Teatro
“Tragùdia” di Alessandro Serra: l’Uomo, il Fato e gli Dei
BOLOGNA_ “Edipo” o della solitudine umana. Alessandro Serra, regista di punta della scena europea e nazionale, ha riletto le tragedie sacre di Sofocle, quella di “Edipo Re” e l’altra, “Edipo a Colono” , con rispetto degli originali in “Tragùdia”, allestimento volto soprattutto a ricercare l’imprinting originale. Un avvicinamento graduale, in punta di piedi, finalizzato a scoprire la linea d’ombra di una esistenza che, dopo millenni, pare coincidere con la nostra, oggi al centro di un vortice che potrebbe spazzarla via. Dalle mutate condizioni del clima alle guerre impastate di odi, sete di potere e voglia di vendetta: una potenziale anticamera per un conflitto mondiale. E’ un’umanità cioè lanciata verso la catastrofe che non sa come fermare questo ordigno che, se esploderà, farà tornare gli uomini alla condizione di monadi disperse nel cielo. Inequivocabili sono i segnali di richiamo giunti anche da questo dramma andato in scena nei giorni scorsi in prima nazionale all’Arena del Sole di Bologna, dopo un precedente passaggio di poche sere in un allestimento site specific al Teatro Olimpico di Vicenza. In quel luogo iconico, senza scenografie e limitati nei movimenti, veniva anticipata la versione definitiva, lanciando imput criptici che solamente dopo il debutto hanno assunto un più chiaro significato e mostrata tutta l’urgenza di un messaggio. “Tragudìa” è ritorno all’origine del senso, all’inizio di tutto: fotografa un lungo cammino che forse volge alla fine. Chi, se non un eroe-antieroe come Edipo poteva meglio guidare lungo un accidentato cammino di ri-conoscenza e presa di coscienza?
Per entrare dentro la sacralità di tragedie come quelle di Sofocle, Alessandro Serra, regista e intellettuale che fa i conti con il teatro e la filosofia, ha compiuto la propria immersione in un complesso sistema di lettura. Tra le priorità quella di capire la modalità di trasmissione di un’opera che ai contemporanei del drammaturgo greco era intelligibile e forniva allo stesso tempo, uno scudo di protezione, un passaggio per ottenere l’immunità dal caos. Tutto allora era chiaro e comprensibile. E gli uomini potevano parlare con gli dei. Ma oggi?
Non basta certamente conoscere le parole per entrare dentro una tragedia greca. Occorre sondarne la profondità, ascoltare i suoi ritmi fino a fare proprio il suono che come un transfert spirituale ed esoterico conduce alla conoscenza. La scelta così è stata quella di puntare sul grecanico, antica parlata ancora in uso in piccole comunità di Calabria e Puglia, ultimi reperti antropologici esistenti dell’antica Magna Grecia. Questa decisione, necessaria per arrivare più vicino possibile al testo originale, si è rivelata di strategica importanza. Non solo gli attori hanno studiato da vicino quell’idioma, ma l’hanno fatto aprendo la propria percezione alla musicalità delle parole. Al di là del significato tout court. Il lavoro rigoroso svolto dal compositore e musicista, Bruno De Franceschi, in intesa quotidiana con Serra ha dato vita così a una sequenza affascinante di canti di incredibile musicalità e armonia che, una volta appresi dagli attori stessi, danno sostanza concreta a ciò che il coro rappresenta in queste tragedie. Ne è parte consistente e fondamentale, veicolo di rivelazione e di equilibrio dell’opera. Certo mancano, ahimè, i suoni degli strumenti e le percussioni di quell’epoca lontana, che trovavano il modo di intrecciarsi con il canto dando così sostanza ad unicum.
Come fare quindi? Ecco un’opera rigorosa e sperimentale ad inseguire e ricercare il feticcio. Quello che poi avrebbe dato la chiave a tutto il dramma. Far sì che le parole risuonassero come un canto e, viceversa, un canto che modellasse parole e significati. Il musicista De Franceschi ha fatto una incredibile opera nell’avanzare e retrocedere, frugando dentro le tradizioni etnomusicali ma anche orecchiando le lezioni dei grandi, da Bach a Monteverdi per tirare fuori un miracolo teatrale. Un teatro che suona, ed è appunto il canto di Edipo in questa “Tragùdia”: fa incontrare l’apollineo e il dionisiaco, mettendo il sigillo a tutta l’opera; in questo modo diventa lo strumento di eccellenza per far vivere a spettatori del Duemila e passa, qualcosa di raro e potente. Risvegliando dal profondo ciò che si è annidato nei recessi delle nostre dimenticate memorie di popoli mediterranei: emerge d’improvviso e fa vibrare assieme, all’ascolto, corpo e spiritualità.
