Teatro
“Vizita”, quell’Angelo è un extracomunitario
Ha debuttato in prima nazionale al Teatro Fontana di Milano “Vizita” della compagnia albanese Teatro Migjeni con la regia di Davide Iodice. Lo spettacolo è tratto dal racconto dello scrittore inglese H.G. Wells ed è stato premiato al festival di Sarajevo e “Moisiu” in Albania.
MILANO _ Nel Paese delle Aquile piovono Angeli. Abbattuti a colpi di fucile da un prete e perseguitati da un villaggio di campagna tra odori di incenso, religiosità cristiana e superstizione. E poi bigotte e senzadio, grate, tavoli di cucina, panche di chiesa e un enorme crocifisso colorato di rosso e di blu che, minaccioso, incombe sul mondo. E’ la scena frammentaria, composta da set modulabili e intercambiabili di “Vizita”, spettacolo teatrale ripreso dal racconto “Visita meravigliosa” di H.G.Wells, prolifico scrittore del primo Novecento inglese, autore del celebre romanzo di fantascienza “La Macchina del tempo”. Pure questa “Vizita” veleggia nei confini del fantastico. Sta in bilico tra razzismo, paura degli altri e paradossale invenzione letteraria: storia distopica e un po’ folle aggiornata ai nostri tempi da un regista visionario e di felice creatività come il napoletano Davide Iodice che ne ha curato l’allestimento con la compagnia albanese Teatro Migjeni, per la prima volta fuori dai confini patrii. Spettacolo che ha già incassato il premio della stampa Oslobodenje al Festival di Serajevo vincendo anche il Festival del teatro albanese “Moisiu” come miglior spettacolo, scenografia e musica ed è è approdato giorni fa a Milano in prima nazionale al Teatro Fontana per la produzione dello stesso Teatro Migjeni e Sardegna Teatro con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Tirana. Produzione nata per caso al Festival internazionale di Sibiu, come ha raccontato al termine dello spettacolo l’allora direttrice del teatro albanese Rita Gjeka Kakarosi. In quella occasione incrociò il responsabile della distribuzione di Sardegna Teatro, Danilo Soddu, a cui confidò il desiderio di affidare la compagnia a un regista italiano.“Soddu suggerì Iodice che aveva allora vinto il Premio Ubu” così ricorda Kakarosi.
Detto e fatto. Davide Iodice sbarcò nella terra delle Aquile nel cui cielo, da lì a qualche tempo, avrebbe poi volato uno strano uccello con le grandi ali. Bastò poco perchè il regista napoletano nel worshop di conoscenza con la compagnia albanese si innamorasse degli attori e “di una comunità -ha commentato l’artista- anarchica e resiliente in un territorio attraversato da controverse passioni”. Propose così al teatro di Scutari di allestire il testo di Wells. Insomma, quello sembrava davvero il posto giusto perchè un angelo decidesse di fare una “Vizita” e scombussolasse di colpo il tran tran quotidiano di un villaggio. Iodice ha tolto lo smalto british all’originale di Wells facendo assorbire al testo gli umori, le contraddizioni e le tormentate memorie di una comunità sanguigna e verace come quella incontrata in terra d’Albania.
Anche lì nella provincia di Scutari, come a Sidderton di Wells, la notte dello Strano Uccello in tanti videro infatti nel cielo uno “sprazzo abbagliante di luce”. Ma non in quel villaggio “essendo la maggior parte degli abitanti addormentati”. In realtà non proprio tutti. Quella “grande luce dorata” qualcuno l’aveva intravista, così come le enormi ali… tanto da accendere la curiosità del prete del villaggi, appassionato di ornitologia che, imbracciato il fucile, si diresse allo stagno finchè.. a venti metri innanzi a lui vide innalzarsi un essere dai colori mobili che, dispiegando le ampie ali, drizzò il volo. Fu allora che il prete, “mentre il cuore sussultavagli con violenza, per semplice abitudine e sorpresa fece fuoco”.
Così cadde l’Angelo. Un’ala spezzata, le penne insanguinate e volteggianti. Altro che Strano Uccello. Costui era un giovane dal volto bellissimo con un abito color zafferano e ali iridescenti. Così l’Uomo incontrò l’Angelo. Un Angelo ammaccato e ferito che stupito osservava quello che chiamava il Mondo dei Sogni. Il parroco di campagna tra il meravigliato e il preoccupato studiò quell’essere caduto dal cielo. E poi l’interrogò.
