Teatro
Teatro, le Albe, gli spettatori erranti e Don Chisciotte
RAVENNA – Con le Albe non si può stare tranquilli. Quando uno spettatore pensa, o si illude, di aver intrapreso un condivisibile percorso di visione questi teatranti stravolgono il piano mettendo di mira altri obiettivi e territori da esplorare. La condotta resta in ogni caso sempre e indiscutibilmente politica. Ispirata cioè a una visione del mondo in movimento, fatta di antagonismi e conflitti, ostacoli da affrontare e superare e non solo individualmente. Anche perché, come suggerisce un interrogativo di Majakovskij che da tempo li appartiene e guida: “che senso ha se solo tu ti salvi?” Queste considerazioni arrivano all’indomani della seconda anta del “Don Chisciotte ad ardere”, allestimento firmato per la regia da Ermanna Montanari e Marco Martinelli, co-prodotto da Ravenna Festival e rappresentato nella città romagnola fino al 7 luglio. Questa anta segue naturalmente l’eccitante debutto della scorsa estate, concentrato sulle visioni e la restituzione pubblica di una originale lettura spettacolare del romanzo dello scrittore spagnolo Miguel de Cervantes. Montato scenograficamente dentro le stanze del Palazzo Malagola, nella Prima Parte – alla fine sarà un racconto in tre tomi – si viene presi per mano lungo un reticolo di passaggi e apparizioni-visioni come si stesse dentro un racconto di Katsuhiro Otomo. Immagini evocative e simboliche, piccole azioni poetiche di geni esorcizzati da una nascosta lampada delle meraviglie che lasciano il posto a scene corali e in movimento con i cittadini-attori, musica rock dal vivo, incontri eccezionali, lunatici o folli proclami e, infine azioni definitive come quella di bruciare i libri, cancellando sapere e libertà. Così si chiuse lo scorso anno – e fin qui replicato esattamente anche questa edizione- con il rogo dei libri nel cortile del Palazzo e il monito di Hermanita, la “maga che imbroglia i fili” (Montanari) di fuggire lontano.
“Scapì
Scapì intant ca putì
Scapì in tal ter!”
Così esorta Hermanita:
“Si comincia col bruciare la carta
Si finisce per bruciare la carne!
Si comincia con un rogo di libri
Si finisce con un rogo di donne, uomini, bambini!
Scapì Scapì”…
Mentre le pagine dei libri vanno in fumo un corteo di spettatori erranti guidati da Marcus ( “il mago che insegue i fili”, cioè Martinelli) abbandona il giardino e si dirige alla tappa successiva, incontrando prima un artista che disegna sui muri gli astri del cielo e poi le rovine del Palazzo di Teodorico.
O meglio quello che resta di una antica costruzione accanto alla Basilica di Sant’Apollinare (sono i resti murari di un corpo di guardia che introduceva a un palazzo andato distrutto). E qui lo spettacolo del teatro delle Albe vira in un apparente cambiamento di rotta. D’altra parte siamo giunti “nel mezzo del cammin” : non è forse necessario prima di attraversare il guado verso l’ultima sezione, ridefinire gli spazi, aggiornare i ruoli e cambiare prospettiva? O semplicemente riflettere prima di ripartire.
Dopo la straordinaria realizzazione negli anni scorsi, sempre a Ravenna, di quell’esaltante tableau popolare che fu la “Divina Commedia” di Dante Alighieri con la realizzazione delle tre memorabili cantiche c’è forse il rischio che possano diventare una sorta di format da replicare? La realtà è che le Albe hanno bisogno di rallentare per guardarsi dentro.
Già il cambio di scene è eloquente. Si entra in piena notte, sotto le stelle, in punta di piedi tra mura in rovina, luce fioca e un grande braciere ad un lato dove ardono tizzoni di legna che con i loro bagliori distorcono in modo sinistro l’ombra dei tre attori che reggono i ruoli di Don Chisciotte, Dulcinea e Sancio Panza. Roberto del Castillo, Laura Ross de la Briansa e Aleandro Argnàn de Puerto Foras.
Sul prato un gruppo di adolescenti. Qualcuno è sdraiato, c’è chi controlla il cellulare, altri parlottano fitto. Scompaiono appena entra Marcus ad occupare il centro della scena. Qui è il primo segnale di un’operazione a cuore aperto in cui si chiede conto a sé stessi della propria esistenza, come teatranti e come uomini. Domande su come si intreccia la quotidianità di chi sta sulla scena e si condivide con il proprio pubblico. Teatro nel teatro come scatole cinesi. Dice Marcus :
“Ora, erranti, non fatemi spiegare, vi prego
che piega stia prendendo la vicenda!
