Teatro
Tutti fuggono verso Babilonia, ecco il teatro dei “Venti contrari”
Tutti vogliono andare a Babilonia. Stanotte, sarà l’ultima corsa. L’estremo viaggio verso la Terra Promessa con un barcone della speranza lasciando alle spalle fame, guerra e violenze. La spiaggia sembra proprio uno dei luoghi di disperazione in Nord Africa, tra Libia e Tunisia, dove ogni giorno, dopo aver superato deserti, privazioni e aggressioni approdano in migliaia alla ricerca di un passaggio verso l’Europa, speranza di nuova vita. Eldorado agognato e impossibile per gli ultimi. Una meta che in tanti non potranno raggiungere, vittime di altre violenze o tragedie in mare ostaggio di malavitosi e scafisti senza scrupoli, soldati di una mafia che specula sulla pelle dei rifugiati. Quanto è simile alla realtà questo “Babylon”, spettacolo paradossale, satirico e imprevedibile che spinge al riso ma lo scioglie nell’amarezza. Recente fatica di uno dei più grandi protagonisti della scena contemporanea del teatro di figura, al secolo Neville Tranter, protagonista dell’ultimo appuntamento di “Animar”, festival di animazione svoltosi a metà ottobre tra i teatri Massimo di Cagliari _ all’interno del progetto di coworking “10 nodi” _ e Eliseo di Nuoro costruito con un ciclo di appuntamenti con alcuni grandi di questa arte antica.
Come è appunto questo artista, australiano di nascita e olandese di adozione, dello Stuffed Theater, teatrante e manipolatore, deus ex machina di un allestimento coinvolgente ed emozionante dove i livelli di sacro e profano, mitologico e contemporaneo si mescolano in modo iconoclasta dando vita a un teatro denso di compassione e amore per i più sfortunati. Spettacolo vivo, così reale da gettare nel panico e colpire con un uppercut alla bocca dello stomaco chi guarda, grazie alle verità che i suoi pupazzi, ad altezza d’uomo, raccontano. Si spostano sulla scena, guidati dallo stesso Neville, confuso tra loro in mimetica e occhiali scuri. A tratti scompare, rendendosi quasi invisibile, mentre i personaggi a cui ha regalato le diverse voci diventano esseri palpitanti di umanità. Tra la Terra e il Cielo. Qui c’è un Dio rassegnato e impotente, in ansia per il Figliolo smarrito, sceso tra i mortali per portare il Verbo. Costui è un ispirato Messia hippie che si accompagna a una pecora parlante. Anche loro in lista d’attesa nel vascello di un Capitan Caronte, mezzo pirata e mezzo faccendiere interessato ai quattrini, traghettatore verso l’Inferno. Chi riuscirà a partire? Chi, invece, dovrà restare? Altre figure e personaggi ruotano attorno: da una madre in cerca del giovane figlio fuggito da casa all’aiutante del Capitano, un disperato solitario che vorrebbe portare con sé, imbarcandolo illegalmente, l’unico suo amico: un cane. E’ un teatrino maledetto e impossibile. C’è il Dio riluttante, alle prese con un Angelo burocrate e un Diavolo inguardabile. E uomini. Tanti uomini allo sbando. Una dolente umanità in fuga che Neville mette a nudo con le debolezze e paure. Tutta dentro una barca che, bombardata, andrà a fondo. Ma non ci sarà né rinascita, né nuova Pasqua di Resurrezione. Solo il silenzio.
Una vita di teatrante allo specchio quella proposta da un altro grande artista del teatro di figura, l’argentino Horacio Peralta, una vita vissuta a Parigi, dove approdò giovane in esilio dalla sua terra, dove non voleva sottostare alla dittatura militare. Iniziò con una fuga carambolesca, un pomeriggio d’estate: mentre tornava dal mare verso casa fu avvertito che i militari stavano rastrellando il suo quartiere alla ricerca di democratici e antifascisti. Scappò da Buenos Aires per fare tappa prima in Costa Rica e poi in Europa, a Parigi. Qui adattò la sua arte di teatrante al metrò dove, armato solo di un telo nero e due marionette, portava un mondo di poesia in spettacoli che duravano tre fermate della metropolitana.
