Teatro
Uno spettacolo da vedere al Piccolo Eliseo di Roma
In programmazione in questi giorni al Piccolo Eliseo c’è Autobiografia Erotica, testo di Domenico Starnone, messo in scena da Andrea De Rosa. In scena due bravi attori, Vanessa Scalera e Pier Giorgio Bellocchio. L’avevo visto allo spazio Off Off di Via Giulia, mesi fa. E mi era piaciuto molto.
Ecco quel che avevo scritto allora, nel giugno dello scorso anno. Ripropongo lo stesso articolo. Magari vi vien voglia di andare...
È passato, velocemente, in chiusura di stagione del nuovissimo Teatro Off-Off. Il piccolo raffinato spazio nell’elegante via Giulia, ossia il super-centro romano, proprio dietro Campo de’ Fiori, con la direzione di Silvano Spada, si sta facendo notare per la proposta curiosa e coraggiosa. Dunque, si diceva, è passato a chiudere la stagione di quest’anno Autobiografia erotica, bel testo, densissimo, di Domenico Starnone (era un suo romanzo), portato in scena con la regia di Andrea De Rosa e l’interpretazione di Vanessa Scalera e Pier Giorgio Bellocchio.
Devo dire che l’operazione è sorprendente, addirittura stordente. Avvolge pian piano, invischia lo spettatore in un torbido che si svela lentamente e inesorabilmente, e riserva una scoccata finale– che non sveliamo – capace di gelare il sangue.
Vista la preminenza del tessuto testuale, sempre di una storia si tratta, vale la pena riassumere velocemente la trama. Un uomo e una donna, di origine napoletana, si incontrano dopo anni. Quelle classiche cose che lei ha ripescato lui su qualche social, poi un invito via mail: vuole rivederlo passati venti anni da un incontro che fu, lo capiamo presto, ad alta intensità.
Lei era una giovane segretaria allora, lui un intraprendente editore: passarono una giornata a Ferrara, in un gioco di seduzioni, di passioni crescenti, di ossessioni travolgenti. Lei perché “al limitar di gioventù” saliva, si stava determinando come donna, cominciava a trovare finalmente se stessa. E per quell’incontro si era preparata: avrebbe voluto – chissà – diventar scrittrice, certo prendere in mano il suo destino. Così l’attesa, l’incontro con l’uomo, sconosciuto, diventava paradigma di una vita possibile, eccitante, nuova.
Lui, troppo preso da sé, impreparato, addirittura goffo, si trova lusingato, sorpreso, intrigato, immediatamente colpito. Allora, quando si rivedono, venti anni dopo, la donna ricostruisce, ricorda, vuole tornare su ogni passaggio, ogni istante e sensazione di quel primo incontro. Lui scherza, gioca, gigioneggia ancora. Il linguaggio si fa subito esplicito, smaccatamente erotico, addirittura didascalico, dettagliato. Erotismo, sensualità, ma anche scontro, vertigine e conflitto verbale assecondato da corpi che entrano nuovamente in orbita. Capita no?
L’antica fiamma, la nuova fiamma, il gioco dell’amore, del corteggiamento, della seduzione ancora come allora: siamo di nuovo giovani, sorprendentemente affascinati e affascinanti. Si ride, di quella seduzione, e non si capisce più molto: di quel che c’è intorno, di quel che c’era prima né, tanto meno, di quel che avverrà dopo il sesso.
Le conseguenze, mah: chissà cosa, chi se ne importa. Importante è bruciare quell’ossessione, scopare, prendersi, leccarsi, amarsi dell’amore di una notte (ma questa, forse, è una prospettiva piuttosto maschile? Oppure no, non so).
Allora Aristide e Mariella – sono i nomi dei due personaggi – attorno al tavolo parlano, evocano, mostrano, sfiorano, scherzano, confessano, attaccano, si difendono. Bisogna difendersi, oppure, semplicemente, assumersi la responsabilità. Di sé, dell’altro o dell’altra. Tutto facile? Per nulla.
Domenico Starnone intreccia una schermaglia verbale che ben presto, in un crescendo inarrestabile, si tramuta in incontro feroce, uno stendersi a colpi di parole e ricordi, ma con l’eleganza di non abusare di rancore o di sensi di colpa. Non c’è morale bigotta, se non quella della vita che, prima o poi, con il sorriso suadente di un agente immobiliare, presenta il conto. E lo svelamento finale è la mannaia che chiude ogni gioco: eppure mi piace pensare che faccia ritrovare, magari su un piano più vero, nuovo e sincero, i due personaggi.
Lo spettacolo è qui: nel testo, nella rigorosa e rispettosa regia di Andrea De Rosa e nella interpretazione di Bellocchio e Scalera.
Ho avuto il piacere di incontrare Vanessa Scalera quasi agli inizi della sua carriera, ho poi notato la sua capacità di crescere, di migliorarsi continuamente spettacolo dopo spettacolo. Ora è un’attrice intelligente, saggia, bravissima nel dare corpo e voce alla sua fortissima Mariella. Interpretazione di alto livello. Altrettanto si potrebbe dire di Pier Giorgio Bellocchio, che qui si ricava un monologo centrale davvero straordinario: paradigma di tutti e ciascun uomo.
Forse, se proprio vogliamo fare un appunto allo spettacolo, mi vien da dire che paradossalmente i due sono troppo bravi: nella sequenza di fuochi d’artificio che regalano al pubblico, servirebbe semmai qualche istante di (studiata) incertezza in più. È vero: i due personaggi recitano la commedia dell’incontro, della rievocazione, dunque quel sapiente e frizzante “sopralerighe” è richiesto, quasi necessario, in particolare nella prima parte, salvo poi ritrovare piani emotivi più tesi, aguzzi, amari che finalmente sprofondano nella cupa e umanissima chiusura. Però, allora, avremmo avuto bisogno – noi spettatori, io almeno – di qualche istante più nel finale, proprio per toccare (sulla nostra pelle) quei loro destini ormai capovolti, segnati e nuovamente incrociati. Invece la chiusura è un po’ brusca, radicalmente netta, con due battute che sono, potrebbero essere, micidiali. Però, anche se arrivano in fretta, sono un abisso, sono la realtà, sono il conto. E il sorriso della vita si spegne in una lacrima d’amarezza.
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