Teatro
Vangelo secondo Lorenzo: intervista a Leo Muscato
“Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali” un monito di grande contemporaneità, una frase che, in quest’epoca segnata da divari sociali sempre più crescenti, guerre fra poveri, muri innalzati a difesa d’identità in crisi, ci interroga senza sconti. Sono parole di don Lorenzo Milani, prete “buono” di Barbiana che, nell’Italia divisa e classista del primo dopoguerra, provò a dare una formazione, una prospettiva di riscatto ai figli di contadini e operai al tempo privi di possibilità di emancipazione. Proprio la figura di questo rivoluzionario controverso è al centro dello spettacolo Vangelo secondo Lorenzo, scritto nel 2017, in occasione del cinquantennale della sua morte, da Leo Muscato e Laura Perini, che oggi torna in scena (in una versione ridotta, in soli due atti) al teatro Franco Parenti. Alex Cendron nella parte di Don Milani, per la regia di Muscato, Il Vangelo secondo Lorenzo accompagna lo spettatore in un viaggio di approfondimento storico-biografico sul parroco di Barbiana e, allo stesso tempo, di riflessione sul suo insegnamento, su quanto, ad oggi, sarebbe urgente recuperarne spirito e principi. Attraverso gli anni di Vita da Cappellano e Vita da Priore (i due atti scelti) vediamo emergere una figura statuaria, ma non ingessata, modello possibile di un diverso vivere civile, che nulla ha però di meramente celebrativo. Abbiamo chiesto al regista di spiegarci, in qualche battuta, quale rapporto intercorre fra l’opera e gli spunti di riflessione sul contemporaneo che hanno portato alla sua genesi.
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Il testo è stato scritto a partire da fonti documentate con libri, lettere, o testimonianze che io e Laura Perini abbiamo ricevuto durante le decine di interviste a persone che hanno vissuto accanto a Don Milani per diversi anni. Abbiamo cercato di restituire un racconto che si attenesse ai puri fatti lasciando allo spettatore la possibilità di farsene un’idea. Ne viene un fuori un racconto fortemente storicizzato e ambientato in un’Italia che non esiste più. Paradossalmente questa distanza temporale e culturale fra l’ambientazione della storia e il nostro mondo contemporaneo dà un senso ancora più metaforico al racconto, anche perché, a parte il personaggio di Don Milani, complesso e complicato come ogni essere umano, tutti gli altri sono concepiti come funzioni di una narrazione, quindi archetipi, più che personaggi reali. E ognuno di questi archetipi incarna un “tipo” perfettamente riconoscibile oggi come ieri. Durante la fase di scrittura e poi di messa in scena ci siamo posti spesso una domanda: che prete sarebbe stato oggi Don Milani? A quali “ultimi” avrebbe dedicato la sua esistenza? Sarebbe andato a Lampedusa? in Siria? in Africa? O in una parrocchia di periferia in una metropoli? o in un piccolo paesino sull’Aspromonte? o nei quartieri spagnoli di Napoli come padre Zanotelli? E ogni volta, dopo aver fantasticato sui luoghi più difficili, ci veniva in mente che in realtà don Milani è andato solo lì dove è stato mandato, e lì ha fatto più di ciò che poteva per rendere migliore la vita degli altri.
Una missione che, appunto, parla al contemporaneo. Spesso però il pubblico sente una certa distanza dal teatro, in quanto troppo “classico” o per la percezione di difficoltà di un teatro molto sperimentale e considerato quasi da “addetti ai lavori”. Che cosa significa oggi cercare di raggiungere anche chi è distante?
Bisognerebbe prima di tutto intendersi sul significato di “sperimentale”, o di “teatro di ricerca”. Quando gli scienziati cercano di risolvere dei problemi, o decifrare fenomeni che avvengono e che non sanno spiegare, fanno delle ricerche, sperimentano, fino a che non trovano qualcosa che possa aiutarli. Magari lavorano per anni, con un dispendio economico enorme. A volte inutilmente, altre volte facendo scoperte importanti che poi divulgano e diventano necessarie per lo sviluppo di nuove tecnologie, o nuovi farmaci.
Quando Grotowski ha deciso di votare la sua esistenza alla “ricerca teatrale”, ha smesso di fare spettacoli; si è chiuso in un casale in Toscana e fra le varie cose, ha cominciato a sperimentare tutto ciò che un essere umano poteva fare con la voce, riuscendo a far risuonare ogni centimetro del proprio corpo, controllando ogni muscolo, anche quelli che la maggior parte di noi non sanno nemmeno di avere. Poi ha divulgato quello che ha scoperto con libri, conferenze, seminari e con un metodo pratico che i suoi allievi hanno provveduto a diffondere. Le sue dimostrazioni pubbliche di lavoro erano rivolte a una manciata di persone al giorno, non di più. La sera che c’ero io eravamo in nove.
Per questo, ogni volta che sento parlare di teatro di ricerca, faccio fatica ad associare questa pratica alla messa in scena di uno spettacolo.
Anche la ricerca di “nuove forme”, per citare Cechov, necessita di molto tempo e tanti soldi per far sì che gli attori e pedagoghi possano giustamente sostenersi con il loro lavoro di ricercatori.
Io tredici anni fa ho iniziato un ciclo di laboratori durante i quali andavo a esplorare le diverse possibilità di approcciarsi al tragico, al drammatico, alla commedia e al comico; quattro modi differenti di concepire una messa in scena, quattro diverse qualità per recitare uno stesso testo con coerenza.
La mia vocazione come regista è sempre stata quella di raccontare storie al maggior numero di spettatori possibile, che parlino innanzitutto alle pance e se ne avanza, anche ai cervelli. Il “come” raccontare è sempre qualcosa che ho considerato a servizio del “cosa” e del “perché”. E non faccio distinzione fra una farsa e un testo filosofico, perché sono convinto che, in maniera diversa, ogni genere ha ragione di esistere.
Vangelo secondo Lorenzo, per esempio, è un testo molto difficile. L’80% delle parole pronunciate in palcoscenico sono desunte dagli scritti di Don Milani, dalle sue lettere, dalle interviste che abbiamo effettuato; il linguaggio spesso è complesso, ma la qualità di relazione instaurata fra i personaggi, la musica, il ritmo e il taglio quasi cinematografico del montaggio delle scene, rendono il tutto molto comprensibile ed emotivamente coinvolgente.
Il Vangelo secondo Lorenzo debutta oggi al teatro Franco Parenti e sarà in scena fino al 18 aprile.
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VANGELO SECONDO LORENZO
scritto da Leo Muscato e Laura Perini
di Leo Muscato e Laura Perini
con Alex Cendron nella parte di Lorenzo Milani
con (in ordine alfabetico) Alessandro Baldinotti, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Nicola Di Chio, Silvia Frasson, Dimitri Frosali, Fabio Mascagni, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Beniamino Zannoni
e con i bambini Sebastiano Daffra, Olivia Fantozzi, Lio Ghezzi, Sebastian Mattia Knox, Andrea Pillitteri, Emily Tabacco, Samuel Zinicola
scenografia Federico Biancalani
costumi Margherita Baldoni
disegno luci Alessandro Verazzi
assistente alla regia Alessandra De Angelis
foto Ilaria Costanzo
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coproduzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Arca Azzurra Teatro, Teatro Metastasio di Prato per Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato
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