Moda & Design
Un cuore da performance, Marras oltre la Moda
Dalla passerella al teatro. Per Antonio Marras la strada, costruita di buone intenzioni, rischia di diventare una rotatoria senza via d’uscita. “Mio Cuore io sto soffrendo. Cosa posso fare per te?”, lo spettacolo dal titolo chilometrico partorito da una performance e diretto dallo stilista di fama internazionale, resta infatti ingabbiato dentro una rigida impalcatura che non dà profondità ai personaggi e respiro all’azione. Piuttosto che un racconto è una liturgia di reading, una partitura rigida senza punti di fuga. Spinto dalla passione per l’arte e la scena l’artista di origine sarda è il responsabile in toto dell’allestimento _ dalla direzione a, ca va sans dire, i costumi _ che ha debuttato a fine novembre nell’anteprima nazionale di cinque giorni al teatro Massimo di Cagliari e due sere dopo nel Civico di Alghero, aprendo la stagione del circuito di prosa Cedac. Il titolo dell’opera (prodotta da 369 gradi) riprende i primi versi di un popolare motivo della cantante Rita Pavone (inciso nel 1966 e ripreso da “Heart” del 1963, scritto da Barry Mann e Cynthia Weil e interpretato allora da Kenny Chandler, Wayne Newton e Jordan Brothers) e vorrebbe raccontare come i comuni mortali facciano i conti quotidianamente con i sentimenti. Soprattutto struggimenti d’amore dove l’organo palpitante, per citare un’altra canzonetta in voga negli stessi ruggenti anni Sessanta, potrebbe persino impazzire (“Cuore matto” di Little Tony docet). Nel cuore dunque transitano gioie e dolori, sensi di colpa e dispiaceri, desideri ardenti e passioni impossibili. Iniziando dalla nostra infanzia, negli accadimenti tra le mura domestiche o a scuola e fino alle “prime pene d’amore”, come cantava la peperina Pel di Carota.
Ma anche più in là nel tempo, senza guardare gli anni che fuggono via. Insomma a dirla tutta una materia ben adatta ad Antonio Marras, artista a tutto tondo, dal raffinato gusto pittorico fortemente legato e influenzato dalla grande artista sarda Maria Lai. Specializzato nell’arte effimera e affascinante della moda ma curiosamente aperto alle contaminazioni con altri linguaggi espressivi. Autore di apprezzate mostre e installazioni Marras, già direttore artistico della maison Kenzo, dal 2003 al 2011, ha collaborato anche con la scena teatrale. Dai costumi per il musical “Orfeo ed Euridice” a “Sogno di una notte di mezza estate” di Luca Ronconi. Innumerevoli i premi attestanti il suo talento: da quello intitolato a “Francesca Aldinovi” alla laurea honoris causa dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Lo stilista reinventa le passerelle delle sue collezioni spesso come evento spettacolare tout court. Perciò lavora ad azioni e performance, utilizzando coreografie e installazioni in un modo che è lontano anni luce dagli stereotipi di manifestazioni consimili. Così per “Mio Cuore…” in principio fu la performance. Giusto un anno fa di questi giorni a Brescia, Massimo Minini allestì nel suo spazio la mostra “Antonio Marras sei per sei” raccogliendo opere selezionatissime del sarto originario di Alghero, accanto a fotografie scattategli dallo stesso Minini. Marras aggiunge di suo la performance nelle ex Cantine Folonari diventata poi il centro dello spettacolo mostrato dal vivo sul palcoscenico del teatro cagliaritano. Sostanzialmente figlio, non solo nello spirito ma anche nella forma, proprio di quell’evento. In “Mio Cuore io sto soffrendo. Dimmi cosa posso fare per te?” il regista ha voluto montare, uno dopo l’altro quindici siparietti, che sono altrettanti “tranches de vie”. Collocati in fila uno dietro l’altro senza soluzione di continuità, si sfogliano come pagine di un diario intimo e segreto, dove il privato si intreccia con il pubblico. La prima apparizione è una sfilata orizzontale di giovani performer (guidati dal coreografo Marco Angelilli), dieci uomini e dieci donne, belli ed esuberanti in abito intimo, sottoveste, mutande e anfibi, mannequin e servi di scena per porgere microfoni e spostare oggetti che disporranno, occupando tutta la scena in modo allineato, sedie, lampadine e teche contenenti dei cuori. E’ il via all’incipit del brano della Pavone, il primo giro del basso elettrico di “Cuore” mixato con il battere di un cuore vero. Un loop insistito che diventa l’estenuante colonna sonora della rappresentazione.
