Teatro
Teatro, si va in scena. Debutti e tournèe da Modena a Palermo
Teatro, fioriscono le prime della scena contemporanea e così, grazie ad un nutrito elenco di eventi, il 2023 sembra annunciarsi come un anno ricco di occasioni da non perdere. L’attesa più alta in questo momento è tutta per “Aspettando Godot” in cartellone dal 12 al 15 gennaio al Teatro Storchi di Modena con la regia del grande maestro del teatro contemporaneo, il greco Theodoros Terzopoulos alle prese con il testo di Samuel Beckett nella versione italiana curata da Carlo Fruttero e la presenza in scena un cast di tutto rispetto a partire da Paolo Musio nel ruolo di Pozzo, Stefano Randisi, in quelli di Vladimiro mentre Enzo Vetrano è Estragone, Giulio Germano Cervi (che è anche assistente alla regia) invece è Lucky e Rocco Ancarola è un ragazzo. “Aspettando Godot” debuttò a Parigi esattamente settanta anni fa, il 5 gennaio 1953 al Theatre Babylone ed è tuttora ritenuto uno dei capolavori beckettiani e, in generale del teatro dell’assurdo. La pièce è imperniata sull’attesa e sul dialogo tra due personaggi. Terzopoulos ha ambientato il testo di Beckett in “un mondo in rovina, in un futuro molto prossimo in cui tutte le ferite attuali e passate appaiono acuite. In questo contesto, si apre l’interrogativo su quali siano le condizioni minime per pensare a una vita che valga la pena di essere vissuta”. Il regista si pone quindi in una sorta di dialogo tra il dramma dell’assurdo e la contemporaneità. A questo proposito Terzopoulos afferma che nell’allestimento di “Aspettando Godot” si cercherà di compiere un viaggio “verso l’Altro dentro di noi e verso l’Altro al di fuori di noi, all’opposto, lontano da noi. Questo è il viaggio che proviamo a fare ogni giorno. Aspettando cosa? La redenzione della vita dai vincoli della morte? L’incontro con l’Umano, la fine di ogni atto di umiliazione inflitto da uomo a un altro uomo? Il Niente o l’Attesa, per usare i termini ironici e beffardi di Beckett? Ma esiste forse un altro modo per immaginare l’umanità emancipata, senza dover ricorrere all’abbattimento dei muri che separano questo “dentro” da questo “fuori”?» così si interroga il regista e drammaturgo ellenico celebre perla sua metodologia di lavoro fondata sul lavoro di ricerca dell’attore che è anche l’oggetto del libro scritto dal critico e studioso Andrea Porcheddu pubblicato dall’editore Luca Sossella: “Il respiro di Dioniso. Il teatro di Theodoros Terzopoulos” che verrà presentato in occasione della replica del 14 gennaio nel foyer del Teatro Storchi di Modena alle ore 17.
“Aspettando Godot” è una produzione Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale e Fondazione Teatro di Napoli -Teatro Bellini, in collaborazione con Attis Theatre Company. Dopo le rappresentazioni a Modena lo spettacolo andrà in scena il 17 e 18 gennaio al Teatro Asioli di Correggio, il 21 al Comunale di Casalmaggiore, il 25 in quello di Teramo, il 27 a Russi, il 29 al Teatro Amintore Galli di Rimini. Dal 31 gennaio al 5 febbraio sarà al Teatro Vascello di Roma, l’8 febbraio al Comunale di Narni, dal 14 al 16 febbraio al Comunale Chiabrera di Savona, il 18 a Belluno e dal 24 febbraio al 5 marzo al Teatro Bellini di Napoli.
A una manciata di chilometri da Modena, al teatro delle Moline di Bologna dall’11 al 22 gennaio, va in scena in prima assoluta “A casa bambola!” ispirato dalla “Casa di bambola” di Henrik Ibsen) di Roberto Scappin e Paola Vannoni. L’ideazione è di quotidiana.com che l’ha prodotto assieme a Emilia Romagna ERT/Teatro Nazionale, Teatro della Caduta, collaborazione produttiva Operaestate Festival Veneto in collaborazione con PimOff, Comune di Rimini, Centro di Residenza della Toscana (Fondazione Armunia Castiglioncello-Capotrave, Kilowatt di Sansepolcro) e il sostegno della Regione Emilia Romagna. L’allestimento di Scappin e Vannoni prende lo mosse dalla fine del testo di culto dello scrittore norvegese, ossia il terzo atto, dove Nora decide di abbandonare casa e marito (decisione che all’epoca, nei primi decenni del Novecento, lasciò di stucco la maggioranza degli spettatori).
