Diritti
Anche dalle macerie può nascere poesia
“ L’unico modo per confrontarsi con un mondo non libero è diventare così assolutamente libero che la tua stessa esistenza diventa un atto di ribellione”.
Solo qualche giorno fa si celebrava la giornata mondiale della poesia. Non è facile individuare il motivo per cui essa nasce, a volte è sedimentata in strati, tace per anni fluendo sotto la superficie. A volte si nasconde aspettando il momento giusto per venir fuori, a volte scaturisce dalla sublimazione del male subito. Questa l’origine della poesia di Maram Al Masri., nata a Latakia in Siria, esule a Parigi, in cui il dramma politico e sociale di un terra straziata e consunta da anni di dittatura si intreccia a quello personale di una donna discriminata, perseguitata e minacciata di morte dal regime di Bashar al Assad, che dà voce alle sofferenze di altre donne costrette al silenzio e che le fa dire :
“Le donne come me
non sanno parlare;
la parola le rimane
di traverso in gola
come una lisca
che preferiscono inghiottire”
Vincitrice di numerosi premi letterari, nonché quello della letteratura francese avendo scelto il francese come” lingua del paese ospitante per i rifugiati poeti”, nella sua poesia, lontana da cliché letterari e dettata dall’urgenza delle emozioni, trova posto empaticamente tutta l’ umanità sofferente, bambini e anziani, per troppo tempo dimenticata poiché è toccata la sventura di nascere in una terra poco appetibili agli occhi dell’occidente. Una terra che ha dovuto abbandonare perché la ragazza che aveva studiato letteratura inglese a Damasco potesse avere la possibilità di svilupparsi come donna libera che coltiva i suoi interessi, che cura il suo corpo, che può vivere scegliendo l’amore che invece le è stato negato in quanto si era innamorata di un ragazzo cristiano. Neppure il matrimonio, la vita in un paese libero, la Francia, e la nascita di un figlio, le darà la serenità sperata: pochi mesi dopo le nozze si separerà dal marito che le sottrarrà il bambino riportato in Siria. Quella perdita mai guarita nonostante la nuova vita sentimentale, sarà linfa vitale da cui nasce la forza di raccontare le storie raccolte dalla bocca di donne nate in paesi diversi, di età diverse, che svolgono professioni diverse, ma tutte, come lei , hanno sognato la libertà e l’amore ed hanno invece trovato l’abuso. Con un lessico semplice e crudo denuncia “ i lividi celati, gli ematomi nascosti tra le cosce, i loro sogni rapiti, le parole azzittite”. E così Yasmina cerca un po’ d’amore trasformandosi in una donna simile a quelle che vede sulle riviste, ma nelle sue trasformazioni dettate dalla ricerca di piacersi e piacere ad un uomo, finisce per perdersi e perdere il suo viso, la sua identità, straniera persino a se stessa. Awu Pam, che col suo francese stentato e “sgualcito come un fazzoletto”, lascia il suo lavoro di giornalista finanziario e la sua famiglia, lascia la sua carta di credito; l’uomo che dice di amarla le promette di farsi carico di lei, la terrà al riparo dalle responsabilità della vita, quella protezione promessa si trasformerà presto in prigione. Catherine, invece, nonostante appaia frivola, è tenera e cerca di riempire il suo vuoto d’amore mendicando un sorriso dal marciapiede. Incontriamo poi Atifè , morta a 16 anni, sognava di fare la ballerina in un paese, l’Iran, in cui mettere il rossetto, lasciare liberi i capelli e avere desideri è un crimine, e in cui il desiderio di libertà, il peggiore dei crimini, viene impiccato. Incontriamo poi il sopruso visto dagli occhi dei bambini: Sara si ripropone di imparare bene a stirare le camicie, non vuole che il suo futuro sposo la picchi come il padre fa con la madre. Per Suzanne che vede la madre trascinata a capelli da suo padre, il padre si identifica col coccodrillo che è su una fotografia appesa al muro, mentre Magda non ha conosciuto sua madre perché a 18 mesi il padre l’ha portata lontana affidandola ad una nonna che maledice chi l’ha messa al mondo.
Passione, solitudine, umiliazione, violenza, scandalo, e forza che spesso va a braccetto con la verità, sono l’anima della sua poesia a cui fa da bozzolo la bellezza della parola che solleva, consola, restituisce dignità e identità a chi ha perso tutto: pane, patria, legame.
