Lavoro
Alle aziende servono inclusione e diversità per uscire dalla crisi
Si sente parlare spesso di inclusione sociale, una definizione che esprime un concetto molto semplice: a tutte le persone devono essere garantiti gli stessi diritti. Spesso però gli individui subiscono delle discriminazioni a causa delle loro origini, del sesso, della cultura, della religione e anche della loro disabilità. Per evitare qualsiasi forma di discriminazione è necessario generare una mentalità di inclusione sociale, soprattutto nel mondo del lavoro che resta il principale strumento per favorire l’integrazione tra le persone e che valorizza le diversità di ogni individuo. Anche i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 riconoscono che le persone con differenti background, età, origini, cultura, orientamento sessuale e capacità fisiche possono apportare punti di vista unici e contributi originali, che favoriscono l’individuazione di soluzioni creative e innovative. La diversità, quindi, è una grande risorsa che può trasformarsi nella chiave del successo di un’azienda, a patto che sia valorizzata al meglio. Purtroppo per molte aziende rispettare la legge 68/99, che obbliga l’assunzione di una quota di disabili, diventa un problema. Addirittura molte aziende preferiscono pagare sanzioni amministrative (160 Euro per ogni giorno di non ottemperanza) stabilite per chi non rispetta le quote previste dalla legge. Maggiore diffidenza si manifesta nei confronti delle disabilità intellettive ai fini della produttività in azienda.
Questo tema però è pieno di pregiudizi che trovano origine nella disinformazione. In un recente studio McKinsey, si osserva che le aziende che usciranno meglio dalla crisi e dal post Covid, saranno quelle in grado di dimostrare una maggiore attenzione ai temi della diversità e dell’inclusione. Dal sondaggio emerge addirittura che la presenza, in azienda, di persone con sindrome di Down porti ad un notevole miglioramento della salute aziendale in diverse aree, che vanno dal miglioramento del clima interno alla risoluzione dei conflitti, fino alla soddisfazione dei clienti e ad una maggiore motivazione di dipendenti e collaboratori.
Nel nostro Paese un bambino ogni 1.200 nasce con la sindrome di Down, una condizione genetica alla base della più comune forma di disabilità intellettiva nel mondo. Fino a non molti anni fa si pensava che questi bambini sarebbero stati per sempre dipendenti dai loro genitori. Oggi una fitta rete di associazioni li considera invece una risorsa con un grande potenziale in grado di contribuire allo sviluppo e all’arricchimento della società.
Abbiamo cercato di approfondire l’argomento con CoorDown, Coordinamento Nazionale delle Associazioni delle persone con sindrome di Down. CoorDown, attiva dal 1987, ma costituita formalmente nel 2003, ha lo scopo di attivare azioni di comunicazione sociale per far conoscere le potenzialità delle persone con sindrome di Down; favorire la loro inclusione nella scuola, nel lavoro e nello sport; condividere esperienze tra le singole associazioni; individuare e mettere in atto strategie comuni rispetto a questioni politiche condivise. “Fare cultura è una delle nostre mission. – spiega Antonella Falugiani, Presidente di CoorDown – Ci impegniamo a farlo in tutti i contesti sia quelli istituzionali, sia a scuola, sia nel mondo del lavoro, nello sport e nella società. Ci battiamo per far rispettare i diritti fondamentali delle persone con disabilità intellettiva e garantire che nessuno venga lasciato indietro, ma anche per abbattere gli stereotipi e i pregiudizi che la società ha verso le persone con sindrome di Down. L’inclusione è prima di tutto un fatto culturale, noi crediamo che prima di qualsiasi altra azione vada coltivato il contesto: è solo in un terreno fertile che i progetti delle associazioni possono davvero fiorire.”
