La Ferocia, ispirata al romanzo di Lagioia, a teatro con la regia di Altamura e Paolocà

Teatro

Teatro, una insostenibile “Ferocia”

7 Aprile 2025

CAGLIARI – Indietro tutta. La vita non è come sembra o come qualcuno vorrebbe farla apparire. “Ferocia”, spettacolo teatrale di Vico Quarto Mazzini, con la regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà non è il romanzo omonimo scritto da Nicola Lagioia, blasonato vincitore di premi, da Strega a Mondello, ma è il suo reader’s digest. Dell’originale però, nell’adattamento curato per la scena, ha raccolto in eredità la verbosità. Fiumi di parole che gli attori ripetono come in uno sceneggiato televisivo fatto di una sola puntata e che vorrebbe rinchiudere in quasi due ore tutta una serie. Quindi c’è pure l’ansia di mettere dentro tutto e non perdere nulla. Non sia mai che si possa scordare un passaggio, un intreccio di questa vicenda tinta di nero. Che poi qualcosa ovviamente finisce che scappa, ma in un groviglio amaro come quello chi mai lo ritroverà? Lo spettacolo visto al Teatro Massimo di Cagliari, a cura di Cedac – dall’8 al 13 aprile al Teatro dell’Elfo di Milano – è d’altro canto, una perfetta macchina da guerra dove niente si trascura. Dalle geometriche scene di Daniele Spanò, futuribili ma claustrofobiche, al cast degli attori, tutto è funzionale affinché diventi successo commerciale un drammone intinto nella mediocrità greve dei tempi in cui viviamo e di cui il romanzo prima, e lo spettacolo teatrale poi, danno conto. Nel secondo caso senza fronzoli e ricami narrativi. Un rendiconto puntiglioso dei misfatti. Che nel caso specifico sono diversi ma rivelati senza colpi di scena.

Una scena da “Ferocia”, spettacolo teatrale della compagnia Vico Quarto Mazzini, regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà  (Fotografia di Francesco Capitani)

Una liquida versione in prosa del romanzo originale di cui segue fedelmente l’iter. Al centro c’è il padre-padrone di una famiglia pugliese, ricca e potente. Di una ricchezza accumulata facendo il palazzinaro con i soliti sporchi metodi. Corruzione e mazzette. Villaggi e villette come campo di battaglia e moneta di scambio per nuovi affari che trasformano l’antropologia del paesaggio. Niente è più uguale a prima. E cosa meglio del profondo Sud -sembra quasi un clichè- per raccontare la decadenza della società attuale, i metodi camorristici che riempiono le tasche di un malaffare fatto di politici, amministratori e persino medici iscritti nel libro paga di avventurieri e pirati come il Don Vittorio Salvemini del romanzo? Uomo che, apparentemente, si è fatto da solo, interpretato da Leonardo Capuano, con una totale immedesimazione del personaggio “cattivo”, ma in realtà considerato “buono” perchè le porcherie le ha commesse in nome della “famiglia”. I rampolli poi. Un po’ vittime designate per via del patriarcato, uomini senza spina dorsale complici o sottomessi al padre padrone. Come si usa in molte parti del Sud, ma non solo lì. Uno è medico e asseconda tutti i passi del padre aiutandolo a correre ai ripari quando gli sequestrano per irregolarità un intero villaggio. L’altro è giornalista precario figlio di una relazione extraconiugale del padre, un solitario che da oltre dieci anni vive a Roma.