“Forse può esserci mondo su mondo, universo sopra universo, è perfettamente possibile; non c’è nulla di così incredibile quanto il possibile. Ma io mi domando come mai voi siate venuto a cadere dal vostro mondo nel mio….”
Domande su domande il prete dalla veste lunga nera apprende come nel paese da dove viene il giovane alato “non ci fosse nè il dolore, nè il cruccio, nè la morte, nè il matrimonio, nè la nascita, nè l’oblìo”.Tutto il contrario di quello terrestre dove si sente il dolore delle ali spezzate e si percepisce il morso della fame…
Intendiamoci. Questo non è né l’Angelo del sentimento religioso e neanche quello della credenza popolare, qualcosa di meno ma anche di più… S’avanza, a braccetto con il curato, il “viso d’una bellezza sovrumana, circondato da un’aureola di capelli castani, e delle forme graziose in una giubba giallo-zafferano, che giungeva appena alle ginocchia”. Già, quelle ginocchia erano nude. Niente di simile si era mai visto nel villaggio! Tale da scandalizzare giovinette e donne anziane che fuggono alla sua vista…
Questo sarà solo l’inizio dell’avventura terrena per l’Angelo ospitato in casa del parrocco. Ad accoglierlo nel borgo sarà invece una umanità rumorosa e sospettosa, un mondo chiuso dove lo straniero, sia pure un angelo, porta scossoni, ispira cambiamenti. Ma non sempre i rivoluzionari sono amati. Tutt’altro. Preferibile l’ipocrisia del vivere dentro un ordine costituito. D’altra parte, cosa può unire anche chi non si stima, si detesta o magari si odia? In comune c’è proprio l’odio verso chi non è omologato alle convenzioni, ha usi diversi e magari si veste fuori dalle norme. Insomma, addio regole. Per mantenere inalterato lo status quo tutti devono sintonizzarsi sulla stessa linea d’onda. Servi e padroni. Ricchi e poveri. Non c’è niente che rinsaldi di più i vincoli che un bel progrom e la cacciata di uno straniero.
“Vizita” diventa d’ora in poi un turbillon di emozioni e giravolte. Un abito con la camicia, tagliata sulla schiena per non impacciare le ali, una cravatta e le scarpe del parrocco servono affinchè l’Angelo diventi uomo. Il medico che non crede agli Angeli vorrebbe segargli le ali perchè casi parziali di divisioni di membra non sono per nulla straordinari ma come “bimbi con sei dita, vitelli a sei zampe, gatti a doppio pollice… ”.
Gente umile e lorsignori naturalmente vogliono sapere chi sia questo “essere” piombato all’improvviso e mettono in discussione la sua angelicità. Eppure quando suona il violino sembra di stare al settimo cielo (suggestive le musiche originali di Lino Cannavacciuolo). L’Angelo così commenta :“Non ci piace mai quello che non conosciamo”.
Davide Iodice tesse una tela fiabesca con ritmi da capogiro. I quadri illuminati da drammatici chiaroscuri (il design luci è di Loic Hamelin) si succedono uno all’altro scanditi da frizzanti colpi di scena. Dalla chiusura dell’Angelo in prigione alla liberazione grazie a un contadino; l’incendio nella casa del parroco e l’Angelo che si spinge dentro per salvare una giovane donna, la sola tra i pochi ad aver mostrato attenzione e solidarietà nei suoi confronti.
La favola di “Vizita” parla del nostro tempo e mette in guarda dagli incendi che possono nascere improvvisi e bruciare tutto. Secoli di convivenza e condivisione possono essere perduti in un solo istante. Occorre aprirsi e rispettare le differenze. Bandire le guerre e ritrovare il gusto della tolleranza, la sacralità dell’ospitalità, dello scambio e del confronto.
“Se non sei come me, sei un pericolo?”
“Vizita”, inevitabilmente, offre tra le righe e nei messaggi subliminali del testo, oltre all’appello alla solidarietà e alla pratica dell’accoglienza, l’occasione per riflettere su ciò che in ogni epoca ha rappresentato, soprattutto per artisti e pensatori, la figura degli angeli. O meglio quella degli Angeli caduti. In alcuni passaggi del testo messo in scena dal Teatro Migjeni, in alcuni frasi, sia dell’Angelo come del curato, riecheggiano suggestioni e riflessioni antiche e visioni, come altre più vicine al nostro tempo.