Il ricordo di quegli anni torna con prepotenza a vivere con poetica intensità nel ”Tiritero” (in italiano “Il marionettista”) , spettacolo feticcio di Peralta che ripercorre le tappe più importanti e significative di vita e carriera. Un teatro viaggiante quello dell’ìnventore di “Bululù teatro” (così battezzò la sua compagnia) che introdusse all’arte della figura altri giovani in fuga dal paese sudamericano, inventando storie intriganti in cui distillava la conoscenza della vita stessa. Come quella del pupazzo innamorato di un fiore che finirà per divorare o la Vieja, immagine rubata a Goya, che si porta sempre appresso dentro una valigia. Quasi un alter ego del teatrante stesso a cui la marionetta cerca di ribellarsi fino a confondere i piani della morte e della vita, quello della finzione scenica come della realtà.
Tra la terra e il cielo, tra il mondo di sopra e quello di sotto, in una landa spazzata dai “Venti contrari” una umanità ferita dalla guerra fa i conti con se stessa alla ricerca di un raggio di sole. E’ l’immagine coinvolgente di uno degli allestimenti più belli del teatro italiano di figura, “Venti contrari” appunto, realizzato da Is Mascareddas, compagnia sarda, di livello internazionale, curatori della stessa rassegna dove hanno presentato il loro imperdibile lavoro con la precisa regia di Karin Koller. Uno spettacolo emozionante e avvincente che mostra tutte le fragilità dell’essere umano, come la tenacia e la forza per sopravvivere. Tutto si volge all’interno e ai bordi di un quadrato con gli spettatori attorno, i teatranti che muovono a vista pupazzi straordinari, realizzati da Is Mascareddas (Tonino Murru e Donatella Pau ne sono i fondatori e i principali responsabili) ispirati all’arte delle due sorelle cagliaritane, Albina e Giuseppina Cotroneo, tanto amate da due celebri designer come Giò Ponti ed Eugenio Tavolara.
Una creatività fatta di arte, filo e tessuto, Figurine che raccontano il nostro dopoguerra, misero e colmo di ferite, come tutti i dopoguerra. Non ci sono più i colori rutilanti e l’oro, il blu del cielo e del mare dei primi lavori ma solo i volti tristi e gli stracci grigi e marrone di marionette beckettiane che attraversano un quadrato ingombro di macerie, dove la vita continua, Quella dei vecchi, superstiti ai bombardamenti anglo americani (particolarmente cruenti nella città di Cagliari), o della battona che cerca di riaggiornare il suo mondo lucidando ossessivamente le sue scarpe, mentre una marionetta sospesa nell’aria ricorda emblematicamente il mondo di sotto e quello di sopra. Un grande affresco della commedia umana in un allestimento potente come possono esserlo solo i veri capolavori.
Is Mascareddas all’interno del festival hanno presentato anche altre perle del loro repertorio come quelle della saga della loro maschera Areste Paganos (“Giganti” e la “Farina del Diavolo”) e ospitato maestri del valore di Gigio Brunello e Patrizio dell’Argine per l’Italia, Hèlène Pirenne dal Belgio e i toscani Pilar Ternera. Dedicato al tema delle moderne migrazioni, “Lumi dall’alto. Corse clandestine in città” scritto da Gyula Molnar e animato con la consueta maestria da Brunello, racconta le vicissitudini di due giovani albanesi in Italia con i problemi quotidiani di far quadrare i conti e tirare su i propri figli in un paese straniero. “Leonce und Lena” è invece il celebre testo di George Bruchner nell’originale allestimento di Patrizio Dell’Argine e i suoi burattini. Una insolita versione di Cappuccetto Rosso, cioè Lorgnette, è la protagonista del divertente “Post scriptum” di e con Héléne Pirenne. Infine è tratto dalle “Fiabe Italiane” di Italo Calvino lo spettacolo “Il Re dei Pavoni” di Pilar Ternera. Qui si racconta di una principessa ribelle che rifiuta le nozze imposte dai genitori e la sua fuga in Perù dove diventerà regina.
Devi fare login per commentare
Accedi