CoorDown ogni anno promuove la Giornata Nazionale delle persone con sindrome di Down (seconda metà di ottobre) e la Giornata Mondiale della Sindrome di Down (21 marzo), in occasione della quale viene lanciata una campagna di comunicazione volta a cambiare l’immaginario sulla persone con sindrome di Down. “Nel 2021 abbiamo scelto il tema del lavoro. – continua Falugiani – Con la campagna “The Hiring Chain” abbiamo invitato tutti, aziende, cittadini, istituzioni, a dare maggiori opportunità di lavoro e a conoscere da vicino i benefici dell’inclusione lavorativa. Il video musicale è stato interpretato da Sting. La campagna ha avuto in poche settimane oltre 5 milioni di visualizzazioni nelle diverse piattaforme: 2 milioni solo su LinkedIn. Nelle prime 2 settimane, 35mila persone hanno visitato HiringChain.org e circa 900 aziende da tutto il mondo hanno contattato CoorDown per chiedere informazioni o con l’intenzione di assumere una persona con la sindrome di Down. Solo in Italia i contatti sono stati in poche settimane 50, sono 15 i tirocini e gli inserimenti lavorativi già avviati o in partenza in pochi mesi. Il primo nel quartier generale di Salvatore Ferragamo a Firenze, e l’ultimo nel flagship di Levi’s in centro a Milano. Diversi anche i protocolli d’intesa firmati con grandi aziende che potranno offrire opportunità lavorative in diversi territori.”
Abbiamo dunque chiesto a Martina Fuga, Presidente di AGPD, Associazione Genitori e Persone con Sindrome di Down, punto di riferimento in Lombardia per le persone con sindrome di Down e per le loro famiglie, cosa significa per una persona con Sindrome di Down entrare a far parte del mondo del lavoro. “Questa è una domanda che dovremmo porre ad una persona con sindrome di Down, ma dall’osservatorio che ho a disposizione e dalle conversazioni che ho avuto con adulti con sindrome di Down quello che emerge è che il lavoro è importante per le stesse ragioni per cui lo è per tutti noi: essere più indipendenti, contribuire alla società, avere un proprio reddito, apprendere nuove competenze, conoscere nuove persone e sentirsi apprezzati.”
AGPD da 40 anni opera per l’inclusione, il rispetto, la dignità e la maggior autonomia possibile delle persone con sindrome di Down. l’Associazione svolge un lavoro di mediazione, di riferimento, di sensibilizzazione e di formazione lavoro, operando in sinergia con tutte le strutture della società e collaborando con istituzioni pubbliche e private. “Assumere una persona con sindrome di Down può avere un impatto positivo sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei dirigenti aziendali e dei collaboratori, e può migliorare la cultura nel luogo di lavoro. – continua Fuga – Vorremmo superare il concetto di categoria protetta e quando inseriamo una persona con sindrome di Down in una nuova azienda lavoriamo con cura nel trovare il match giusto tra i bisogni dell’azienda e le competenze del lavoratore. Ciò che conta è trovare la persona giusta per il posto giusto. La diversità rafforza tutti i luoghi di lavoro. Un circuito virtuoso che fa crescere l’intera società.”
Martina Fuga ci racconta la storia di alcune persone, evidenziando la diversità dei contesti nei quali queste persone lavorano. C’è Federico Vitali, 28 anni, che lavora presso lo studio legale SCF e svolge un lavoro di supporto alla segreteria dello studio, opera utilizzando il sistema gestionale di studio, verifica la completezza delle schede dei clienti e dei fascicoli, richiede ai professionisti dello studio di fornirgli i dati mancanti e apporta le necessarie integrazioni. Assunto senza che lo studio avesse nessun obbligo di legge. C’è Giulia Garitta, 24 anni, lavora in Dual SPA, una compagnia di assicurazioni, anche loro non avevano nessuna scopertura quando hanno chiesto il supporto di AGPD per assumere una persona con sindrome di Down. Giulia ha iniziato ad occuparsi della gestione sinistri, per poi allargare le proprie competenze anche all’area portafoglio e all’amministrazione. Questa prima esperienza ha indotto l’azienda a replicare. Dopo un paio d’anni sono tornati da AGPD per un nuovo inserimento. Andrea Giusani, 33 anni, che ha iniziato in pieno lockdown e ha imparato da zero un mestiere e al momento si occupa di fatturazione elettronica. “A seguito della campagna promossa da CoorDown sono arrivate tantissime proposte – prosegue Fuga – e stiamo facendo davvero fatica a sostenere l’enorme lavoro che sta dietro ad ogni inserimento: selezione, adempimenti burocratici, tutoraggio e monitoraggio. Ma è una bella fatica! Il più recente inserimento è quello di Elisa Boreatti, che è entrata a far parte dello staff dell’Experience Hub di Levi’s, e si occupa della vendita e dell’accoglienza dei clienti negli spazi del negozio d’abbigliamento. E’ la prima persona con sindrome di Down a entrare nel mondo Levi’s, ma sono certa che non sarà l’ultima.”