La figura dell’angelo d’altro canto, dai quadri di Paul Klee all’Angelus Novus di Walter Benjamin, volta per volta assume significati differenti. Angeli fortemente “umani” nel caso del pittore svizzero, esseri di transizione fino a diventare pure linee concettuali (“L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”).
Proprio prendendo ad esempio il quadro di Klee l’”Angelus Novus” – rappresenta la figura di un angelo dalle ali spegate che guarda però indietro- Benjamin vide l’Angelo della Storia. Così scrive nel 1940 poco prima della sua scomparsa: “L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.” (da “Angelus Novus” ed. Einaudi).
Poema dell’Angelo caduto è “Lost Paradise-Il Paradiso perduto”, canto sulla redenzione di John Milton scritto tra il 1658 e 1663. Satana, Angelo Caduto per eccellenza, aveva osato sfidare Dio, peccando d’orgoglio, tentò Adamo ed Eva che vennero cacciati dall’Eden. “Chè su timide penne non intendo/ Spiccarmi a volo dall’aonia cima./ Ma cose rivelar che mai né verso,/ Nè parole disciolte ancor Tentaro/”.
“Angeli caduti” è anche un interessante libretto del critico letterario americano Harold Bloom per il quale tutti gli uomini sono in realtà degli angeli caduti sulla Terra. Bloom sostiene infatti che l’alterità è l’essenza degli angeli: questi “manifestano un’alterità o un potenziale affine al nostro”. La caduta quindi non è una conseguenza del peccato ma il fatto di “diventare dei separati”. In pratica: “l’angelo Adamo divenne un angelo caduto appena poté distinguersi da Dio”. L’Angelo caduto, dice Bloom, “rimanda alla schiacciante consapevolezza della nostra caducità, della nostra finitezza”.
Ed ecco il “Cielo sopra Berlino”, film di Wim Wenders. Così scrive il regista tedesco a proposito dei “suoi” angeli: “Quando Dio, infinitamente deluso, si preparava a volgere le spalle definitivamente alla terra e ad abbandonare definitivamente l’uomo al suo destino, alcuni dei suoi angeli lo contraddissero e si spesero per la causa dell’uomo: si doveva dar loro ancora una possibilità. Dio, adirato per esser stato contraddetto, li condannò a vivere nel posto allora più terribile della terra: Berlino. Poi se ne andò. Tutto ciò avvenne nel periodo che oggi è chiamato:“verso la fine della Seconda guerra mondiale” .
Angeli condannati quindi a stare a Berlino, senza più potere: in pratica spettatori di quanto accade senza possibilità di intervenire. Angeli degradati insomma, ma che “si rivelano “schegge” scaturite dalla stessa natura umana”. Così si spiega il desiderio tutto terreno dell’Angelo Damiel (Bruno Ganz) verso la trapezista Marion (Solveig Dommartin). Caduta quindi non come condanna divina ma come libera scelta di seguire le strade dell’amore e diventare uomo (da “Prospettive a volo d’angelo” di Michele Vangi, 2010)
“L’angelo caduto” (L’ange déchu) è infine un celebre dipinto di Alexandre Cabanel, realizzato a soli 24 anni nel 1847 e conservato al Museo Fabre, a Montpellier. Assieme a “La nascita di Venere” l’opera è considerata il maggiore e più noto capolavoro dell’artista francese.
“Vizita” del Teatro Migjeni da “La Visita Meravigliosa” di H.G.Wells, testo Fabio Pisano traduzione Zija Vuka adattamento, spazio scenico e regia Davide Iodice musiche originali Lino Cannavacciuolo, luci Loic Hamelin costruzioni scenografiche e costumi Divni Gushta assistente alla regia Jozef Shiroka
Produzione Teatro Migjeni, Sardegna Teatro e con il supporto dell’Istituto Italiano di cultura di Tirana distribuzione Danilo Soddu con Vladimir Doda, Julinda Emiri, Nikolin Ferketa, Rita Gjeka Kacarosi, Raimonda Markja, Alexander Prenga, Fritz Selmani, Jozef Shiroka, Merita Smaja, Pjerin Vlashi.
Spettacolo vincitore del Festival del Teatro Albanese “Moisiu” come miglior spettacolo, migliore musica, migliore scenografia e Spettacolo vincitore del Premio della stampa Oslobodenje al Festival di Sarajevo
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