Lo spettacolo secondo i tipi di quotidianacom è “una ricognizione intorno ai diritti negati, alla dottrina male intesa, alle asimmetrie discriminanti della fede, ai precetti a uso e consumo, alle perversioni della “cultura”, alla protervia del sistema patriarcale, alla comodità vile di servirsi del pregiudizio a difesa del proprio stato di privilegio. Il “genere” e la “classe” sono due diverse forme di oppressione».
“A casa bambola!” è il primo di una trilogia intitolata “7 note in cerca d’autore” dove la compagnia, dopo Ibsen cercerà il confronto con Pirandello e successivamente Shakespeare.. Venerdì 13 gennaio alle 19 al teatro delle Moline sarà presentato il libro sulla trilogia “Tutto è bene quel che finisce” edito da Titivillus con la studiosa Laura Gemini e il critico teatrale Massimo Marino. Quotidianacom è nata a Rimini per iniziativa di Roberto Scappin e Paola Vannoni. Dal 2008 a oggi hanno prodotto quindici spettacoli. Lo spettacolo va in scena dal martedì al sabato alle ore 21, il mercoledì alle 19,30 e la domenica alle 18,30.
Esattamente negli stessi giorni in quel di Bologna debutto al Teatro Arena del Sole de “Il ritorno del padre”, drammaturgia e regia di Paolo Billi, per il consueto appuntamento con la Compagnia del Pratello, cooperativa sociale nata nel 2007 con l’intento di sviluppare e consolidare il progetto teatrale avviato dieci anni prima dall’associazione Bloom Culture Teatri presso l’istituto penale minorile di Bologna. E’ tra i soci fondatori del Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna e dell’Associazione Nazionale Teatri e Giustizia minorile.
Parte da un incipit del racconto kafkiano “Ritorno” che coincide con quello stesso dello spettacolo (“Sono tornato, ho attraversato l’ingresso e mi guardo intorno”) “Il ritorno alla casa del padre” di Paolo Billi e la Compagnia del Pratello che vede in scena, dal 10 al 15 gennaio, al Teatro Arena del Sole, otto ragazzi in carico ai Servizi di Giustizia minorile: Mouad, Ralph, Elhadji, Ervisi, Hamed, Hamza, Lorenzo e Rayen, insieme a tre studentesse del Liceo Laura Bassi e ad alcuni giovani attori. Le scene di Irene Ferrari sono state realizzate durante un laboratorio con i ragazzi dell’Area Penale Esterna. L’allestimento _ che raccoglie echi dai “Karamazov” di Dostoevskij e dalla parabola lucana del “figliol prodigo” _ fotografa tre fratelli intenti ad onorare la memoria del padre esplorando il tema del “perdono”. In questo la pièce affronta _ dice Paolo Billi _ la paternità da tante prospettive per lo più dolorose: padri adulti che si guardano allo specchio; donne che si interrogano come figlie; ragazze di fronte allo smarrimento dei padri; padri che non lasciano alcuna eredità da tradire ai figli; le orme dei figli che disegnano vie; il padre che riabbraccia e perdona il figlio senza nulla chiedere. E infine i figli che tornano alla casa del padre. Ma è tutto un sogno? Il padre sta in mezzo a noi, aspetta sorridente il ritorno: l’eredità non l’ha lasciata, l’ha divisa in vita, liberandosi così dalla morte».
“Il ritorno alla casa del Padre” è inserito nel progetto Stanze di Teatro Carcere del Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna che vede, nel trennio 2022-2024, sette registi impegnati in altrettanti carceri della Regione /Forlì, Ferrara, Modena, Castelfranco Emilia, Ravenna, Parma, Bologna, Reggio Emilia e presso i servizi di Giustizia minorile sul tema”Miti e utopie: errare, perdono, comunità”.