Un altro aspetto fondamentale dell’inclusione e dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità riguarda il coinvolgimento della comunità di riferimento. Il concetto di inclusione conduce al riconoscimento di un diritto come forma di contrasto al suo opposto: l’esclusione. Percorrere le strade dell’inclusione sociale significa sostanzialmente porre la questione della disabilità nella dimensione sociale del diritto di cittadinanza, perché riguarda tutti coloro che partecipano alla vita sociale all’interno di un determinato contesto: includere vuol dire offrire l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti. Ne abbiamo parlato con Lucio dell’Arciprete, Direttore Amministrativo della Cooperativa Archè, che opera nella provincia di Milano, nel Comune di Inzago, una realtà nata negli anni ’80 dalla spinta generatrice di alcune famiglie e che gestisce un Centro Socio Educativo (Arcobaleno) ed un Centro Diurno Disabili (Archimede) per persone con diversi gradi di fragilità.
L’obiettivo della Cooperativa Archè è promuovere la dignità delle persone con disabilità, per contribuire all’edificazione di una Comunità pienamente inclusiva, dove la diversità è un valore e non una limitazione. “Dopo trent’anni di attività ci siamo chiesti: cosa possiamo fare per essere ancora incisivi sul nostro territorio ed essere parte attiva nel presente? Come proiettarci verso il futuro? nasce da qui l’idea tre anni fa di aprire una nuova attività, un nuovo servizio che compenetrasse due esigenze. Da una parte fornire la possibilità di creare lavoro per persone svantaggiate garantendo loro un progetto di vita, dall’altra aprire un luogo ad alta socialità, dove organizzare eventi musicali, culturali ed artistici particolarmente innovativi fornendo, contemporaneamente, prodotti di elevata di qualità. L’incontro con il birrificio Muttnik ci ha consentito di pensare all’apertura di un pub con birre artigianali di alta qualità prodotte con etichetta social. Sono state realizzate così le 4 social beers de La Differenza Social Pub: Pils, Ipa, Blanche, Red Ale.” Nasce così La Differenza Social Pub nel pieno spirito della Cooperativa Archè che con questo progetto si rende ancora di più promotrice di cultura della diversità, ma anche motore di sviluppo di un modello di welfare territoriale solidale e condiviso. “Consapevoli che <<la differenza si fa insieme>> – continua dell’Arciprete – abbiamo ricercato intorno a noi/vicino a noi partner per garantire prodotti d’eccellenza attraverso aziende sociali responsabili con i quali condividiamo la mission, come ad esempio il pastificio Zini, la macelleria Motta o Rotolana (progetto di agricoltura a km0).” Purtroppo la pandemia non ha risparmiato questo genere di attività, spiega dell’Arciprete “l’emergenza sanitaria ci ha molto penalizzato, ma noi continuiamo a resistere e lottare perché il riscontro che abbiamo avuto e che abbiamo tuttora sul territorio ci sta infondendo una grande forza e sentiamo un rinnovato desiderio di perseguire gli obiettivi culturali e sociali che ci eravamo posti prima della pandemia: integrazione, condivisione, relazione.”
Ma il tema dell’inclusione e della coesione sociale di persone con disabilità non interessa solo il mondo del lavoro. La crescita personale e lo sviluppo delle autonomie di persone con disabilità avviene anche durante le attività ludiche e di riorganizzazione del tempo libero. Come in questi due progetti dell’Associazione Mirmica, una realtà che partendo dal teatro, dalla danza e dal video opera in diversi ambiti, sviluppando progetti di intervento artistico e formativo al fine di promuovere la bellezza e il benessere delle persone, delle organizzazioni e della società. Fra i loro ambiti di intervento c’è proprio la riabilitazione psicosociale, l’integrazione e la diversità. InGioco e Riabitare gli Spazi sono due progetti che nascono dalla collaborazione di Mirmica con il servizio di assistenza al disagio psicologico e sociale dell’Ospedale G. Salvini di Garbagnate Milanese (INGIOCO) e con l’Associazione Il Sorriso ODV di Cusano M.no, (RIABITARE GLI SPAZI).
