Teatro
Teatro, le prime di Calderòn a Genova e di “Frankenstein” a Bologna
Prime da non perdere questa settimana tra Genova e Bologna. Ad aprire la stagione del Teatro nazionale di Genova un classico assoluto, “La vida es sueño” del grande Calderòn de La Barca in scena dal 12 al 15 al Teatro Gustavo Modena. Lo spettacolo arriva per la sola data italiana nell’adattamento inventato dal famoso regista inglese Declan Donnelan con lo scenografo e costumista Nick Ormerod. Ad interpretare questo capolavoro di teatro saranno gli attori della Compañia Nacional de Teatro Clásico di Madrid da un grande evento internazionale, che unisce Gran Bretagna, Spagna, Francia e Italia e vede il Teatro Nazionale di Genova tra i coproduttori. Tra questi attori vanno assolutamente ricordati: Ernesto Arias, Alfredo Noval e Irene Serrano. Il testo scritto da Calderòn De La Barca nel 1635 è da considerarsi come uno dei più belli e coinvolgenti testi di teatro. Già nel titolo si pone la grande questione filosofica, e non solo: cosa è la realtà? Il quesito viene affrontato affrontando il tema del sogno. Per Calderón, protagonista del periodo de El siglo de oro, animato da autori come Lope de Vega, Tirso da Molina o Cervantes, significava “fare i conti con la coscienza, la sensibilità, con tutto ciò che nascondiamo negli oscuri anfratti nella nostra identità. E “La vida es sueño” ne è emblematica dimostrazione”.
Tanti i rimandi alla tragedia classica greca: la storia di un principe esiliato dalla comunità, di un vaticinio e di una maledizione, di identità nascoste e poi svelate, la lotta per il potere: sono temi cari al barocco, ma oggi più che mai attuali. “Nell’epoca delle fake news, confrontarsi con il capolavoro di Calderón significa anche chiedersi quale sia il confine, sottile, tra verità e menzogna, tra luci e ombre, tra libertà e inconscio”. A portare in scena questo straordinario testo, coprodotto dal Teatro di Genova è il regista inglese Declan Donellan, premiato alla Biennale di Venezia con il Leone d’oro, nel 2016. Dice Donnelan a proposito: “Shakespeare, Sofocle, Calderón…I classici resistono al tempo perché continuano a parlare di adesso. Indagano la nostra vita, i nostri autoinganni e le nostre conquiste. Fare o Essere? Calderón suggerisce che la nostra principale paura non è la morte, ma il non-esistere, che è cosa completamente diversa. Ci chiede se il vero motivo per cui facciamo le cose non è tanto perché vogliamo farle, ma solo per dimostrare che esistiamo”. Interpreti: Ernesto Arias, Prince Ezeanyim, Rebeca Matellán, Manuel Moya, Alfredo Noval, Goizalde Núñez, Antonio Prieto, Ángel Ruiz, Irene Serrano.
Oggetto di studio e di lavoro della compagnia dei Motus è stato nell’ultimo anno il celebre romanzo di Mary Shelley, “Frankenstein” che debutta il 13 e 14 ottobre all’Arena del Sole di Bologna, inaugurando così la Stagione teatrale del Teatro Nazionale di Bologna. Diretto da Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande in scena assieme all’attrice e performer Silvia Calderoni e l’attrice greca Alexia Sarantopoulou, drammaturgia a cura di Ilenia Caleo. Lo spettacolo è prodotto dagli stessi Motus con Emilia Romagna Ert/Teatro Nazionale, Festival delle Colline Torinesi, Kunstencentrum Viernulvier e Kamnagel. Con la realizzazione di questo allestimento i Motus si avvicina “a uno dei personaggi più inquietanti della letteratura europea, emblema della diversità e del pregiudizio umano. La figura della “progenie mostruosa” che l’autrice ha ideato per prima, fondando di fatto il romanzo fantascientifico, è stata poi anche un simbolo fecondo per molti studiosi della filosofia postumana, sul confine pericoloso tra umano e artificiale”.
Cosi raccontano i due registi di Motus Nicolò e Casagrande: “Un progetto mostruoso, composto dalla cucitura di diversi episodi e dal desiderio di ridare vita all’inanimato, galvanizzandolo, scomponendo e ricomponendone pezzi letterari. Uno spettacolo su Frankenstein che è esso stesso (un) Frankenstein. Non siamo entrati nella narrazione dei passaggi complessi e dolorosi del romanzo epistolare, ma ne abbiamo distillato solo frammenti/monologhi legati alle tre esistenze, compresa quella di Mary Shelley, perché tanto delle vicende biografiche (e tragiche) del suo passato hanno influito sulla nascita di quest’opera/mostro, che abbiamo ibridato anche con visioni scientifico-antropologiche e fantascientifiche, nel lavoro di riscrittura con Ilenia Caleo, con le voci di tante studiose contemporanee, da Donna Haraway e Ursula Le Guin, a Lynn Margulis.”
Al centro dell’allestimento “gli interrogativi della creatura senza nome e la sua percezione del mondo degli Altri, degli umani sempre più insensibili e crudeli verso le persone “non conformi”, sino -concludono Nicolò e Casagrande – alla lenta presa di coscienza del fatto che il non possedere né denaro, né amici, né proprietà di alcun genere la relegavano alla sfera degli esclusi, dei maledetti, dei senza nome, appunto”.
In “Frankenstein (a love story)” il mostro e l’orrore esistono nel corpo, mentre in altri romanzi gotici è il luogo a provocare la paura, qui è la fisicità: «Frankenstein _ spiegano ancora i registi _rende la carne stessa gotica e Shelley, quindi, traccia una nuova geografia del terrore».
I personaggi in scena, sono quelli di “Mary Shelley ovvero la creatrice, Victor ovvero il creatore, il mostro, che la compagnia definisce la Creatura, immaginandola al femminile – «perché in realtà incarna tutte le fragilità e contraddizioni che all’epoca della scrittura del romanzo erano pregiudizialmente attribuite alle donne» -, compaiono in uno spazio asettico e vuoto, un’immagine fantasmatica. Ghiaccio e bianco a perdita d’occhio, un paesaggio straniante e doloroso in cui la natura è in tumulto, in tempesta, non ha niente di idilliaco”. E così sono apparsi in una notte d’estate ad agosto, nel centro della Sardegna al Nur festival allestito dal Crogiuolo nell’importante sito di Arco e is Forros di Villagrande. Personaggi e vicissitudini raccontate dal vivo dai Motus davanti ad un pubblico rapito. Una straordinaria e unica mise en space con una straordinaria, come sempre Silvia Calderoni assieme ad Enrico Casagrande. Un’anticipazione con il sapore magico dell’unicità.
Così la compagnia spiega i diversi personaggi del lavoro teatrale: Mary Shelley è la prima figurazione mostruosa, narratrice ma lei stessa mostro, perché mostruosa è la sua immaginazione, un’immaginazione giovane e prodigiosa, di adolescente. Victor Frankenstein è una figura pienamente ottocentesca, che vuole possedere, conquistare e governare le forze della Natura, ma ne è sopraffatto. La Creatura è una figura senza potere, fuori posto e fragile, “un ibrido” che sta sul confine tra mondi, come i mostri, proprio lì dove non dovrebbe esistere.Tre solitudini radicali che si intrecciano”. Il progetto di ricerca dei Motus conoscerà dopo l’allestimento di “Frankenstein (a love story)” un’altra fase: la creazione nel 2024 del film “Frankenstein (a history of hate)”.
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