Sempre nel Teatro Arena del Sole, Josef Nadj, coreografo e danzatore nato in Serbia ma di origine ungherese, da tempo residente in Francia dove è stato dal 1995 al 2016 direttore del Centre Chorégraphique National d’Orléans, è protagonista dal 17 al 19 gennaio con due creazioni. La prima è “Mnèmosyne”, un progetto di fotografia e performance nella sala Thierry Salmon martedì, mercoledì e givedì in tre turni di venti minuti ciascuno: ore 17,30, 19,30 e 21,30. “Omna” invece sarà ospitato il 20 gennaio alle 20,30 nella sala Leo De Berardinis e dal Teatro Bonci di Cesena il 22 gennaio alle ore 16. In “Mnémosyne” dentro “Dentro una suggestiva camera oscura costellata di immagini che raccontano la storia personale e artistica dell’autore, lo spettatore assiste ad un’azione che accade al buio, in cui ogni movimento entra in dialogo con gli scatti esposti. Ciascuna immagine nasconde in sé un ricordo, noto solo a lui, e la scena è costellata da oggetti selezionati per il loro potere suggestivo, un patrimonio di memoria che non smette di ispirarlo. In omaggio all’”Atlante incompiuto” dello storico dell’arte tedesco Aby Warburg, Nadj anima una conversazione intima con il visitatore, instaurando una relazione speciale tra il corpo, lo sguardo e il luogo che la ospita”. “Omna” invece è l’ultimo lavoro di Nadj creato assieme a otto danzatori provenienti dal Mali, Senegal, Costa Ivoriana, Bukina Faso e i due Congo. I performer, sempre in scena, formano un corpo plurale in cui ognuno afferma il proprio linguaggio e la propria identità: un movimento come esperienza di scambio, un ipnotico loop tra gruppo e individuo, in cui la danza è intesa come lingua universale nata insieme all’umanità, strumento primordiale capace di farci ritrovare le origini stesse dell’umano.
Spostandosi più a Nord si approda a Torino dove in prima nazionale alle Fonderie Limone di Moncalieri dal 10 al 22 gennaio debutta “Antigone e i suoi fratelli”, tratto dalla tragedia di Sofocle e dove Gabriele Vacis firma adattamento e regia. In scena sono gli attori della compagnia Pem (Potenziali Evocati Multimediali): Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Chiara Dello Iacovo, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Daniel Santantonio, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera, Giacomo Zandonà. Scenofonia e ambienti sono di Roberto Tarasco, la pedagogia dell’azione e della relazione è di Barbara Bonriposi, il dramaturg è Glen Blackhall, suono Riccardo Di Gianni. Ricerca una “sostanza pesante della fraternità” Vacis che racconta come questo in realtà non sia una messa in scena del testo di Sofocle bensì la storia di un personaggio che attraversa i classici della tragedia: da “Sette a Tebe” di Eschilo fino a “Fenicie” di Euripide e dove Antigone “assume una profondità nel rapporto con i fratelli, Eteocle, Polinice e Ismene”. Lo spettacolo è anche e soprattutto una occasione per riflettere oltre alla fraternità su due altri valori della civiltà occidentale: libertà ed eguaglianza. Queste, se non sono unite agli ideali di fraternità possono causare guerre. Così si chiede ancora Gabriele Vacis:” Cosa significa quindi essere fratelli? Sarà la ricomposizione di fratellanza con libertà e uguaglianza a garantirci i prossimi settanta o ottant’anni di pace? Antigone e i suoi fratelli sarà uno spettacolo di giovani. I ragazzi che si sono diplomati alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino si sono costituiti in una compagnia che si chiama Potenziali Evocati Multimediali. Saranno loro i protagonisti dello spettacolo, ragazzi come Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice, alle prese con un futuro complicato ma con una gran voglia di restare vivi». Venerdì 13 alle 17 presso Binaria/Gruppo Abele, Gabriele Vacis racconterà lo spettacolo “Antigone e i suoi fratelli”.