Da questo momento in poi le azioni e i “siparietti”, quasi tutti in processione al centro della scena, verranno sgranati come la corona di un rosario dal cast composto da Ferdinando Bruni, Mauro Cardinali, Federica Fracassi, Giovanni Franzoni, Simonetta Gianfelici, Francesco Marilungo e Marco Vergani. Sostanzialmente reading di testi, alcuni dei quali manipolati e ricuciti con tecnica di cut up dallo stesso Marras: versi o parole tratte da “Inviti superflui” di Dino Buzzati e, come indicano nelle fonti, citazioni da “Il sabato del villaggio” di Leopardi e rime di Carducci, Gozzano e Palazzeschi. Poi appunto “Isidora” dalle “Città invisibili” di Calvino e il Sonetto 22 di Shakespeare. Tutto ruota ruota attorno al percorso di una vita, dai primi traumi infantili, come il richiamo al cerbiatto disneyano “Bambi” rimasto tragicamente orfano di madre, poi il rapporto con la maestra, le orecchie d’asino e l’ossessione per le tabelle da mandare a memoria. E a seguire altri incubi, fantasmi e paure. La privazione, la perdita e l’assenza sono in un passo a due _ uno dei danzatori ha la gamba amputata _ fatto di equilibri incerti e precari come di effimeri abbracci (cammeo di Vincenzo Puxeddu nell’unico momento a forte intensità teatrale). Intanto Elena Ledda, cantante di musica sarda di fama internazionale, assisa in una sedia per paraplegici esegue un canto tradizionale, “Su Dillu”, che virerà presto in stonato rantolìo. Tutto quello che segue è molto cerebrale e blandamente declamatorio, con scarsi movimenti in scena.
Tornano i testi di Buzzati e quelli di Calvino (“… a Isidora arrivi invece in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; tu sei seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi”) fino all’ultimo duello sul ring, protagonisti Bruni e Vergani, ancora da “Inviti superflui” di Buzzati, testo rivisto da Marras che fotografa un amore alla fine (“B. Vedi?Ancora tu. Ancora non ti accorgi di me, come non ti sei accorto quella sera quando sul tavolo di quella balera, sotto i fili delle lampadine rosse e blu, ballavi, sudavi e ridevi e sudavi con i capelli appiccicati sulla fronte e non mi guardavi mentre io morivo insieme a quell’ultima sera d’estate. A. Allora il nostro amore è stato al margine di niente?”).
Dopo l’ultima lettura a due voci parte (finalmente) per intero il brano della Pavone danzato dai venti giovani performer. E’ un ballo scomposto e quasi balbettante una voglia di libertà e leggerezza dopo il grigio delle paure, i velati outing di solitudini amorose. Forse nasconde in sé anche la voglia di uscire dal meccanismo della passerella di cui “Mio Cuore….” è in qualche modo prigioniero. Il cordone ombelicale di un artista così saldamente legato al mondo della moda, pur con una voglia forte di evadere, mettendosi alla prova con nuove emozioni. Non si scava a fondo, si resta in superficie come per bruciare l’attimo, anche perchè la drammaturgia è esile e questo vanifica tutte le buone intenzioni di uno spettacolo che comunque avrà ancora tempo davanti a sé (per le future repliche, dopo l’anteprima in Sardegna, come ha anticipato la produzione, si dovrà attendere infatti l’ottobre 2019).
Antonio Marras è da sempre un creativo che supera gli ostacoli: incapace di stare fermo alimenta continuamente, in modo instancabile, nuovi progetti. Quelli che gli danno linfa e spinta per altre avventure. Ma il teatro non può essere solo passerella. Anche se è raffinata e ben curata. Il teatro racconta storie vere, semina e provoca emozioni. Ha un suo linguaggio infinitamente semplice, infinitamente complesso. Parla e tocca l’anima anche con pochissimo. Senza effetti speciali e spesso senza parole.
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