La sua poesia è una poesia in cui dell’amore cercato sono rimaste solo le pesanti conseguenze: delusioni e abbandono. Solo la condizione e il sentimento nostalgico dell’esiliata sarà quella che non l’abbandonerà più, e trasformerà in voce pubblica l’amore per una patria martoriata le cui vicende sono seguite attraverso gli schermi di un computer. Un amore che rassomiglia, perciò, a quello di un innamorato che si aggira intorno a una prigione cercando di scorgere l’ombra dell’amata. Da lontano, con la puntualità di un racconto di cronaca, i corpi decapitati di donne e uomini e deflagrati dei bambini vengono raccontati in “nuda è la Libertà”. Nuda come un luogo sguarnito, spogliato, smembrato, come un popolo in cammino da una città scalzata dalle fondamenta. Mentre la libertà cantata è quella amputata che nega ai suoi figli non solo la possibilità di potersi procurare sostentamento adeguato, ma non avendo altro materiale con cui poter giocare se non i rimasugli della guerra, persino quella di avere sogni che accompagnano il loro sonno.
“La Siria è per me una ferita che sanguina. E’ mia madre sul suo letto di morte/ È la mia infanzia sgozzata/ il mio incubo e la mia speranza/ la mia insonnia e il mio risveglio». E nel canto di Maram, la Siria è anche «l’orfana abbandonata/…una donna violentata/ da un vecchio mostro/ abusata, prigioniera/ costretta al matrimonio», «l’umanità che soffre», «una bella che canta un’ode/ alla libertà/ ma le hanno tagliato la gola».”
Versi con cui narra il dramma del suo popolo schiacciato da ingiustizie il quale ha visto fallire il suo sogno di libertà alimentato dalle primavere arabe e che un’ omertà, complice di guerre rumorose, ha condannato al perpetrarsi di negazione di diritti depositari dell’essere umano. Un’acquiescenza che ancora oggi dinanzi all’avanzata di nuovi e più pericolosi terroristi, preferisce supportare il male minore
Le speranze deluse e la claustrofobica sottomissione al regime di Assad trasformatosi da agognato salvatore in carnefice che ha segregato sogni insieme alle vite umane soffocandone il grido, trovano spazio in versi in cui un bambino nato in prigione da donna violata chiede cosa sia una finestra
“ Una finestra è un porta nella parete da cui passa la luce del sole e dove a volte si appoggiano gli uccelli .Cosa sono gli uccelli? Lo interruppe il fanciullo. L’uomo prese una matita e disegnò sulla parete una finestra e un fanciullo con le ali”.
Anche le idee, in quanto volatili, non si arrestano. Sono in fuga dalle bombe e da una guerra in cerca di un luogo in cui poter essere piantate e divenire germoglio, in cui correre libere dai soprusi e da catenacci, al riparo dal “frastuono della paura e del freddo”
“I figli della libertà non indossano abiti di cotone ,la loro pelle presto si abitua alla ruvida stoffa .i figli della libertà indossano abiti usati, ai piedi scarpe troppo grandi oppure nudità e ferite”
A cullare i sogni di chi scappa sono le onde del Mediterraneo, troppo spesso fossa comune più che giaciglio sicuro. E se la migrazione degli uccelli risponde alla stessa esigenza di sopravvivenza, nel caso dei migranti il viaggio non comporta né rotte né un approdo sicuro.
Persone costrette a cambiare luogo in cui vivere, che hanno perso per sempre un posto sulla terra, gettati nel non nowherwville di Garreau, come polvere conoscono solo una dimensione temporale quella del “ tempo dell’arrivo a destinazione e di una nuova ripartenza.».
La polvere,
una viaggiatrice come me
una migrante come me
che, malgrado tutto, non attecchisce da nessuna parte.
Senza patria
viene da ogni orizzonte,
portata dalle ali del vento.
Dinanzi a tanto orrore è lecito chiedersi a cosa serva la poesia
La poesia, dissentendo, è urlo di ribellione, denuncia, è arma scagliata contro la barbarie, è atto civile, strumento di sensibilizzazione e rivendicazione. E se per Camus la giustificazione di uno scrittore è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo, essa è dovere allo stesso modo in cui, in quanto linguaggio universale, è un diritto a esprimere le proprie emozioni. Per Maram che incarna il credo etico camusiano del “mi ribello dunque esisto”, l’ atto di scrivere reca già in sé il seme di un rivoluzione. Scrivere è imparare a conoscere se stessi, nella propria nudità, nei pensieri più intimi.
In tempo di guerra, “la poesia è un salvagente, una mano tesa al mondo per evitare che anneghi”, strumento di sopravvivenza in momenti di difficoltà perché tocca nel profondo l’umano e le sofferenze dell’ essere umano
“ Che tu sia figlio mio la goccia d acqua che legandosi ad altre gocce formerà l’onda che laverà la costa del mondo e smusserà la costa tagliente “
Versi in cui si legge la speranza che, sebbene non abiti più nei luoghi martoriati e sventrati dalla guerra, alberga nelle parole le quali come un soffio di vento fresco spingono a credere che una vita migliore sia ancora possibile. Al pari della lanterna che fa luce sugli orrori di Guernica, la poesia può rischiarare le tenebre ed infondere bellezza, rendendo più dolce quel “pane duro intriso di pazienza”.
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