Teatro

Tutto quello che so del grano

6 Novembre 2016

La terra, la casa, le relazioni – quelle importanti – i ricordi, le passioni di una vita scorrono davanti agli occhi degli spettatori di Tutto quello che so del grano, pièce “a forma d’imbuto”, come recita la scheda dello spettacolo, di Paola Berselli e Stefano Pasquini del Teatro delle Ariette, in prima nazionale al Teatro al Parco di Parma (4-5 novembre). Uno spettacolo che procede per suggestioni, tratteggiate nel cortile di casa e nella cucina. Un tavolo, la paglia per terra, un forno, il grano sullo sfondo. I protagonisti si muovono in uno spazio che, richiamato attraverso un video iniziale nella sua fisicità, non ha tempo e non ha un confine ben definito. La casa d’infanzia, immersa nella campagna, i campi coltivati dai braccianti, un appartamento troppo piccolo, la città di Bologna sullo sfondo. Poi di nuovo la campagna, il mulino, gli animali da cortile, la musica e il teatro. In un percorso che abbraccia una vita intera Paola e Stefano raccontano, con una semplicità che non lascia spazio al naif, la nostra storia. Ciascuno trova un pezzo di sé nelle parole dei monologhi, ora nostalgici ora pieni di speranza, e ciascuno porta con sé il peso delle risposte alle domande che, in più momenti dello spettacolo, vengono rivolte allo spettatore.

Quando è stata l’ultima volta che hai scritto una lettera? E a chi la scriveresti ora, se ne dovessi scrivere una? 

Tutto quello che so del grano è un antidoto alla fretta. Mentre lo spettacolo va in scena, mentre i protagonisti mimano gesti lenti, fatti di storia e abitudine trasmessa di generazione in generazione, cuoce nel forno la focaccia, impastata sul grande tavolo al centro del palcoscenico. Una focaccia fatta con il grano coltivato nei campi zappati da Stefano, raccolto e portato al mulino per essere macinato. Cibo che vediamo “nascere” davanti a noi e di cui possiamo conoscere la storia. Intorno alla cucina, ai sentimenti che permette di esprimere senza parole, al suo essere spazio di riappropriazione del tempo (quello necessario, non di più e non di meno, proprio come quello segnato dalle stagioni), crescono le relazioni, si sviluppano i racconti di una vita. Solo attraverso la condivisione del pane, fatto da qualcuno e per qualcuno, non casualmente acquistato fra i banchi del supermercato, si riescono a tenere annodati legami che i ritmi contemporanei porterebbero a scioglimento.

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Il pane, il grano non passano “di moda” (anche se per qualcuno non sono più “interessanti” e possono essere soppiantati da altri più moderni cereali), così come i sentimenti. Non esiste la ricetta per cucinare la focaccia perfetta o il pane migliore, così come non esiste la ricetta per mantenere viva e felice una relazione: bisogna prendersi cura della persona con la quale si vive, bisogna mettere cura nella preparazione. Attraverso la cucina può esprimersi questa cura, che implica a volte anche la perdita di tempo, o meglio la riappropriazione di momenti per volersi bene e voler bene.

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Tutto quello che so del grano esprime con forza un ritorno alla sincerità, ad una semplicità che non è mai banale, ma essenziale, a valori che non sono universali, ma estremamente personali e che, proprio per questo, richiedono tempo e pensiero per essere individuati e coltivati. Non si trovano pronti e non sempre corrispondono a quelli offerti dalla società in cui quotidianamente viviamo. Tutto questo si fonde in scena con una riflessione sullo spettacolo e sul ruolo dell’attore, sulla sua inutile utilità, sul rapporto con lo spettatore, con il tempo di scena e con la vita. In poco meno di un’ora e mezza Stefano, Paola e Maurizio Ferraresi (muto accompagnatore di scena), raccontano tutto questo e nel pubblico ciascuno evoca il suo racconto: la nostra casa d’infanzia, la lettera a cui non abbiamo risposto o che non abbiamo spedito, il sapore del pranzo della domenica a casa dei nonni, il tempo perso nel migliore dei modi, rivendicandolo per noi e per la persona amata soltanto.

Nessuna “verità” viene rivelata e quando cala il sipario si condivide un pezzo della focaccia cucinata in scena, il pane, i dolci che gli spettatori sono stati invitati a portare per la serata. Non si va subito a casa dopo l’applauso, si rompe la finzione scenica e attori e pubblico si mescolano: non c’è spazio per la fretta e ognuno può prendersi il suo tempo. Qualcuno saluta ed esce, qualcuno si ferma a chiacchierare, qualcuno prende la focaccia e si siede nuovamente per commentare quanto ha appena visto. E nella sua semplicità il senso è forse proprio questo.

 

Tutto quello che so del grano di Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini
scenografia e costumi Teatro delle Ariette
luci e audio Massimo Nardinocchi
video Stefano Massari
regia Stefano Pasquini
segreteria organizzativa Irene Bartolini
comunicazione e ufficio stampa Raffaella Ilari
produzione Teatro delle Ariette 2016
Durata: 1h25 + il tempo per mangiare assieme le focacce preparate e condividere le parole del dopo spettacolo

(Fotografie su concessione di Stefano Vaja)

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