Qualche mese fa sono tornato al Camillian Social Center di Rayong, il primo centro di accoglienza per i malati di Hiv-Aids in Thailandia, una struttura aperta nel 1996 dal missionario italiano Giovanni Contarin. Poco prima di aprire questo centro, aveva provato a farlo vicino a Bangkok, ma l’esperienza era finita subito. E male. Inizialmente le minacce, poi l’esplosione di un piccolo ordigno proprio di fronte al centro. L’obiettivo è chiaramente intimidatorio: qui non siete i benvenuti.
Le ragioni si rintracciano radicate nella cultura thailandese, che in passato considerava – e in parte considera tutt’ora – il virus come una sorta di punizione inflitta all’individuo per la propria condotta dissoluta o inopportuna nella vita precedente. Il Karma, si chiama. Le persone sieropositive venivano, pertanto, spesso abbandonate e rifiutate dal tessuto sano della popolazione.
Ma il missionario italiano rimane determinato nel suo intento. Non si arrende e decide di aprire il centro duecento chilometri più a sud, nelle vicinanze di Rayong, una zona con un’elevata percentuale di casi di infezione da Hiv, classificata tra le prime cinque della Thailandia. E oggi, venticinque anni dopo, la struttura “Made in Italy”, è riuscita ad aiutare oltre duemila persone, compresi duecento minori.
All’arrivo vengo accolto da Jürgen Francis, soprannominato Jimmy, 64 anni, tedesco, salvato nel 2011 dal Camillian Social Center, che avevo conosciuto qualche anno prima. Come allora ha il sorriso stampato sul volto ed è vestito di nero, con una croce che pende dalla collana sopra la maglietta.
La sua storia è incredibile. Un passato da professionista prima nel calcio in Scozia e poi da ballerino in giro per il mondo. Ed infine il trasferimento nel Paese asiatico, dove ha insegnato inglese fino a quando, casualmente, ha scoperto di essere sieropositivo. «Un collasso mi ha rivelato le reali condizioni di salute. Ero incredulo, ma i risultati delle analisi erano chiari: ero sieropositivo da dodici anni senza neanche saperlo», racconta Jimmy mentre mi mostra il suo nuovo ufficio all’interno della struttura.
«Stavo aspettando la morte in un ospedale della capitale, quando grazie ad alcuni contatti, l’8 novembre 2011 un’ambulanza mi ha portato qui. Pesavo poco più di 30 chilogrammi, ero praticamente esanime», continua l’ex calciatore professionista. «Non cedevo di sopravvivere, pensavo semplicemente che sarebbe stato meglio trascorrere gli ultimi giorni della mia vita fuori da una clinica, in un posto più tranquillo».
Il destino, però, è stato un altro. Jimmy ha iniziato a curarsi e pian piano è tornato a muoversi e a camminare. È tornato a vivere. E ora ha deciso di rimanere come volontario e aiutare tutti gli ospiti del centro. «Perchè con il virus si può vivere, ma bisogna ricevere assistenza e cure adeguate». Già, perchè, è bene ricordarlo, le persone che contraggono l’Hiv – ovvero che sono sieropositive – non sono malate di Aids, ma sono destinate a diventarlo senza l’assunzione di farmaci antiretrovirali.
Oggi, primo dicembre, si celebra la Giornata mondiale contro l’Aids. Istituita nel 1988, è stata la prima giornata internazionale dedicata alla salute ad essere stabilita a livello globale, con l’obiettivo di mantenere alta l’attenzione e puntare lo sguardo verso i problemi che riguardano la diffusione del virus, in particolar modo nelle parti più povere del mondo, dove l’accesso alle cure è ancora più complicato. Non è un caso, infatti, che la zona più colpita è l’Africa orientale e meridionale. A seguire l’area dell’Asia Pacifico e l’America Latina.
«Nel 2020, 1.5 milioni di persone sono state infettate dall’Hiv e 680 mila sono morte a causa di malattie legate all’Aids», spiega il documento informativo 2021 redatto dall’Unaids, il programma delle Nazioni Unite per l’Hiv-Aids, pubblicato annualmente alla vigilia della Giornata mondiale contro l’Aids. «Le nuove infezioni da Hiv nel 2020 sono state ridotte del 52 per cento dal picco del 1997 e del 31 per cento dal 2010. I decessi correlati all’Aids sono stati ridotti del 64 per cento dal 2004 e del 47 per cento dal 2010».
E anche se i numeri ci parlano di un netto miglioramento, è importante tenere alta la guardia. Soprattutto sui minori. «Nonostante alcuni progressi nella lotta contro l’Hiv e l’Aids, nell’ultimo decennio i bambini e gli adolescenti hanno continuato a rimanere indietro in tutte le regioni. La copertura della terapia antiretrovirale globale per i bambini è molto indietro rispetto a quella delle madri in gravidanza e degli adulti», si legge nel rapporto redatto dall’Unicef in occasione della giornata di oggi.
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