicono che, specialmente se hai la doppia-cittadinaza, il regime ti può arrestare con l’accusa di “espionaggio”, e poi negozia il tuo rilascio chiedendo, e ottenendo, il rilascio dei suoi agguzini e terroristi dai carceri occidentali.
Poi ti dicono, se noi abbiamo avuto Ahmadinejad, da voi c’è Berlusconi o Trump. Se in Iran impiccano i minorenni in America la polizia spara ai neri. L’Iran è un carcere per i giornalisti? Ma in Europa non si può negare l’Olocausto, allora siamo pari!
E le atlete iraniane possono gareggiare e vincere medaglie olimpiche. Certo, solo nelle discipline approvate dal regime dove si può coprirsi bene come il taekwondo, ma godiamoci il successo e ringraziamo. Non vogliamo mica diventare un altra Siria?!
E a proposito della Siria, il sostegno di Teheran al regime infanticida di Assad riunicse gli iraniani religiosi e “secolar—nazionalisti”: per i sciiti l’appoggio ad Assad sciita, che regna su una maggioranza sunnita con una dinastia presidenziale è un dovere sacrosanto. Per i nazionalisti, il convolgimento militare oltre confine ricorda l’impero persiano e gli anni dello Scia. Problemi morali? Ma no! Anche gli europei hanno colonizzato gli altri.
Docile diaspora da Teheran a Toronto
A differenza dell’Unione Sovietica, L’Iran lascia a chi se lo può permettere di uscire dal paese. La nuova diaspora, però, quando non è totalmente apolitica, è portavoce della Repubblica Islamica! Per gli iraniani che, si sa, hanno tanto orgoglio, e poco altro, gli anni gloriosi dello Scia sono ormai irripetibili. Non ci sono movimenti di dissidenza credibili anche perché il regime ha fatto piazza pulita, dentro e fuori dall’Iran. Criticare il regime può costare caro anche ai familiari rimasti dentro l’iran. E comunque ogni colpo al regime potrebbe, ricordiamocelo, portarci verso un’altra Siria.
La nuova diaspora benestante, spesso lo è grazie alla collusione del papà con il regime, e vuol godersi la vita in Occidente ma mantenere i contatti con l’Iran. Allora come salvare sia lo status che la faccia? Vivere nella fantasia e la negazione: la prima mossa, dirsi “persiani” e non iraniani! E quando non ci si può proprio dissociarsi dallo stato islamo-fascista, far finta che l’Iran è (diventato) un paese normale. Certo, il numero uno mondiale nelle esecuzione pro capite, ma nessun paese è perfetto, vero?!
Allora forse questo torneo di scacchi può eclissare un po’ il primato imbarazzante nel tiro dei sassi o la corsa al patibolo. Ben vengano le signore giocatrici. Velate, ovviamente.
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