Non c’è stacco tra parlato e canto. E’ insomma una catena senza soluzione di continuità che gira come il meccanismo perfetto e misterioso di Antikytera che guidava i marinai a navigare nel buio conoscendo le posizioni del Sole, della Luna e dei pianeti, nel passato e nel futuro.
“Tragùdia” un po’ viaggio notturno lo è. Veleggia tra i flutti vagando come la “nera nave” di Odisseo alla volta di Itaca, spingendo Edipo alla ricerca di sé stesso. E scura è la Sfinge alata che appare all’inizio. Gira sospettosa nel palcoscenico appollaiandosi su di una alzata, fissando la platea. Tutta di nero come la notte. Il Mito racconta come assediasse Tebe. Creatura enigmatica e spaventosa, stava come guardiana davanti alle mura sfidando gli uomini a rispondere ai suoi enigmi. “Quale è l’animale che, pur avendo una sola voce cammina quattro zampe la mattina, a due a mezzogiorno e a tre verso la sera?” Solo Edipo rispose saggiamente: “E’ l’uomo: da bambino striscia a quattro zampe, poi si alza sulle gambe e da vecchio si appoggia ad un bastone”. Sempre il Mito racconta così che la Sfinge per l’onta si uccise -cedendo il passo agli dei dell’Olimpo-, lanciandosi nel vuoto. Edipo il liberatore. Accolto da trionfatore giacerà con Giocasta, la madre, regnando su Tebe fino a quando…
La Tragedia inizia qui. Passo dopo passo si svelerà il non detto, verrà sfogliato il libro degli accadimenti: quelli decisi dal Fato che riguardano il passato, l’assassino del padre Laio, l’incesto con Giocasta. La colpa di Edipo, eroe/antieroe con le stimmate del peccato, la punizione e l’esilio fino a diventare persona cara agli dei. In mezzo c’è la Crudeltà. La peste dilaga in città e Creonte, fratello di Giocasta, è inviato da Edipo all’oracolo di Delfi per conoscere il volere degli dei. Costui rivelerà che il Male accade perchè l’assassino del precedente re è dentro le mura della città e Apollo esige la punizione.
Inizia il cammino sui carboni ardenti alla ricerca ostinata della verità che Edipo sin dall’inizio intende percorrere sino in fondo. Ma tutto ormai è in rovina. Quello che ieri era adesso non lo è più. Edipo litiga con il sacerdote di Apollo, l’indovino Tiresia (che il Coro ha definito il più saggio dei mortali), momento centrale del dramma che porterà alla rivelazione. Inizialmente il vate rifiuta di nominare chi ha ucciso Laio, scatenando l’ira del re che lo investe così: «tu sei cieco negli occhi, nelle orecchie e nella mente». A quel punto Tiresia apre il vaso di Pandora sentenziando: «…e si scoprirà che è fratello e padre dei figli con i quali vive, figlio e sposo della donna da cui è nato, assassino del padre con cui ha seminato lo stesso solco».
Edipo perde il controllo e accusa Tiresia e Creonte di complottare per impadronirsi del potere. Per una serie di fortuite circostanze Edipo viene a conoscere la verità in virtù di un messaggero giunto da Corinzio – il pastore che lo trovò sul monte Citerone– che gli annuncia la morte del padre adottivo, il re Polibio. Scoperte le circostanze della morte di Laio, sulla strada di Delfi, ucciso per una futile questione di precedenza proprio da lui stesso, troverà la conferma definitiva dalla testimonianza dell’anziano servo di Laio che in quel monte l’aveva abbandonato per ordine delo stesso re. Tutto diventa più chiaro.
L’uomo da lui ucciso era davvero suo padre. E Giocasta, madre dei suoi figli è la stessa che a lui ha dato la vita. Colpevole Edipo senza avere colpa. Tutto è finito. Giocasta si suicida ed Edipo con le fibbie delle sue vesti si acceca.
Conoscere il passato per capire il presente. E’ il viaggio verso la conoscenza dell’altro da sé che inquieta e tormenta Edipo. Scaricato improvvisamente dalla storia, condannato a vivere esule, claudicante e cieco, per le strade dell’Ellade.