Ancora a Torino, sempre per iniziativa del Teatro Stabile/Teatro Nazionale, un altro debutto di segno classico. Si tratta di “Otello” di William Shakespeare, nella traduzione di Emilio e Giovanna Cecchi, prodotto da Progetto U.R.TR. E dallo stesso Stabile, diretto e interpretato da Jurij Ferrini dal 10 gennaio al 5 febbraio al teatro Gobetti con Rebecca Rossetti, Paolo Arlenghi, Sonia Guarino, Maria Rita Lo Destro, Agnese Mercati, Federico Palumeri, Stefano Paradisi, Michele Puleio. Le scene sono di Jacopo Valsania, che ha curato anche le luci con Gian Andrea Francescutti, mentre i costumi sono di Agostino Porchietto, e il suono di Gian Andrea Francescutti. “Nella mia immaginazione _ scrive Ferrini nelle sue note di regia _ la storia del nero Otello diventa la storia d’amore di un generale delle forze armate occidentali, di stanza con le sue truppe a presidiare una esotica e meravigliosa isola (Cipro nell’originale) per difenderla da forze nemiche mediorientali (i Turchi), accompagnato al fronte dalla sua splendida moglie, una donna bellissima, giovanissima, estremamente libera ed intelligente, (Desdemona) che lo ama profondamente contro tutti i pregiudizi di una società ancora fortemente razzista – come in parte lo è ancora la nostra, del resto – e da un suo ufficiale, un uomo di cui si fida moltissimo (Iago), altrettanto intelligente, del tutto affidabile in apparenza e votato, nel suo intimo, ad un oscuro nichilismo e alla distruzione di ogni istinto vitale”.
E’ una produzione del Teatro Metastasio di Prato, “La stoffa dei sogni” di Armando Pirozzi, spettacolo di Massimiliano Civica con Renato Carpentieri, Vincenzo Abbata e Maria Vittoria Argenti in scena al Metastasio dal 24 al 29 gennaio. Atto unico con tre personaggi racconta di un cabarettista di lunga carriera che va a trovare sua figlia, con cui non corre buon sangue, accompagnato dal giovane compagno di scena nonché suo allievo. Il focus del testo è sulla relazione tra padre e figli e quella “forse paradossalmente più tenace tra maestro e allievo” come osserva Pirozzi che invita a concentrarsi sul “rapporto quasi fanatico dell’uomo di teatro con la sua professione-ossessione fatto di rinuncia spietate e di sogni maestosi, alla ricerca costante di una misteriosa magia”. Per il regista Massimiliano Civica invece “Il protagonista de “La stoffa dei sogni” è un vecchio attore che invece sull’isola della fantasia ha voluto passare tutta la vita, sperando di conquistare il centro della “scena”, fuggendo via dalle noie, dalle responsabilità e dai compromessi che vivere accanto agli altri, nella realtà, comporta. Sogno e bugia _ riflette Civica _hanno una stoffa comune e la fantasia è insieme spinta a immaginare nuove possibilità e fuga dalla vita così com’è. L’artista, il sognatore e il bugiardo non si arrendono alla realtà: un gesto in bilico tra grandiosità e vigliaccheria, tra pieno e vuoto, tra riscatto e rinuncia”.
L’anno nuovo dell’Altrove Teatro Studio di Roma si apre dal 13 al 15 gennaio con “Sonata a Kreutzer” con Marco Grossi autore anche della regia. Basato sul racconto dello scrittore russo Lev Tolstoj, lo spettacolo è una riflessione sul tema della violenza di genere, dalla parte del carnefice, ma soprattutto vuole, attraverso il racconto scenico, “restituire un’accurata radiografia dell’animo umano, puntando inizialmente a creare un rapporto di compassione e di immedesimazione con il personaggio del carnefice al fine di rendere ancora più evidente, man mano che si dipana la vicenda, la follia di cui si rende tragico autore”.
Prodotto dal Teatro Nazionale di Genova, e dopo il successo della scorsa stagione è in scena fino all’8 gennaio al Piccolo di Milano “La mia vita raccontata male” , “ironica autofiction” generazionale di Francesco Piccolo interpretato da Claudio Bisio, regia di Giorgio Gallione con il quale Bisio è legato da un rapporto di collaborazione ultra ventennale. Accompagnato dalle musiche di Paolo Silvestri eseguite dal vivo dai chitarristi Marco Bianchi e Pietro Guarracino, Bisio è inserito in un divertente rapporto con gli spettatori. Non segue una precisa cronologia “La mia vita raccontata male” e la storia segue il protagonista “avanti e indietro negli anni, raccontando con ironia quegli episodi che a volte sembrano ininfluenti e che inaspettatamente diventano momenti cruciali della nostra crescita”. “La mia vita raccontata male sarà replicato nel corso di una lunga tournèe: al teatro Ivo Chiesa di Genova, dal 15 al 22 febbraio; al Teatro Mario del Monaco di Treviso , dal 24 al 26 febbraio, il 27 e 28 febbraio al Comunale di Bolzano, dal 2 al 5 al Teatro Sociale di Trento, il 7 e 8 marzo al Comunale di Castiglioncello, il 9 al Verdi di Santa Croce sull’Arno, dal 10 al 12 al Teatro del Giglio di Lucca, il 14 e15 al Politeama di Prato, il 16 al Moderno di Grosseto, il 18 e 19 al Teatro Gesualdo di Avellino, dal 21 al 26 marzo al Bellini di Napoli, il 28 marzo al Teatro dei Marsi ad Avezzano e dal 30 marzo al 6 aprile al Brancaccio di Roma.
