Teatro
“Vivo, sono partigiano”: oggi a teatro
Ormai anche il formaggino è patriottico.
Avete visto, rimanendo confinati a casa, quanti nuovi spot, quante pubblicità sono state girate in questi giorni: e tutte, dal divano ai bucatini, insistono sull’orgoglio patrio, sull’essere italiani, sull’emozione che dà il tricolore.
Abbiamo passato pomeriggi a sentire il povero Mameli bistrattato sui balconi da ugole solidali. Abbiamo ascoltato testi unificanti e tonificanti d’amore romantico per il nostro Paese, dimenticando forse che il BelPaese è anche una caciotta.
Tutti insieme, si sente dire, quando le disparità sociali sono più che mai aspre: gente che si dispera per ricevere gli agognati 600 miseri euro, altri che serenamente si recludono in ville con piscina, molti che lavorano “da remoto” e altri che non si possono permettere manco lo straccio di un collegamento internet. Ma siamo italiani, italians do it better, ricordiamocelo. In tutto ciò, domani è la Festa della Liberazione. La più pura e la più solare delle feste, assieme al Primo Maggio.
E immagino già i tanti articoli ironici sui “liberati in casa”: di fatto, i “domiciliari” sono condizione condivisa. Intanto, faticosamente si prospetta la Fase2, l’Europa si muove, e noi continuiamo a occuparci di arte e di cultura, di teatro e di danza, come vecchi pugili suonanti, andando a ribadire, ancora una volta, certi interrogativi.
Il dibattito, nella micro-bolla dei social, è infervorato: invece, le uscite “pubbliche”, da prima serata tv, sono “delegate” ad attrici di cassetta che dicono banalità. Di fatto non si parla d’altro che di streaming, come se – una volta riaperti i teatri – ce ne importerà ancora qualcosa di veder gente disperata, nella propria cucina, riprendersi in video mentre dice poesie. Magari, se tutto andrà per il verso in cui dovrebbe andare, la Rai e le maggiori private davvero si sveglieranno e daranno più spazio alla cultura, all’arte e al teatro, la danza, la musica. E forse, in questa prospettiva, ci saranno anche delle nuove “produzioni” o riprese di qualità. Speriamo!
Già la Radio, sempre attenta al palcoscenico – basti pensare al lavoro straordinario che fanno a Radio3Rai, diretta da Marino Sinibaldi, a partire dai percorsi di Antonio Audino e Laura Palmieri e altri che vorremmo ancora citare, o alle ricerche e alle azioni di Rodolfo Sacchettini in Toscana, o ancora alla improvvisata radio del Teatro di Roma – si è dedicata con amorevole cura al teatro, dando sistematicamente voce ai tanti protagonisti di questo mondo. Va tutto bene, per fortuna: abbiamo capito quanto ci manca il teatro.
Eppure c’è qualcosa d’altro che questo clima esasperato ha regalato al teatro italiano: ha risvegliato le coscienze. Sembrerà strano, ma si avverte lontano il ribollire di una nuova lotta di classe. Sarà la volta buona che il comparto potrà unirsi e davvero pretendere (non uso una parola a caso) dai proprio rappresentanti politici una maggiore attenzione? E magari anche una maggiore reattività?
Al momento prosegue la lotta tra poveri: i 20 milioni aggiuntivi disposti dal Mibact per il settore sono una inezia, quasi imbarazzante, e certo non basteranno a calmierare i danni per l’intero comparto, che è fatto abbraccia non solo attrici e attori, registi e registe, ma anche tecnici, scenografi, costumisti, light designer, autori, dramaturg, danzatori e danzatrici, coreografi, operatori e mediatori di varia natura, mascherine, stampatori, grafici e tanti altri soggetti (ivi compresi, perché no, i critici). Insomma, una filiera, come dicono gli economisti, viva e vivace, diffusa, giovane.
Oggi sembra che quella filiera si stia compattando, si stia trovando: iniziative sono in corso, come ZO-NA Rossa a Napoli, come in altre città d’Italia. Nasce il gruppo fb E-Come Eresia, il coordinamento AttrciAttoriUniti e fervono le discussioni. Sarebbe bello pensare a un dialogo che tocchi tutte le forme di spettacolo dal vivo: danza, balletto, musica, circo, opera. E ancora teatro ragazzi, teatro scuola, teatro sociale…
E qui il web è utile, lo streaming serve davvero, perché aiuta a creare rete. Allora si discute, animatamente, della rinnovata identità di classe dei lavoratori dello spettacolo. Chi lavora? Dove lavora? Per chi lavora?
Basterebbe partire da queste domande per ridisegnare finalmente la mappa del teatro pubblico. Che servizio offre un teatro pubblico?