Nell’ideale secondo tempo di “Tragùdia”, cioè “Edipo a Colono”, assistito dalla figlia Antigone e poi anche da Ismene giunge a Colono, in territorio di Atene, dove avrà la protezione del re Teseo. Qui lo raggiungeranno Creonte e poi il figlio Polinice che ha messo assieme una grande armata ad Argo per combattere il fratello Eteocle regnante su Tebe (lo scontro che porterà alla morte di entrambi è sulla divisione dell’eredità paterna). Chiede il perdono e la benedizione di Edipo. Ma il vecchio re lo caccia via sconfessando entrambi i figli. Qui nel boschetto di Colono, caro alle Eumenidi, sostenuto da Teseo (a cui rivelerà che la sua tomba proteggerà la città), si avvia verso la morte scomparendo dentro una grande luce: unendosi così agli dei.
Fin qui la storia. Un racconto desunto abbondantemente dal mito circolato in Attica ed evidente sin dall’inizio della rappresentazione. Come fa sapere Antifane (404 ac. e 334 ac.) – prolifico commediografo e grande anticipatore della commedia nuova- in un frammento in cui indica proprio quello di Edipo tra i miti più utilizzati dai poeti tragici, facili da ricordare dal pubblico perchè abbondantemente diffusi: «se dico Edipo, / tutte le altre cose si sanno: il padre Laio, / la madre Giocasta, le figlie, i figli, / che cosa ha subito lui, che cosa ha fatto» (frammento 189,5-8 K.-A.).
Tutto è già noto. Eppure ogni volta il canto riesce a commuovere iniziando dalle considerazioni sulla caducità della vita, le contraddizioni amare che possono stravolgere, come nel caso di Edipo, una esistenza. Un capovolgimento di status addirittura: prima eroe e regnante poi, scoperto l’incesto, parricida reietto da condannare all’esilio. Ma è anche dall’orrore in cui è piombato all’improvviso e lo ha spinto ad accecarsi che diventerà più profonda la conoscenza e maggiore la sapienza. Come se la perdita della vista avesse aumentato la sensibilità nel “vedere”, la capacità filosofica di andare oltre.
D’altra parte proprio in “Edipo a Colono” , rispetto ad “Edipo Re”, aleggia una sensazione di minore colpevolezza: l’idea cioè che abbia agito manifestamente nella totale ignoranza uccidendo il padre sulla strada per Tebe, diventando poi colpevole di incesto con Giocasta, la madre.
Di tutto questo “Tragùdia” ne tiene conto con rigore raro. Resuscita il personaggio senza perdere uno sguardo critico sul mondo. E’ un viaggio in parallelo che fa compiere a chi guarda: da una parte si torna indietro al conflitto originale, l’uomo e il Fato, dall’altro è la rottura e l’eversione che spinge il corpo a riprendersi la propria libertà. In quel gesto finale, mentre Jared/Edipo lascia cadere la tunica e avanzare verso il proibito, ciò che solo lui cieco può vedere, c’è un segno forte, artaudiano, di libertà. La vita non è qualcosa di immanente che si consuma e finisce. Ma può cambiare. Come in Ovidio è metamorfosi che mette assieme l’essere e il divenire in grado cioè di assumere anche forme diverse. Per giungere a questa porta finale verso l’ignoto e il cambiamento, l’uomo deve passare attraverso prove dolorose e difficili tali da far maturare il sapere e la conoscenza. Ecco così che questo allestimento ci spinge ad avere uno sguardo innovativo su quella che è considerata tra le più significative e simboliche figure del teatro greco.
Oltre a produrre un suono che tiene connesso costantemente il Coro, questo “Canto”possiede una buona sintonia tra vocalità e ritmo. E’ un tempo ciclicamente costante che fornisce l’architettura dei movimenti degli attori nelle scene di insieme come in quelle di dialogo. Questi restano costantemente immersi in uno stato sonoro che la lingua costruisce momento dopo momento come un liquido amniotico.
E’ un cast compatto e solidale quello formato da Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesco Gabucci, Sara Giannelli che intrecciano canti e azioni con Chiara Michelini, una enigmatica ed elegante Sfinge e un risoluto Tiresia, Felice Montervino nel ruolo di Creonte dà spessore volitivo e presenza baricentrica per tutto il dramma e infine un coinvolgente Jared McNeill nel ruolo di Edipo lascia intravedere tutte le fragilità quanto, nondimeno, le inclinazioni ascetiche e spirituali dell’uomo in costante ricerca di se stesso. Le scene composte da quinte di metallo scuro richiamano il piombo, il dramma sigillato nelle oscurità del tempo. Sono di Alessandro Serra come le luci e i costumi.
