Regolamentare l’Intelligenza artificiale è la prossima frontiera progressista

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17 Ottobre 2024

È di tre giorni fa l’adozione da parte del Consiglio europeo della direttiva intesa a migliorare le condizioni di lavoro per gli oltre 28 milioni di persone (si stima supereranno i 43 milioni nel 2025) che lavorano attraverso le piattaforme informatiche in tutta l’Unione europea. La direttiva dovrebbe rendere più trasparente l’uso di algoritmi nella gestione delle risorse umane, garantendo che i sistemi automatizzati siano monitorati da personale qualificato e che i lavoratori abbiano il diritto di contestare le decisioni automatizzate. Gli Stati membri avranno due anni per recepirne le disposizioni e stabilire una presunzione legale di occupazione nei loro sistemi giuridici che verrà attivata quando verranno riscontrati determinati fatti che indicano controllo e direzione.

Ma l’utilizzo degli algoritmi in ambito lavorativo ormai travalica il ristretto ambito delle piattaforme informatiche. Se pensiamo di associare all’algoritmo l’immagine di un rider con la sua bicicletta o un autista di Uber beh, ci stiamo sbagliando di grosso o, quanto meno, rischiamo di non comprendere il fenomeno. Immaginiamo che l’adozione dell’intelligenza artificiale e altre tecnologie in ufficio alleggerisca i carichi di lavoro? Siamo decisamente fuori strada. Pensavamo di essere noi a controllare le macchine, invece ci ritroviamo con le macchine che controllano i lavoratori.

Le conseguenze dell’IA sui lavoratori

Una serie di recenti studi della Feps, la Fondazione per gli studi progressisti europei, condotti in collaborazione con altri centri studi scandinavi, apre uno squarcio sull’utilizzo estensivo di nuove tecnologie nei luoghi di lavoro in Norvegia, Svezia e Finlandia. Dal giornalismo alla finanza, dai trasporti al commercio al dettaglio, passando ovviamente per la logistica, la ricerca ‘Algorithmic Management in The Workplace’ mette in luce quanti singoli strumenti tecnologici vengono utilizzati per migliorare la produttività, automatizzare processi di lavoro, raccogliere  e analizzare dati, sorvegliare e monitorare i luoghi o, ancora pianificare in modo predittivo i turni di lavoro. Il complesso di tali attività viene definito come gestione algoritmica e coinvolge il 76 per cento dei lavoratori che, secondo un’indagine condotta tra oltre seimila membri sindacali in Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia, riferiscono aumenti del carico di lavoro e dello stress.

Meno autonomia, maggiori carichi di lavoro, una sensazione di maggiore stress e una crescente preoccupazione per la sicurezza del proprio impiego. Sono i risultati della ricerca “Computer al comando: Conseguenze della gestione algoritmica per i lavoratori», presentata ieri con un evento al Comitato Economico e Sociale Europeo.

La Direttiva sul Lavoro su Piattaforma ha stabilito un precedente per una possibile nuova legislazione europea sull’IA nei luoghi di lavoro, afferma Gerard Rinse Oosterwijk, analista di politiche digitali presso FEPS e co-autore dello studio. «I nostri risultati evidenziano, da un lato, la necessità di un dialogo sociale sull’introduzione e l’applicazione dei sistemi AM (gestione algoritmica ndr), e dall’altro, la necessità di adattare la legislazione sulla salute e sicurezza sul lavoro e introdurre nuove normative per gestire l’IA nei luoghi di lavoro».

«Il ruolo del manager si è trasformato con l’AM», afferma Magnus Thorn Jensen, analista senior del think tank danese Cevea e autore principale dello studio. «I manager hanno sempre avuto la capacità di monitorare e controllare i propri dipendenti, ma le nuove tecnologie hanno ampliato significativamente queste possibilità. Il nostro studio mostra che ciò può essere dannoso per il benessere dei dipendenti».

