Il nostro paese non è pronto ad accettare una donna libera. Non ancora almeno, se si dà uno sguardo ai dati che riguardano la violenza di genere, perché quest’ultima è frutto di un problema culturale. Peraltro, gli stessi dati ci raccontano di uomini violenti perlopiù italiani e spesso con professionalità medio alte. Nel periodo dal 2001 al 2016 Cerchi d’Acqua Onlus, centro antiviolenza milanese, ha accolto ben 10288 donne in situazioni di maltrattamento fisico, psicologico, economico, stalking, violenza sessuale e abuso sessuale nell’infanzia ed ha svolto più di 62.000 interventi. In queste situazioni erano coinvolti oltre 6.300 minori. L’attività dei centri antiviolenza e delle associazioni femminili, che molto spesso non hanno abbastanza sostegno dalle istituzioni, ha prodotto molti cambiamenti. Molto però resta ancora da fare. Abbiamo intervistato la presidente di Cerchi d’Acqua, Graziella Mazzoli, che da oltre trent’anni si batte contro la violenza di genere, aiutando moltissime donne ad uscire da situazioni complesse.
Quando nasce Cerchi d’Acqua Onlus a Milano?
La cooperativa innanzi tutto fa parte della rete nazionale Dire, che ha 80 centri in tutta Italia. Cerchi d’Acqua Onlus è nata nel 2000 dall’equipe di accoglienza della Casa delle Donne Maltrattate di via Piacenza. Ci siamo focalizzati negli interventi di accoglienza e di psicoterapia. Seguiamo le donne vittime di abusi in un percorso, da quando entrano in contatto con noi, anche attraverso una telefonata, fino all’elaborazione del trauma della violenza che hanno subito, negli anni, da giovani, oppure durante la loro vita da adulte.
Il primo contatto con le vittime di violenza è quindi telefonico?
Diciamo che è la donna che deve telefonarci, è fondamentale che il primo passo parta da lei. La telefonata è importantissima perché è il primo riconoscimento di avere un problema. Poi, le donne arrivano da noi anche attraverso segnalazione di amiche, di parenti, di madri in particolare, cioè genitori che sanno che la figlia è in un momento di maltrattamento e non vuole forse ancora uscirne, oppure da insegnanti, quando le ragazze sono molto giovani. Gli stessi assistenti sociali le mandano da noi se vi sono entrati in contatto magari per situazioni difficili con i figli. C’è una rete.
Quante donne avete aiutato in questi anni?
Dal 2001 al 2016 abbiamo visto 10288 situazioni di violenza solo per Milano e provincia, dove sono stati oltre 62mila gli interventi, con coinvolti oltre 6323 figli minori, e più di 1375 figure della rete relazionale. La violenza di genere riguarda tutti, è molto trasversale e non è assolutamente frutto di situazioni di degrado o emarginazione come spesso si pensa. I dati dicono che le donne che subiscono violenza sono per l’80% di nazionalità italiana, occupate per il 65%, di cui il 63% con professionalità medio alta. Anche gli uomini che agiscono la violenza sono di nazionalità italiana per l’81%, occupati per il 70%, di cui il 65% con professionalità medio alta.
Una fotografia contrastante con la percezione comune…
Sì, è anche un problema molto sottovalutato e soltanto il 20% dei maltrattamenti viene poi segnalato alle forze dell’ordine. È ancora abbastanza sottaciuto, quando se ne parla a volte lo si fa a sproposito. A volte leggiamo sui giornali “vittima di un raptus ha ucciso la moglie”… Ecco, non è mai un raptus, ma è sempre la conseguenza di un maltrattamento anche “solo” psicologico magari che dura da anni. Molto spesso infatti poi si scopre che la donna aveva denunciato una, due, tre volte e niente era successo, fino al femminicidio. Nel 2015 sono state uccise 117 donne (dati della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna). Una donna su tre subisce violenza nel corso della sua vita e i fatti delittuosi sono in aumento, soprattutto perché l’uomo non si adatta ad accogliere un rifiuto. La donna è ovviamente libera di scegliere di non stare più con un uomo ma questo non viene accettato.
Perché una donna non denuncia?