Michele Altamura e Leonardo Capuano in “Ferocia”, di Vico Quarto Mazzini,  tratto dal romanzo omonimo di Nicola Lagioia (Fotografia di Francesco Capitani)

Ha problemi psichiatrici e da ragazzo ha appiccato il fuoco alla casa di famiglia dove si sente il figlio escluso. Torna al paesello natìo accompagnato da una gatta che la matrigna farà sparire. La terza invece è una giovane e fragile donna che si prostituisce con la nomenclatura locale che aiuta il padre ad ottenere permessi e autorizzazioni. Finirà uccisa dopo aver preso parte a un gioco erotico, investita nuda e sanguinante al centro di una strada, ma un medico compiacente pagato dal padre, nel reperto dichiarerà che di suicidio si è trattato. Tutto gira attorno a questo episodio nero. Tutti sanno ma fingono di non sapere. Come il fatto che il sottosuolo del villaggio nasconde rifiuti tossici. Scoprirà tutto il figlio cronista a cui l’autista del camion che ha investito la sorella rimanendo invalido, racconterà come sia stato tacitato dal padre con un appartamento (ma non ha ancora l’ascensore). A questo punto il figlio escluso appiccherà di nuovo il fuoco denunciando il padre “vendicando” così se stesso e la sorella uccisa. Stop. Fine di una storia che del contemporaneo ha soprattutto la cornice, ma ha difficoltà ad andare a fondo per scoprire i meccanismi reali di un potere che sottomette e schiaccia. Quali sono le sue strategie, i luoghi di connivenza, i punti di forza e debolezza. E’ necessario capire per riconoscersi, anche se raccontare con efficacia i nostri giorni è compito arduo e difficile.

“Ferocia” di Vico Quarto Mazzini, regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà, tratto dal romanzo di Nicola Lagioia (Fotografia di Francesco Capitani)

Il paesaggio della scrittura teatrale ricorda infatti una landa desolata. Nonostante gli sforzi compiuti, a cominciare dalla Biennale di Venezia che alle prove drammaturgiche di nuovi autori investe, promuovendo aspiranti talenti, la situazione resta povera di proposte. All’orizzonte non si intravedono nuovi BrechtBeckett o Pirandello. Nel senso che oltre quei soliti noti non si va. Nulla da fare. Non è un caso che diversi teatranti si rifugino nei classici greci o shakespiriani. Poi c’è anche chi si rivolge e si affida alla letteratura, magari a best seller di successo. Appunto il caso di “Ferocia”, spettacolo che, dopo il debutto a Roma nell’autunno 2023, ha avuto ottima accoglienza del pubblico e della critica teatrale che gli ha assegnato una messe di Premi Ubu 2024 (ben quattro). Intendiamoci: il cast è buono, in primis quella gloria nazionale che è Leonardo Capuano. Ma l’impatto con la scena dal vivo lascia disorientati. Lo spettacolo è composto da quadri di desolante fissità dove talvolta gli attori sembrano partecipare a un museo delle cere. Il racconto si nutre di parole ma senza uno straccio di azione. Molti sussurri senza grida, raro interplay. La ferocia nata dalla corruzione che ha portato alla decadenza e poi allo sfacelo la famiglia del patriarca, diventa così l’ingrediente di un narrare cronachistico. Che in diversi momenti scivola nella noia.

Repliche. Dall’8 al 13 aprile: Milano, Teatro Elfo Puccini
15 aprile: Cremona, Teatro Ponchielli

FEROCIA

dal romanzo di Nicola Lagioia; ideazione VicoQuartoMazzini;
regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà; adattamento Linda Dalisi. Con Michele Altamura, Leonardo Capuano, Gaetano Colella, Enrico Casale, Francesca Mazza, Marco Morellini, Gabriele Paolocà, Andrea Volpetti.

Scenografie: Daniele Spanò; disegno luci: Giulia Pastore; musiche: Pino Basile; costumi Lilian Indraccolo; aiuto regia Jonathan Lazzini; 

Produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, LAC Lugano Arte e Cultura, Romaeuropa Festival, Tric Teatri di Bari, Teatro Nazionale Genova

Francesca Mazza in una scena di “Ferocia” allestimento teatrale di Vico Quarto Mazzini tratto dal romanzo omonimo di Nicola Lagioia (Foto di Francesco Capitani)

 

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