Diritti
Il futuro si costruisce oggi
Il sistema politico dell’universo di Guerre Stellari prende una direzione inaspettata quando, per fronteggiare l’avanzata dell’esercito di droidi, il Senato della Repubblica in larga parte preso dal panico e rassegnato al peggio, assegna al Cancelliere Supremo Palpatine poteri speciali. Le misure di emergenza e i poteri speciali non solo non verranno in seguito revocati, ma la Repubblica si trasformerà in Impero sotto la guida del nuovo Imperatore Palpatine.
Tutto questo accadde tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana di pura fantasia e immaginazione, eppure le dinamiche dello slittamento da un sistema democratico ad uno autoritario non sono poi così diverse da quelle già successe in diverse circostanze sul nostro piccolo pianeta Terra.
Come ricordano Steven Levitsky e Daniel Ziblatt nel saggio “Come muoiono le democrazie”, le crisi sono difficili da prevedere, ma non le loro conseguenze politiche. Una crisi rende più facile accentrare il potere e, molto spesso, abusarne. Guerre e crisi producono il cosiddetto effetto “rally ‘round the flag (stringersi intorno alla bandiera), con un incremento del consenso dei cittadini verso il governo in carica che assume proporzioni spesso clamorose.
Oggi, nel pieno della (prima?) ondata di Covid-19 ci troviamo proprio nel bel mezzo di una crisi, non solo più nazionale, ma globale. Una crisi in cui stanno cominciando ad affiorare i primi preoccupanti rischi per il futuro. In particolare il dibattito sulla necessità di rendere operative tecnologie di sorveglianza di massa ha già oltrepassato quel confine immaginario che separa un’ipotesi remota e lontana da un rischio reale e concreto che si profila dietro l’angolo. Nel nostro paese, il Parlamento, ormai svuotato da un mese di rappresentanza, poteri e… parlamentari, sembra aver accettato di buon grado l’idea che ad una crisi si possa rispondere solo con azioni di “pochi uomini al comando”. Noi cittadini ci siamo assuefatti ad attendere con impazienza la conferenza stampa delle ore 18, dove il Capo della Protezione Civile snocciola le cifre del contagio quotidiano, e poco importa se in nottata ci sarà un’inattesa conferenza stampa del Presidente del Consiglio: saremo pronti a collegarci sulla piattaforma social da cui prescriverà le nuove regole di vita e di comportamento.
Siamo probabilmente già molto vicini al punto di non ritorno, cioè al momento in cui avviene la “normalizzazione della crisi”, o per dirla in un’altra maniera ancora, a quel punto nel grafico di andamento della crisi in cui l’interesse generale è rivolto a quale sia la tecnologia più efficace per tracciare i movimenti delle persone, non più già alla legittimità, etica, correttezza, del suo utilizzo.
La situazione per chi abbia a cuore non solo il diritto alla propria privacy, ma anche quello più in generale alle proprie libertà individuali, si fa ogni giorno più complicata, tanto più che l’orizzonte della fine dell’emergenza viene costantemente spostato un po’ più in là. Pasqua? Dopo l’estate? Meglio parlare direttamente dell’anno prossimo?
Riprendendo le parole di Mark Fisher all’inizio di “Realismo capitalista”, la normalizzazione della crisi ha prodotto una situazione nella quale la fine delle misure di emergenza è diventata un’eventualità semplicemente impensabile: quand’è che la guerra potrà davvero dirsi conclusa?
Fisher rifletteva sul post 11 settembre, sulle successive guerre scaturite da quel drammatico evento e, ovviamente, sulle misure d’emergenza prese negli Stati Uniti, a partire dal famoso “Patriot Act”. Non è necessario possedere il carisma di Palpatine per chiedere al Congresso di ratificare maggiori poteri in capo al Governo per rendere più pervasive le misure di controllo e di sorveglianza nei confronti dei propri cittadini, è sufficiente essere George W. Bush.
Così oggi da noi, ecco che ci viene richiesto di scegliere tra sicurezza & salute da una parte, privacy & libertà dall’altra. Un’alternativa che nasce tra l’altro da un ragionamento capzioso, dato che la correlazione tra maggiore sicurezza e minore libertà è tutta da dimostrare. Ad ogni modo, il dilemma imperante oggi è questo: siamo disposti a cedere parte della nostra libertà a fronte della promessa di un più efficace contenimento dell’emergenza sanitaria?
Come si sarà intuito, la mia risposta è no. E per diverse ragioni oltre a quelle già evidenziate. Innanzitutto credo che la nostra società sia sufficientemente matura da poter affrontare la crisi con le armi proprie dei sistemi aperti, in particolare ampliando la sfera della trasparenza e della consapevolezza civica. La sfida che stiamo affrontando ora, non riguarda infatti solo il nostro presente, ma anche e soprattutto il nostro futuro.
La richiesta di ampliamento della trasparenza può apparire in contrasto con la volontà di tutelare la privacy, ma non è affatto così. Quando si parla di trasparenza, si intende la piena conoscibilità per ogni cittadino non tanto delle decisioni che vengono adottate, quanto delle motivazioni che sottostanno alle decisioni stesse. Aprire il processo decisionale, anche in una fase così delicata, offre a tutti la possibilità di sentirsi coinvolti e partecipi alle strategie di contrasto dell’epidemia che vengono prese dal Governo e, si spera, dal Parlamento. Piuttosto che una contrazione dei diritti, è l’ampliamento degli stessi che può fare la differenza, portando a una maggior consapevolezza civica.
Per contenere la diffusione del virus è infatti necessario che ognuno di noi faccia la propria parte, non per il timore di essere scoperto e punito grazie a dispositivi di sorveglianza massiva, ma perché è l’individuo che deve fare propria la responsabilità del successo o meno dell’operazione “contenimento dell’epidemia”. Solo in questo modo possiamo infatti aspettarci di ricominciare a vivere come se non meglio di prima. Insomma, se “io resto a casa” lo faccio perché sono consapevole che è la cosa più giusta da fare, non perché uscendo corro il rischio di essere tracciato, identificato, quindi punito.
Se non crediamo di farcela, se pensiamo che la nostra società sia composta da individui troppo indisciplinati, irresponsabili, incapaci di partecipare positivamente al benessere (letterale) collettivo, allora dovremmo ammettere a noi stessi che forse è un Imperatore Palpatine quello che ci meritiamo, non una democrazia rappresentativa basata sulla divisione dei poteri e su una Carta di diritti e doveri.
Come sottolineato da Yuval Noah Harari nel suo recente articolo sul Financial Times “The world after coronavirus”, quando parliamo di sorveglianza, teniamo a mente che le stesse tecnologie di sorveglianza possono essere usate non solo dai governi per controllare gli individui, ma anche dagli individui per controllare i governi.
Nel cercare la salvezza dal virus non commettiamo l’ingenuità, colti dal panico, di sottovalutare quello che sarà il mondo “dopo”, lasciando che venga plasmato in un contesto di estrema debolezza dei nostri diritti. Anche questa crisi, come tutte le crisi, passerà. Sta a noi tutti, ora, fare in modo che la società del dopo coronavirus sia migliore di quella in cui siamo nati e che abbiamo imparato a conoscere. Perché ciò accada non dobbiamo rinunciare ai nostri diritti e alla nostra libertà, ma al contrario è necessario rimboccarsi le maniche e cominciare da subito a costruire un futuro nuovo che assecondi il motto privacy for the weak and transparency for the powerful.
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