Questo è il nodo: ritrovare la funzione pubblica, di bene pubblico, del teatro. Come?
Se lo chiedeva, tra gli altri, un regista anomalo e indipendente come Gianpiero Borgia: «Per me il teatro finanziato, in quanto tale, deve essere servizio pubblico e rispondere a determinati crismi, il teatro di mercato no. La permeabilità dei due ambiti crea territori opachi e confusione. Il nostro è un lavoro ed è un lavoro che nel teatro finanziato deve svolgersi con i crismi del servizio pubblico, invece segue e insegue le regole e le prassi del mercato. I palcoscenici del teatro finanziato sono ormai popolati da star televisive, che utilizzano il palcoscenico per promuovere la cultura e i linguaggi del loro mondo espressivo e sottraggono risorse alle ragioni del servizio pubblico e ai redditi dei lavoratori del teatro».
Il tema è di assoluta rilevanza perché chiama in causa anche il modello culturale e sociale che vogliamo sostenere (o difendere).
Difficile dar conto di tutte le posizioni e le rivendicazioni, ma ne voglio citare qualche altra. Come quella di Claudio Longhi che, su doppiozero.com, riflette e si chiede: «perché esiste la cultura? E tornando al nostro orticello: qual è la funzione del teatro? Se non diamo risposta a questa domanda – anche uscendo dai nostri interessi o gusti – temo sia difficile superare l’impasse in cui siamo. Rivendicare la funzione intimamente politica del teatro è decisivo. Ci stiamo approssimando alle celebrazioni della Liberazione. Volenti o nolenti il Covid-19 ci ha ricondotti ad un appuntamento con la storia. Nella Milano del dopo 25 aprile, Grassi e Strehler hanno posto le basi dell’idea di teatro come servizio pubblico e su quelle basi si è edificata un’intera società teatrale. Ora la responsabilità è nostra. Il teatro è ancora un servizio pubblico? È un valore? È un bene comune? E come, a fronte di queste domande e dentro l’orizzonte del più ampio interesse collettivo, si compenetrano e si armonizzano gli interventi del pubblico e del privato? Temo che questa volta l’ardua sentenza tocchi a noi, non ai posteri».
Ecco la questione. Come dice Longhi, sta a “noi” – a noi/voi che sul palcoscenico vivete e viviamo e che il teatro fate vivere – prendere finalmente una posizione.
Dalla rivendicazione per le giuste tutele al disegno di un teatro a venire, dai diritti a una nuova legge di settore che superi gli eterni Decreti ministeriali.
Ecco che magicamente, la festa del Primo Maggio si unisce, almeno simbolicamente, a quella del 25 aprile: diritti dei lavoratori e resistenza. Fantasia?
“Abbasso i non partigiani” diceva Lenin nel 1905 parlando di Letteratura. Lo ribadiva Antonio Gramsci: “Vivo, sono partigiano, perciò odio chi non parteggia”. Potrebbe valere, oggi, per il teatro?
Noi/voi dobbiamo essere partigiani. Ce la faremo? Magari ancora restar apparentemente inerti, nascosti, catacombali, in trincea – visto che si usa tanto la metafora della guerra – ma provare a ragionare, relazionarsi, progettare, manifestare. Senza accondiscendere, sempre di nuovo, alle regole del mercato a tutti i costi: “Ribaltare la rassegnazione”, diceva Claudio Meldolesi.
Come ha scritto oggi, in un tweet, Massimo Bray: «Come per la Salute, è necessario un Mes anche per la Cultura. In nessun altro Paese, come in Italia, la Cultura è così essenziale per esistere, per ricreare il senso di comunità di cui abbiamo bisogno».
E per questo, allora, si può anche, o si dovrebbe, manifestare pubblicamente, come novelle suffragette, per rivendicare proprio il valore pubblico della cultura e del teatro. La cultura è un fatto pubblico.
Anni fa, in occasione di una giornata mondiale del teatro, qualcuno riprese le parole di Federico Garcia Lorca: “un paese che non sostiene il suo teatro è morto o moribondo”. Ecco: è ora di rispolverarlo. Non vorremmo un’Italia moribonda. Vogliamo essere vivi, liberi, attivi, e contribuire con il teatro, con i mezzi specifici del teatro, affiché che lo sia il Paese. Una magia, una grande magia. Sembrerà strano, ma non solo i formaggini sono patriottici.
(Nella foto di copertina, che non ha alcuna relazione diretta con il testo dell’articolo, se non per essere una testimonianza del grande teatro pubblico: Renato de Carmine ne “La grande magia”, regia di Giorgio Strehler, Piccolo Teatro di Milano, 1985, foto di Luigi Ciminaghi. La foto è tratta dal volume curato da Antonio Calbi, “Milano città e spettacolo”, Sassi Editore, 2011)
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