I sistemi di controllo algoritmico possono essere ricondotti a tre specie: gestione degli input, come il controllo dei turni o l’assegnazione di compiti; gestione dei processi quali il monitoraggio di macchine o il tracciamento di varie operazioni; e infine la gestione dei risultati quali, ad esempio, la velocità di esecuzione di determinate attività o il rendimento e la qualità di un certo lavoro.

Quanti hanno risposto che un computer viene utilizzato per monitorare la velocità del loro lavoro o la qualità delle loro prestazioni lavorative ritengono che il controllo possa avere conseguenze piuttosto significative per loro, sia positive che negative.

La percezione dei lavoratori sull’utilizzo della tecnologia per monitorare velocità e rendimento. (Computer in command: consequences of algorithmic management for workers – p. 28)

 

I lavoratori hanno perso il controllo sul lavoro

Il punto vero, ha sottolineato Nicola Countouris, docente di diritto del lavoro e diritto europeo alla University College London, «è che in molti aspetti i lavoratori hanno perso il controllo sul loro lavoro e sul luogo dove viene espletato». Per quanto non siano mai stati realmente al ‘comando’ nel modello imprenditoriale capitalistico, potrebbe essere utile, dice Countouris, esplorare la possibilità che ciò si avveri, il che si fonda essenzialmente su 5 pre condizioni: «La prima condizione è che la tecnologia sia sostituibile; il secondo che ci sia consapevolezza da parte dei lavoratori su dove e come questi sistemi di controllo operano; il terzo è che i lavoratori siano dotati di un potere decisionale reale per proteggersi dagli eventuali effetti dannosi dovuti all’interazione con un algoritmo; il quarto è che allo stesso tempo ci vuole una sorta di potere collettivo lungo tutta la filiera dell’Intelligenza Artificiale e non solo quando viene implementata; infine c’è il ruolo delle autorità di controllo che va strutturato lungo tutta la catena, dalla progettazione all’impiego e deve essere supportato da un sistema di sanzioni sufficientemente dissuasivo per chi volesse infrangere le regole».

Un nuovo quadro normativo?

Non sorprende, dunque, che da più parti si alzi la richiesta di una legislazione quadro, univoca per tutta Europa perché, «dove l’influenza dei dipendenti e la trasparenza nelle decisioni gestionali sono elevate, la gestione algoritmica può essere utilizzata senza compromettere la soddisfazione lavorativa, il senso di autonomia e la fiducia tra dirigenti e dipendenti», affermano gli autori dello studio.

Anche perché, ha sottolineato Cinzia del Rio, sindacalista della Uil e presidente della commissione Lavoro, Affari Sociali e Cittadinanza del Comitato Economico e Sociale Europeo, «noi oggi abbiamo una frammentazione normativa enorme, non solo in Europa. È necessario regolamentare qualcosa che è a di fuori dei nostri confini. Ci vengono segnalati continuamente casi di violazioni che sono presentati ai tribunali dei Paesi membri e i tribunali fanno quello che possono con gli strumenti a disposizione, ovvero risolvono i contenziosi con interpretazioni diverse in base alla legislazione disponibile nel rispettivo paese».

Arrivare a una regolamentazione comune non sarà comunque una passeggiata. Del Rio riferisce delle differenze di approccio al tema anche tra i Paesi del G7. «È palese che ci siano priorità nazionali diverse. L’Italia ad esempio lavora alla gestione dei dati nel settore sanitario e alla gestione dell’IA in ambito giuridico. Negli Stati Uniti invece la legislazione impone che l’adozione di strumenti di IA nei luoghi di lavoro debba essere negoziata con il sindacato, se e dove presente. Così com’è stiamo parlando di uno strumento che non garantisce uguaglianza, ma crea enormi disparità».

Immagine di copertina di Emmi Smid.

TAG:
CAT: lavoro dipendente, Politiche comunitarie

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