Vittorio Arrigoni: ritratto di un utopista
Nei campi con i contadini e in mare con i pescatori tra gli spari, sotto le bombe durante l’operazione militare israeliana Piombo fuso. Questa la scelta di vita di Vittorio Arrigoni a Gaza, terra «madre di tutte le ingiustizie». In Vittorio Arrigoni: ritratto di un utopista (Castelvecchi), la giornalista Anna Maria Selini ne ripercorre gli anni in Palestina, attraverso i ricordi delle persone a lui più vicine fino al rapimento e all’assassinio, nell’aprile del 2011. Una morte su cui non è stata fatta ancora chiarezza. L’autrice presenterà il libro a Milano giovedì 30 gennaio, alle 19, alla Librosteria (via Cesariano 7).
Com’è nata l’idea di scrivere su Vittorio Arrigoni?
Nel 2012 avevo già realizzato un documentario d’inchiesta, trasmesso da Rai3, concentrandomi in particolare sull’omicidio di Arrigoni, avvenuto nella Striscia di Gaza il 15 aprile del 2011. A distanza di anni ho sentito l’esigenza di tornare a raccontarlo perché, se da un lato il suo motto “Restiamo umani” negli ultimi tempi è tornato in auge, diventando anche uno slogan contro i sovranismi – basti ricordare il sindacalista travestito da Zorro che dalla terrazza di un hotel ha srotolato uno striscione con il motto di Vittorio contro Salvini – dall’altro mi sono accorta che soprattutto i giovani conoscono le sue parole, ma meno la sua storia. Ho voluto raccontare l’uomo dietro lo slogan, mostrare come non si tratti solo di una bella frase, ma della sintesi di una vita a difesa dei diritti umani.
L’hai conosciuto di persona?
Ho conosciuto Arrigoni prima virtualmente, durante l’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza “Piombo Fuso”, nel dicembre del 2008. In quei giorni lessi sul Corriere della sera un articolo in cui si parlava di quest’attivista italiano che aveva deciso di rimanere dentro Gaza, letteralmente sotto le bombe, nonostante gli inviti del nostro consolato a uscire. Mi incuriosì e iniziai a seguirlo sul suo blog, Guerrillaradio, uno dei più letti in quel periodo in Italia. Vittorio scriveva molto bene, aveva uno stile ‘abrasivo’. Era come se parola dopo parola ti togliesse strati di pelle, fino a farti sanguinare. Ti rendeva partecipe della violenza e della sofferenza a cui era sottoposta la popolazione di Gaza e che lui stesso condivideva in quei giorni. Era impossibile restare indifferenti. Gli scrissi, poche righe, per esprimergli la mia solidarietà. E lui mi rispose, promettendomi un’intervista in tempi più tranquilli. E così, nell’aprile del 2009, quando entrai per la prima volta nella Striscia, lo intervistai. Incontrarlo di persona fu come scontrarsi con un personaggio in fuga da un romanzo. Vittorio era un partigiano testardo e intransigente, uno spirito romantico tormentato, un utopista con il look da Che Guevara o Corto Maltese.
Credi che sia importante ricordarlo per trasmettere il suo messaggio a restare umani?
Credo che vite come la sua siano letteralmente straordinarie, fuori dal comune, e che per questo vadano raccontate e ricordate. Ci sono giovani uomini e donne che scelgono di mollare tutto, la possibilità di una vita borghese, la “normalità”, per dedicarsi agli altri e a ideali per loro più urgenti di ogni cosa. Nonostante lo avesse deciso, era come se Arrigoni non avesse scelta. Ma “non occorre sedersi davanti a un carro armato israeliano e accendersi la pipa come me – scriveva – anche un sorriso, nell’indifferenza, può essere rivoluzionario”. Non voltarsi dall’altra parte di fronte alle piccole ingiustizie quotidiane. La difesa dei diritti parte da qui.
Come è percepita oggi secondo te la figura di Arrigoni?
Arrigoni continua a dividere, esattamente come quando era in vita. Persone come lui scatenano grandi amori o grandi odi, lui stesso era uno che non amava l’equidistanza e le mezze misure. Vittorio era schieratissimo, un moderno partigiano armato però solo di penna e telecamera. Era libero e nel tempo, grazie alla notorietà acquisita soprattutto attraverso i social, era diventato un personaggio fastidioso, che non la mandava a dire a nessuno. Al governo israeliano, ad Hamas, alla destra e anche alla sinistra italiana.
Chi sta portando avanti il suo lascito in questo momento storico?
In primis la madre, Egidia Beretta, che tiene vivo soprattutto tra i giovani il ricordo e il messaggio del figlio. Lei e Vittorio avevano un rapporto speciale, lui diceva sempre “ho succhiato i miei ideali dal latte materno”. Poi ci sono le tante associazioni che in Italia e anche a Gaza portano avanti il suo impegno, comunicativo e di sostegno pratico, a favore dei palestinesi, ma non solo, a partire dalla Fondazione Vik Utopia onlus che ha progetti in tutto il mondo.
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