Diritti
Il cortocircuito europeo sui migranti tra Bielorussia e Polonia
Da un lato migliaia di persone disperate, con addosso impermeabili improvvisati, sacchi a pelo, tende e qualche vestito. Dietro di loro i soldati bielorussi che non li fanno indietreggiare e li spronano ad andare avanti. Dall’altro le forze dell’esercito polacco, equipaggiati di tutto punto e con le armi in mano. In mezzo una barriera lunga chilometri di filo spinato. Sullo sfondo Minsk, Varsavia e Bruxelles che litigano. Plasticamente è così che si potrebbe raffigurare la crisi dei migranti ammassati al confine tra Bielorussia e Polonia in questi giorni.
Il regime del dittatore Alexander Lukashenko sta alzando il livello di uno scontro ibrido nei confronti dell’Unione europea, appoggiato – o forse pilotato – dalla Russia di Vladimir Putin. E l’arma di Minsk sono i profughi: la minaccia dei flussi più o meno incontrollati pronti a entrare nei territori europei. In realtà è più uno spauracchio, visto che si tratta di centinaia, al massimo poche migliaia di migranti, che vogliono raggiungere l’Europa centrale, in particolare la Germania. Numeri che sono stati ingigantiti ad arte dalla Bielorussia. Ma le dinamiche delle ultime ore hanno fatto saltare alcuni fragili equilibri.
Dopo mesi di scontri sullo stato di diritto con Varsavia, infatti, ora le istituzioni di Bruxelles si sono mostrate, almeno a parole, compatte dietro alla Polonia. Il motivo lo spiega in maniera emblematica il premier polacco Mateusz Morawiecki, che si è fatto immortalare volentieri nel suo giubbotto militare con i soldati al confine, pronto a sfruttare quel tradizionale consenso che si stringe attorno a un governo nel momento in cui viene minacciato dall’esterno. Il primo ministro ha dichiarato che l’attuale crisi dei migranti, oltre ad essere oggetto di interesse nazionale, rischia di mettere in gioco anche “la stabilità e la sicurezza dell’intera Ue”. Un modo non troppo velato per cercare di assicurarsi il supporto totale dell’Unione sul tema – motivo per il quale ha chiesto un vertice straordinario Ue – senza però chiedere l’intervento di Frontex, l’agenzia europea che assiste i Paesi nella gestione dei confini esterni. In questo caso l’obiettivo della Polonia è di ergersi a “baluardo” della difesa dell’Ue. Un baluardo che non ha paura di usare i muri e le recinzioni fiorite di filo spinato, che invece imbarazzano Bruxelles.
O wschodzie słońca odwiedziłem wspólnie z @mblaszczak naszych żołnierzy i funkcjonariuszy strzegących wschodniej granicy Polski. Żołnierze, Policjanci, Straż Graniczna oraz Służby Specjalne czuwają nad bezpieczeństwem Polek i Polaków. Dziękuję! 🇵🇱🛡 pic.twitter.com/ayGruH0EWJ
— Mateusz Morawiecki (@MorawieckiM) November 9, 2021
La particolarità è che qualche settimana fa l’Unione europea aveva rigettato in modo categorico, tramite la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, l’uso dei fondi comunitari per la costruzione di barriere. Ora, invece, l’ipotesi è più che aperta. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel è stato chiaro, alimentando allo stesso tempo una certa confusione: “Secondo il servizio legale del Consiglio europeo il finanziamento dei muri è possibile, ma è una decisione che deve essere presa dalla Commissione”. Una discordanza che cresce ancora di più nel momento in cui una portavoce della Commissione, pur ricordando la posizione contraria di Von der Leyen, da una parte ha confermato che “al momento non risulta che le risorse europee siano utilizzate per la costruzione di barriere”, ma ha anche ammesso che la Commissione sostiene economicamente “la gestione dei confini esterni, incluse infrastrutture per il loro monitoraggio”. Ed ecco che emerge un pericoloso cortocircuito in seno alle istituzioni europee, con al centro una pratica simile a quelle contestate nel recente passato a personaggi politici come Donald Trump, Viktor Orban o Recep Tayyip Erdogan.
La contraddizione è anche un’altra. Nello scorso agosto, durante i giorni concitati della crisi in Afghanistan, davanti alle immagini dei ponti aereo, diversi leader europei avevano prima dichiarato la loro contrarietà all’arrivo di profughi afghani nell’Unione, per poi fare dietrofront. Ora molti voli che partono dalla Siria, dallo Yemen o dall’Iraq, da cui giungono i migranti al centro della controversia, fanno scalo in Turchia, negli Emirati Arabi Uniti o in Russia, per poi atterrare in territorio bielorusso. Una mossa studiata non solo da Lukashenko, ma fortemente consigliata – e supportata – dal vicino Putin. Per contrastare tale dinamica, l’Ue sta pensando a pesanti sanzioni economiche nei confronti delle compagnie aeree responsabili di questi trasporti, come per esempio Belavia. Ma così facendo, in maniera indiretta, contrasta le persone che fuggono da guerre e conflitti.
Gli interessi strategici degli attori in campo sono evidenti. Resta da capire a chi interessa veramente la sorte di quelle pedine umane utilizzate senza scrupoli.
(Foto presa dai profili della “Kanceleria Premiera” – la Cancelleria del primo ministro polacco)
Devi fare login per commentare
Accedi