Ed in tournèe va anche uno degli spettacoli più interessanti e stimolanti della nuova stagione. La “Maria Stuarda” di Friedrich Schiller con la regia di David Livermore ( qui la recensione: https://www.glistatigenerali.com/teatro/maria-stuarda-un-angelo-del-destino-per-due-regine/ ) nelle piazze italiane con l’interpretazione di Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi.
Le attrici Marinoni e Pozzi “si alternano nella parte di Maria Stuarda ed Elisabetta I, grazie a un gioco teatrale che si svolge nel prologo: così come il destino decide delle nostre vite, una piuma lasciata cadere da un angelo deciderà sera per sera chi delle due attrici sarà la regina destinata a regnare e quella destinata a perire. Gaia Aprea, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi e Sax Nicosia saranno invece impegnati su più ruoli per dare vita a una corte fatta di funzionari, spie, amanti, fedeli servitori o doppiogiochisti, permettendo una messa in scena pressoché integrale del testo, presentato nella nuova traduzione di Carlo Sciaccaluga”.
Lo spettacolo “Maria Stuarda” prodotto dal Teatro Nazionale di Genova con il Teatro Stabile di Torino e il CTB, Centro Teatrale Bresciano sarà dall’11 al 15 gennaio al Teatro Sociale di Brescia, il 17 al Nuovo di San Marino, dal 19 al 22 gennaio al Teatro Rossetti di Trieste, dal 24 gennaio al 5 febbraio al Carignano di Torino, dall’8 al 12 di febbraio al Verdi di Padova, il 14 e 15 alla Sala LAC di Lugano, dal 17 al 19 febbraio al Fraschini di Pavia, dal 21 al 26 febbraio al Donizetti di Bergamo.
Il 12 gennaio è anche la data di inizio di “Scena Nostra” la stagione del contemporaneo che si tiene a Palermo nello Spazio Franco dei Cantieri Culturali della Zisa. Diretta da Giuseppe Provinzano presenta dieci spettacoli fino al 19 maggio con protagonisti della scena nazionale, da Saverio La Ruina a Lucia Calamaro, le nuove generazioni: da Barbe a papa teatro a Giada Baiamonte, da Condorelli/Tringali a Tony Clifton Circus, la danza di Muscarello/Velardi e la presenza del drammaturgo Rosario Palazzolo. La stagione è segnata anche dal riconoscimento di Regione e Mibac del programma di residenze artistiche da sempre momento centrale dello Spazio Franco che è nato come laboratorio aperto e permanente. Il cartellone offre quindi una programmazione che offre _ come ha osservato Giuseppe Provinzano direttore artistico dello Spazio e del Mercurio festival in forte crescita _ ai tanti progetti di residenze l’opportunità di debuttare dando “dando priorità alle esigenze di creazione piuttosto che a quelle di programmazione e, di contro, porsi in ascolto con quei tanti artisti, protagonisti della scena contemporanea nazionale ma che a Palermo, non trovano uno spazio di rappresentazione”.
Il via il 12 (e repliche anche il 13 e 14 con “Eppideis” di Rosario Palazzolo con Silvio Laviano, scene e costumi di Mela dell’Erba e musiche di Gianluca Misiti. Una pièce atipica che coinvolge lo spettatore per interrogarsi “sulle sfaccettature delle realtà, sulla capacità di adattamento delle nostre manie, le reazioni alla vita e ai propri fallimenti, e la creazioni di mondi immaginari in cui rifugiarsi”.
