Teatro

Torna a Roma “L’Operazione”: ovvero il Teatro e il senso della Critica

6 Dicembre 2019

Di tanto in tanto ci si interroga, nella micro “bolla” del teatro italiano, su quella che è una “bolla” ancora più piccola, una bollicina, ossia la critica teatrale. Ci si interroga, anche aspramente, sul senso della pratica critica, sulla scrittura, sulla recensione, sull’arte ormai scomparsa o quasi della stroncatura.

È una discussione tra uno sparuto gruppo di assatanati, tra difensori (pochi) e denigratori (molti) di questo strano non-mestiere. Mestiere quasi sempre non pagato, sorta di volontariato militante, specie di malattia sociale (o mentale) che noi sopravvissuti chierici continuiamo ostinatamente a fare.

Quanti critici saremo in Italia? Una cinquantina? Un centinaio a dir tanto, comprendendo tutto e tutti.

Chi ce lo fa fare? Difficile rispondere: ciascuno ha una propria visione del mondo, dell’arte, del teatro e del giornalismo. Già, la cosa che si scorda spesso è che “tendenzialmente” siamo, o dovremmo essere, giornalisti – magari anche iscritti a qualche albo. Giusto per dire che “serviamo” per raccontare, testimoniare, qualcosa per qualcuno che non c’era e magari è interessato a saperne di più.

Poi siamo, naturalmente, spettatori, forse spettatori di professione: ricorda l’adagio di Peter Brook che per fare teatro bastano due persone e un tappeto. Uno sta sul tappeto e fa qualcosa e l’altro lo guarda: ecco, noi siamo “l’altro”, spettatori assieme a quel pubblico senza il quale il teatro è atto sterile, onanistico.

E in quanto spettatori professionali, siamo anche memoria, ricordo attivo di quel che è stato fatto prima, carichi come siamo del fardello bellissimo del patrimonio del passato, impregnato di visioni, studi, ricerche, incontri. C’eravamo, realmente, trenta o quaranta anni fa, e c’eravamo, simbolicamente, anche duemilacinquecento anni fa, così come c’erano gli attori nel Teatro di Dioniso di Atene. Si tratta, allora, di tenere alta l’attenzione su quanto accade, sapere riconoscere il Nuovo senza cedere all’entusiasmo della Novità a tutti i costi, ma anche saper cogliere legami e discendenze, tradizioni e innovazioni, come pure scopiazzature e citazioni.

Infine, anche se oggi ci sono altre scuole di pensiero, che lo si voglia o no, siamo “giudici”, quantomeno siamo autorizzati a esprimere la nostra “opinione” su quanto vediamo e ascoltiamo. Non per derive pseudo-poetiche, sentimentali o impressionistiche, ma per competenza, esperienza, comprensione, allenamento, capacità di stupirsi e rinnovarsi, per empatia, studio e fatica. La pratica critica è un lavoro non pagato eppure serio, complesso, difficile. Non basta sentirsi animi ispirati o arguti osservatori di sé, per confrontarsi con l’arte – difficile, terribile, bellissima – della creazione teatrale. E questo nel rispetto, sempre e comunque, degli artisti, di chi il teatro lo fa e lo vive.

Chi vi scrive, da oltre vent’anni insegna Metodologia della Critica in varie scuole e università – anche lì, con contratti capestro, va da sé – e ho avuto la fortuna e il piacere di veder crescere, spesso nelle aule, molti dei critici attivi oggi.

Insegnare il pensiero critico, o almeno provarci, a giovani studenti significa allora provare a istallare il dubbio, la domanda sistematica, la cura, l’attenzione rispetto alle volubili certezze, ai pregiudizi, agli stereotipi. Significa, insomma, provare a essere “più liberi” di quel che normalmente siamo. Prescindendo da consorterie, mode, correnti, tendenze del momento e del mercato – o del “mercatino” – investendo se stessi in attività non facili come il riconoscimento dell’arte, la consapevolezza delle contraddizioni, e al tempo stesso l’instancabile ricerca di una “verità” (con la minuscola e tra mille virgolette) cui ogni giornalista e ogni cittadino devono tendere.

Ecco, il pensiero critico forse serve a questo: a pensare liberamente, provando a essere non solo “critici” migliori, ma cittadini migliori. Troppo? Forse sì, ma da tutti e ciascuno di noi può venire un contributo serio all’approfondimento e al miglioramento del dibattito culturale, non solo teatrale, di questo paese. Non ci riusciamo, non ci riesco, né tanto né spesso. Ma credo sia importante continuare a provarci.

 

L’Operazione, regia Rosario Lisma

 

Ripensavo a tutto ciò quando ho visto programmato, nel cartellone del teatro Piccolo Eliseo, uno degli spettacoli più divertenti e intelligenti di queste ultime stagioni. Si tratta de L’Operazione, ed è un trascinante, vorticoso, gioco tutto “meta-teatrale”, che mette in parodia la vita di quattro giovani attori, alle prese con tutti i temi cui ho fatto cenno nel sermone precedente.

È una commedia brillante, prodotta coraggiosamente da Elsinor, scritta e diretta con tanta autoironia dal bravo Rosario Lisma, affiancato dagli ottimi complici Fabrizio Lombardo, Alessio Piazza, Andrea Narsi, e da Gianni Quillico, che si rivela uno spaccato a dir poco inquietante della realtà teatrale italiana.

È la storia, vien da pensare in parte autobiografica,di quattro attori precari, più precari che mai, quarantenni bravi e generosi, addirittura “impegnati”: provano e mettono in scena un testo duro sulle BR, sui “rapimenti politici” e sulla lotta armata. Un tema complesso, difficile da affrontare. Eppure, come si direbbe oggi: “necessario”. Ecco allora che tra crisi, litigi, aspirazioni, fallimenti, compromessi, rinunce, sogni, ripicche si ostinano a lavorare. Nessuno li paga, ma sono lì.

Potrebbe essere la svolta, il successo. Ma per il quarto d’ora di celebrità, per la consacrazione vera e propria, serve Lui, il “Grande Critico”. E pur di averlo in sala, i quattro sono disposti a tutto.

 

Un momento dello spettacolo

 

Si ride tanto, di fronte a L’Operazione: anche chi non è dell’ambiente, del mondo teatrale, vi ritrova spunti esilaranti, e ovviamente un senso di umana, amara, compassione per gli inani sforzi di sopravvivenza di chi vive, o vorrebbe vivere, nella Cultura Italiana.

E chi, invece, all’ambiente appartiene, potrà riconoscere staffilate e ironie, ritrovare situazioni forse vissute o attraversate: e capire a chi si rivolge il testo scritto da Lisma, pensando a una chiara figura di critico, a un riferimento ben preciso, di qualche stagione fa. Oggi le cose sono cambiate, anche il “Grande Critico” si è relativizzato. Nulla è più come un tempo. C’è un finale, a sorpresa, che non sto ovviamente a svelare. Eppure, per proseguire quel dibattito sul senso della critica, L’Operazione è un ottimo vademecum.

In scena dal 12 al 22 dicembre al Piccolo Eliseo di Roma. 

 

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