INGIOCO nasce nel 2018 l’obiettivo di trasformare il gruppo degli Apprendisti Teatrali, laboratorio teatrale nato nel 2006 all’interno dei servizi di assistenza al disagio psicologico e sociale dell’Ospedale G. Salvini di Garbagnate Milanese, in una piccola compagnia teatrale, oltrepassando l’idea del laboratorio come un servizio offerto a degli utenti, in modo da divenire una risorsa per favorire il benessere e la rigenerazione territoriale. “Da un punto di vista del lavoro sulla fragilità psichica, il fine è quello di superare una visione passivizzante dell’utenza per adottarne una fondata sulla completa condivisione delle informazioni con il gruppo e l’adozione di pratiche di formazione e creazione responsabilizzanti e autonomizzanti” ci spiega Wauder Garrambone, socio Mirmica e responsabile dei progetto “Da un punto di vista del lavoro territoriale, il fine è di contribuire a combattere lo stigma creando situazioni di gioco in cui la provenienza psichiatrica della compagnia possa passare in secondo piano e contribuire a creare legami più forti e liberi dallo stigma fra i servizi e la comunità, facilitandone la capacità di intercettare le fragilità.” Purtroppo anche in questo caso la pandemia ha rappresentato una difficoltà, che però si è subito dimostrata un’opportunità. I ragazzi del gruppo Apprendisti Teatrali avevano ideato un progetto chiamato Bibliofonie, da proporre alle biblioteche, un momento di animazione, performance e giochi attorno al tema del libro e della lettura. Con l’emergenza sanitaria le bibliofonie diventano digitale fino a giugno 2021, quando poi riprendono con performance all’aperto.
Riabitare gli Spazi è un progetto che nasce in seguito alle restrizioni della pandemia “L’associazione Sorriso da diversi anni lavora in sinergia con le realtà territoriali come le scuole, associazioni, enti, commercianti, per individuare quali sono i bisogni delle persone, seguendo un’ottica di lavoro che promuove azioni di promozione della cittadinanza attiva e dell’inclusione dei soggetti più fragili. – spiega Garrambone – In pandemia anche gli spazi destinati alla socialità e alle attività educative sono venuti a mancare per l’impossibilità di accedervi causa restrizioni, o si è dovuto modificare il modo in cui siamo da sempre stati abituati a viverli. Abbiamo quindi lavorato per pensare a un progetto che accompagnasse le persone ad elaborare i propri vissuti, condividere le esperienze ed immaginare, insieme, modalità (anche innovative ed inedite) per tornare a vivere gli spazi.” Riabitare gli spazi si articola in 4 macro azioni, fatte di laboratori di varia natura per facilitare l’emersione di racconti sulle esperienze della pandemia e per recuperare la prossemica dei luoghi e delle relazioni fisiche con gli altri. Il tutto porterà alla realizzazione di una mappa virtuale del territorio di Cusano Milanino dove poter ascoltare le voci del territorio, le idee, proposte, soluzioni possibili e impossibili. “A maggio 2022 ci sarà una camminata attraverso questi territori – continua Garrambone – un momento per far incontrare, in totale sicurezza, tutte le persone che hanno preso parte al progetto e più in generale tutte le persone che avranno voglia di prendersi un tempo, lento, per attraversare la città, aprire lo sguardo e riflettere”.
Tutte queste attività dimostrano che, fare azione nel territorio e all’interno di una comunità, significa essere soggetti del cambiamento culturale e sociale, andare oltre al ruolo di prendersi cura delle persone con disabilità ed essere un punto di riferimento per le famiglie interessate, ma essere parte attiva e integrante di altre realtà e soprattutto dell’intera cittadinanza. Agire sulla società e fare azione nel territorio implica la necessità di ampliare l’attenzione dalla dimensione dell’individuo a quella dei sistemi relazionali in cui ogni individuo è immerso. È un po’ come rovesciare il paradigma: prendersi cura del territorio per curare le persone, andando oltre alla semplice erogazione di un servizio. Fare cultura rispetto a questi argomenti, creare occasioni di incontro e di dialogo fra le persone all’interno di un’azienda o fra diverse realtà di un territorio sono tutte azioni che creano condizioni ideali per la costruzione di relazioni positive. La vera evoluzione, il vero cambiamento sta nel porre l’attenzione non sulla condizione di disabilità e relativo disagio, ma sulla ricerca di una crescita e benessere comune.
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