In questa “Tragùdia” il regista di origine sarda congeda un’opera di notevole maturità. Qui indica di aver ulteriormente lavorato di fino mettendo a punto un senso del tragico acuto e originale. Qualcosa di poco visto in queste longitudini, esploso forte e chiaro anni fa in occasione del ”Macbettu”- e con cui questo “Tragùdia” ha diverse affinità e punti di contatto- regalando l’arte di fare dramma in modo innovativo. Si, è vero, sembra anche riecheggiare l’arte teatrale giapponese, l’uso delle maschere, ma anche una certa recitazione spigolosa e asciutta degli attori che rimanda al mimo dei Carnevali sardi e al mistero di una cultura millenaria. Ma è anche un’opera impastata di umori mediterranei, di passione e reverenza verso il teatro visionario del maestro Theodoros Terzopoulos come per le intuizioni di Eugenio Barba e la lezione di Peter Brook. Senza dimenticare l’amato Shakespeare. E forse questo “Canto per Edipo” non sembra anche rimandare al “King Lear” che altro non è se non una rilettura di quell’archetipo fatto proprio da Sofocle? Re Lear e Re Edipo in effetti hanno appreso a loro spese che l’essere sovrani poco significa davanti alle avversità e quindi, in fin dei conti, solo uomini comuni sono.
Ma Edipo, in effetti fu vero eroe? Di sicuro la sua figura ha lasciato una traccia importante nel tempo a venire. A partire dalla sua esistenza e di quello che ad esempio Sofocle attingendo al mito ha rielaborato: attitudine ripresa poi anche da Serra. Certamente questa storia ha dell’incredibile per cui anche l’uscita di scena in “Edipo a Colono” scomparso in una magica aura ha quasi del soprannaturale. Ma da lì a diventare eroe sacro forse non basta. Nel finale Alessandro Serra, guardando ai nostri giorni di guerra tra Gaza e Ucraina, isola una frase che Edipo/Sofocle regala alle figlie prima di scomparire in solitudine. Una esortazione alle generazioni a venire : “Una parola ci libera di tutto il peso e il dolore dell’esistenza: quella parola è Amore”.
La scritta luminosa a caratteri bianchi galleggia nel buio della sala per stare impresso a lungo nella retina e scivolare infine, nei nostri cuori.
“Per me, tutto è finito; e di nutrirmi piú non avrete la molesta cura: aspra, o figlie, lo so; ma questa sola parola scioglie ogni fatica: amore: ché da nessuno mai ne avrete piú che da quest’uomo, onde or prive, dovrete quanto di vita resta a voi, trascorrere”.
“TRAGÚDIA” di Alessandro Serra liberamente ispirato alle opere di Sofocle e ai racconti del mito. Traduzione in lingua grecanica di Salvino Nucera con: Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, Jared McNeill, Chiara Michelini, Felice Montervino
Regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra
voci e canti Bruno de Franceschi
collaborazione ai movimenti di scena: Chiara Michelini
collaborazione alle luci: Stefano Bardelli
collaborazione ai suoni: Gup Alcaro
collaborazione ai costumi: Serena Trevisi Marceddu
direzione di scena: Luca Berettoni
tecnico del suono: Alessandro Orrù
direzione tecnica: Francesco Peruzzi
costruzione scena: Daniele Lepori, Serena Trevisi Marceddu, Loïc Francois Hamelin
Produzione: Sardegna Teatro, Teatro Bellini, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale , Fondazione Teatro Due Parma
in collaborazione con Compagnia Teatropersona, I Teatri di Reggio Emilia
Tournée 2024/2025
dal 29 ottobre al 3 novembre 2024, Teatro Strehler – Milano
dal 12 al 17 novembre 2024, Teatro Bellini – Napoli
dal 19 al 24 novembre 2024, Fonderie Limone – Torino
3 dicembre 2024, Teatro Galli – Rimini
6 dicembre 2024, Teatro Civico – La Spezia
20 gennaio 2025, Teatro Comunale – Sassari
dal 22 al 26 gennaio 2025, Teatro Massimo – Cagliari
dal 29 al 31 gennaio 2025, Teatro Chiabrera – Savona
dal 3 al 5 febbraio 2025, Auditorium Parco della musica – Roma
8 e 9 febbraio 2025, Teatro Due – Parma
dal 28 al 30 marzo 2025, Teatro Nazionale Ivo Chiesa – Genova
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