Ognuna ha i suoi tempi. Noi li rispettiamo i tempi personali di una donna. Molte hanno investito tutto nel matrimonio e nella famiglia e pensano di poter cambiare una situazione di violenza proprio per i figli e invece li fanno assistere a situazioni devastanti. Noi gli diciamo che forse è meglio separarsi piuttosto che lasciar assistere o vivere ai minori situazioni di violenza. A volte il partner è violento anche con i figli. Quello che spinge la donna a venire da noi è un rendersi conto che non è lei sbagliata, capita anche che siano i figli ormai adulti a spingere la donna a dire basta.
Come le aiutate ad affrontare un percorso così delicato?
Noi offriamo dopo la telefonata dei colloqui di accoglienza, dove ci mettiamo a fianco della donna senza prendere decisioni al suo posto ma cercando di capire come poterla aiutare affrontando il percorso insieme. Offriamo consulenze legali, gratuite, nel segreto e nell’anonimato, per tutelarne la sicurezza. Orientamento al lavoro se lo desidera. Dopo tutto questo, possiamo inserirla in psicoterapie individuali o in gruppi di auto-aiuto dove possono confrontarsi con donne con gli stessi problemi o che ne stanno uscendo. Così, capiscono di non essere sole, non si sentono sbagliate, perché la violenza isola e fa vergogna ancora oggi. Le donne prima di uscire dalle mura domestiche credono di essere le uniche a subire quello che subiscono. Credono di meritarselo, a volte di esserne la causa. Specialmente nella violenza psicologica, perpetrata anche davanti ai figli, la donna pensa di non valere nulla, ci dice “io non sono capace di fare niente”, “l’ho provocato”. Ma è l’uomo che cerca di annientarne l’autostima in balia della sua personalità bacata.
Tra i punti dello sciopero di oggi 8 marzo c’è la richiesta della non attuazione dei cosiddetti Codici Rosa e il coinvolgimento diretto dei centri antiviolenza nelle iniziative contro la violenza di genere…
Noi rifiutiamo l’applicazione istituzionale dei Codici Rosa. È chiaro che il primo approccio, se pubblico, non può prescindere dalla denuncia, ma dovrebbe comunque esserci un’attenzione alla donna, alla sua volontà e soprattutto alla sua sicurezza. Noi non siamo un luogo pubblico, cerchiamo di portare la donna a denunciare a seconda del fatto. La donna prima deve essere messa in assoluta sicurezza. Se denuncia e torna a casa può correre seri pericoli. Ecco perché è importante il Centro Antiviolenza. La donna è al centro di un percorso di sicurezza per sé stessa e i suoi figli. La regione vorrebbe che le donne fossero “schedate” per assisterle ma noi non vogliamo cedere su questo punto. Per noi è una sicurezza per la donna l’anonimato. Parteciperemo sia al presidio in Regione Lombardia che al Corteo che partirà dal Pirellone. Il nostro centro sarà aperto per le emergenze ma partecipiamo chiaramente.
Legacoop Lombardia ha dato il via ad un crowdfunding creato per sostenere quattro progetti meritevoli dal punto di vista civile, sociale, scientifico e culturale. Tra questi ci siete anche voi. Come avete intenzione di utilizzare i soldi che raccoglieranno?
Viviamo con convenzioni comunali e bandi, e il finanziamento burocraticamente purtroppo è sempre lentissimo. Sopravviviamo con eventi e raccolte fondi. Questo crowdfunding ci può servire per andare avanti tutti i giorni. Noi ci autofinanziamo anche la sede e non riusciamo a ottenere da questo Comune una sede o a canone agevolato o in comodato d’uso. In tutta Milano non crediamo che non ci siano dei locali dove noi potremmo avere uno spazio con una minima una facilitazione. Abbiamo bisogno di un luogo sicuro e centrale per le donne e abbiamo una sede privata.
Come mai nel 2017 ci si trova a dover combattere la violenza di genere?
Purtroppo noi cerchiamo di cambiarla la società in cui viviamo. Andiamo nelle scuole. I ragazzi giovani devono imparare il rispetto per l’altro. Sarà un percorso lungo. Non dimentichiamo che fino a 40 anni fa c’era il delitto d’onore e che lo stalking è stato introdotto da pochi anni. C’è tutta una mentalità da cambiare, una società prettamente patriarcale e maschilista dura a morire. Succederà, ma il percorso è lungo. Se una donna adesso fa dei passi per scegliere la libertà, l’uomo non è altrettanto maturo e non tollera il rifiuto. La cultura purtroppo non è pronta ad accentare una donna libera.
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