Diritti
Il 2 Novembre rinnoveremo l’intesa con la Libia, sulla pelle dei migranti
Il 2 novembre. In Italia questo giorno è dedicato alla commemorazione dei defunti, più nota come il giorno dei morti. Il fato, a volte beffardo, ha voluto che quest’anno questa data coincidesse con un altro evento che con la morte ha molto a che vedere.
Il 2 novembre scadrà infatti il termine per impedire il tacito rinnovo del memorandum di intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana. L’ultima occasione per l’Italia per chiamarsi fuori da un accordo che, pur nelle migliori intenzioni, si confida, ha prodotto risultati che non possono essere compatibili con uno Stato e un popolo che nell’accoglienza e nell’inclusione di popoli con storie e radici anche differenti, fonda le proprie origini.
Il Memorandum, sottoscritto dal governo italiano nella persona dell’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e da FayezMustafa Serraj per il Governo Libico, muove infatti da nobili premesse di reciproca collaborazione per il benessere di entrambi i Paesi. In particolare il nostro Paese si è impegnato, tra l’altro, a mettere a disposizione della Libia somme di denaro per diversi fini e conoscenze in svariati settori.
In particolare, all’articolo 2 punto 2) del Memorandum l’Italia si è impegnata a finanziare i centri di accoglienza dei migranti in territorio libico, formandone il personale. A fronte di questo è stato previsto l’impegno della Libia, non solo istituzionale ma anche militare, per arginare i flussi di migranti illegali e affrontare le conseguenze da esso derivanti. Tutto questo, nell’auspicio della parte italiana, confidiamo in buona fede, nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due paesi siano parte.
E proprio in questo inciso, dell’articolo 5, risiede probabilmente il primo motivo per cui il Memorandum non ha dato tutti gli esiti sperati. Il diavolo, sta nei dettagli. La Libia, infatti, non ha certamente aderito alla convenzione europea sui diritti dell’uomo, ma nemmeno alla Convenzione di Ginevra sui richiedenti asilo e sui rifugiati. Le parti, quindi, nel sottoscrivere il Memorandum avevano prospettive diverse su quello che avrebbe dovuto essere il trattamento dei migranti.
L’obiettivo di fermare o ridurre i flussi è quindi stato raggiunto, ma il trattamento riservato ai migranti nei centri di detenzione in Libia non può certamente essere considerato un successo per l’Italia. Ciò che accadeva nei campi di detenzione libici, appena prima della firma del Memorandum, è scritto inequivocabilmente, nero su bianco, in una sentenza del 10 ottobre 2017, della Corte d’Assise di Milano, con la quale veniva condannato all’ergastolo un torturatore etiope che gestiva personalmente il centro di detenzione di Bani Walid. Ma anche dopo la firma, i ripetuti soprusi, gli stupri, le torture, le continue violazioni dei diritti umani sono ampiamente documentati dai reportage e dalle inchieste di reporter come Francesca Mannocchi e Nello Scavo e da diverse organizzazioni internazionali.
Sembra insomma che il Memorandum non abbia mutato il quadro di trattamento dei migranti, ma semmai al contrario, il governo e i militari si siano rafforzati economicamente e possano ora operare sotto una copertura per così dire politica. Difficile tacere e fingere indifferenza di fronte alle richieste di aiuto di migliaia di esseri umani ingiustamente detenuti e privati di ogni diritto; è impossibile ignorare ciò che avviene nei campi di detenzione in Libia: una vergogna mondiale di cui l’Italia non deve essere complice.
È credenza diffusa che un cattivo accordo sia comunque preferibile a nessun accordo. Può anche essere vero, ma è altrettanto vero che un brutto accordo può e in alcuni casi deve essere migliorato. Sembra quindi doveroso, per chi ha a cuore l’umanità, chiedersi perché in seno al Governo del nostro Paese, anche per dare un segno reale e concreto e non solo formale alla decantata discontinuità, non si sia aperta una discussione sull’opportunità diimpedire il rinnovo tacito del Memorandum o almeno, e sarebbe davvero poca cosa, prendere l’iniziativa, ai sensi dell’art. 7,affinchè il Memorandum sia modificato, in un senso che sia aderente e rispettoso delle convenzioni sul rispetto dei Diritti dell’uomo di cui l’Italia è parte firmataria.
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