Saviero La Ruina in “Via del Popolo”, ultima produzione di Scena verticale è il protagonista delle serate dal 27 al 29 gennaio. Il 10 e 11 febbraio è la volta di Lucia Calamaro con “Darwin inconsolabile”. Spazio al focus sulle nuove generazioni dal 24 al 26 febbraio con “L’arte della resistenza” di Barbe a papa teatro diretta da Claudio Zappalà, talento della Scuola del Teatro Biondo diretta da Emma Dante. Mana Chuma Teatro, vincitrice del premio ANCT nel 2019(10 e11 marzo) presenta “Quanto resta della notte”. La compagnia è impegnata nell’ambito della nuova drammaturgia e del teatro civile. Sulla stessa linea anche Gaia Baiamonte, giovane autrice palermitana che dal 5 al 7 aprile mostra “Totò e la sua radiolina”.
La Compagnia Condorelli/Tringali proveniente da Noto propone invece “Achille_ studio sulla fragilità umana” (4 e 5 maggio). Giuseppe Muscarello e Giovanna Velardi (21 e 22 aprile) dopo quindici anni riprendono il loro fortunato “Clown”. Sipario il 19 maggio con il Tony Clifton Circus, compagnia romana fondata da Nicola Danesi De Luca e Iacopo Fulgi con lo spettacolo “Rubbish Rabbit”, “uno “spettacolo anarchico”, un frenetico e travolgente gioco teatrale in cui parole e gesti si rincorrono a perdifiato, passando dalla pura demenzialità all’eleganza poetica, il tutto condito da un’ironia tagliente, solo apparentemente fatta di “no sense”. Infine divertimento con il circo a Firenze con alcune delle top star della pregiata compagnia del Cirque du Soleil e le Nouveau Cirque riunite nella compagnia Le Cirque World’s Top in “Tilt” collaudato show diretto da Anatolly Zalevskyy _ protagonista anche in palcoscenico _ sino all’8 gennaio al Tuscany Hall di via Fabrizio De Andrè, angolo Lungarno Aldo Moro, in azione per un allestimento ispirato a “Ready Player One” di Spielberg anche la coppia Skating Jasters, provenienti da Le Cirque du Soleil con le loro acrobatiche evoluzioni ai pattini a rotelle. Con loro anche l’aerealista Aurelie Dauphin, il team acrobatico Rizoma e Riccardo Forte .
“Gaetano Cosìcomè” o la vicenda di un uomo che rivendica diritti e giustizia per la propria persona. Senza maschere e infingimenti. Gaetano che ha scelto di andare all’estero per vivere in libertà le proprie scelte e il diritto ad esistere. Storia di un uomo qualunque del nostro tempo. Figlio di una società in eterno ritardo sul riconoscimento degli spazi di libertà. A incominciare dalla famiglia, dove si scontano incomprensioni e repressioni da medioevo. Sono anche storie di solitudini quella di persone come Gaetano in continua lotta, quelle che racconta nel testo omonimo di Salvatore Rizzo, prodotto dal Teatro Nazionale di Napoli, in scena al Ridotto del Mercadante di Napoli, dal 12 al 22 gennaio con Filippo Luna e la regia di Vincenzo Pirrotta. Musiche di Maurizio Capone e scene di Marianna Antonelli. Luci di Ciro Petrillo. Scrive Rizzo che “Gaetano vuole affermare il suo diritto ad essere quel che è anche all’origine, con chi l’ha messo al mondo Cosìcomè, vuol sbriciolare a casa sua quel muro d’estraneità che avverte ancora a casa d’altri, lì dove da tempo vive, nello sforzo quotidiano di integrarsi. Se i diritti, anche quelli acquisiti, oggi sono a rischio di scricchiolìo, Gaetano vuole inchiodarli saldamente alla vita attraverso le assi del palcoscenico”. Per il regista Pirrotta questa vicenda “È una colluttazione con i suoi ricordi e con se stesso che Gaetano vive come una passione, un viaggio doloroso, che gli fa urlare, dentro quella tana in cui si è rifugiato e in cui si nasconde, tutta la sua rabbia e il suo pianto. E’ in quel luogo fatto di frammenti di specchi e trame di un sistema nervoso pulsante e in subbuglio che incarna i suoi rimorsi e tutti i fantasmi di cui finalmente decide di liberarsi”.
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