La piega non si spiega
la piega si ripiega, con pazienza
la piega, semmai, si dispiega
si curva e si ricurva, all’Infinito.
Capite?….”
Il gioco si fa più ardito. Finisce dritto dritto nelle coscienze. Si scaccia con fastidio un filo d’erba che impedisce di guardare…
“… qui, tra un po’
i drammi saran ben altri
che anche qui
in questa parte di mondo
dove ci siamo illusi
non ci fosse che pace
per mezzo secolo e più…
eh sì
tutti si erano illusi
a farsi gli aperitivi
e apericena
e seratine in serie sul divano
e gitarelle all’iper…
E invece anche qui
in questa parte di mondo
incombe la tragedia
qui tra un po’
ci tirano le bombe
ci fanno a pezzettini
fanno di noi poltiglia
ci fan saltare per aria!”
Si sveglia! Siamo nel 2024.
Forse occorrerebbe scoprire o inventare nuove parole per leggere, capire e comunicare questa quotidianità, d’altra parte una delle ricerche prioritarie per un teatro come quello delle Albe che vuole indagare e capire i Mutamenti mentre le linee di frattura con il passato stanno generando disorientamento. Portano in campo novità dolorose a cui, soprattutto in Europa non eravamo più abituati. La guerra in primis. Terribile. Dai contorni tribali mossa da un imperialismo straccione e sanguinario dal nazista di turno. E intanto sta franando la terra sotto i piedi. Nelle nostre case, sotto i tavoli dei nostri pub, le panche delle nostre chiese…
Un salto temporale e dal 2024 … via siamo di ritorno nel 1616.
E “Il mondo sta/ come è stato per millenni: un fuoco, e noi lì attorno”.
In questo momento di pausa e di passaggio inevitabilmente emergono strappi e differenze tra chi sta costruendo in scena un percorso tra teatro e letteratura. Screzi, smagliature e fratture di piccoli eroi. Roberto Del Castillo è insofferente di Sancio perché non tiene il ritmo giusto. Quest’ultimo vorrebbe magari un auricolare così non dimenticherà le battute… E poi è impossibile provare a recitare in spagnolo. Aleandro sognava di fare il fornaio per cucinare tante leccornie. Ma Roberto del Castillo mette in guardia: è “…..vanto dei cavalieri erranti star senza mangiare per un mese…”. Del Castillo attacca i suoi: Laura “non sa variare un tono”. E lei: “Io sono Dulcinea, luce della poesia…” . “Ma stai zitta”. “E anche tu fornaio mancato”. E poi aggiunge l’attore che veste i panni di Don Chisciotte: …”le donne non devono pensare, le donne non devono intuire, né fare finta di usare la testa. Lo volete sapere? Sono buone per il letto, punto”. Poi rivolto a entrambi: “Non è posto per voi il palcoscenico!”. Laura di rimando: “un mediocre e arrogante Don Giovanni da bar”…Fortuna che ci sono i maghi che hanno il potere di sospendere le risse e far trovare la via delle scuse.
Lo spettacolo riprende il suo corso.
Spetta a Hermanita annunciare l’arrivo della Bambina senza nome.
Racconta come è stata rapita a tredici anni, stuprata, violentata e mandata in un bordello a prostituirsi.
Dice Hermanita. “Porta il nome di tutte! Viene dall’India, viene dal Nepal che importa. Da un villaggio sperduto dell’Africa, Viene dalla Grande Moldavia, dal Kosovo. Dall’immensità sterminata della terra… Cammina come uno spettro sulle vie che portano a Roma, la Salaria, all’Appia, la Tuscolana. E’ uno straccetto afferrato e poi buttato via nella desolazione di questo mondo”.
La bambina parla con voce spezzata raccontando di un incubo vissuto che non fa più notizia nei telegiornali della sera. Ripudiata dal padre riprende la via della strada. Belgio, Italia, Torino, Amsterdam e Marsiglia, dove partorisce una bambina. Neppure stavolta il padre la riaccoglie in casa.
“Ora giaccio sul fondo di un lago. Io e la mia bambina. Invisibile ai vostri occhi e a quelli del mondo. Da qui il cielo non si vede. Non vedo le nuvole”.
Sancio aggiunge legna al braciere affinché non si spenga la memoria della bambina senza nome mentre Don Chisciotte e Dulcinea fanno strada guidando gli erranti verso la soglia ultima del viaggio.
La seconda anta di questo “Don Chisciotte ad Ardere” è finita. Eppure nel cuore vibra ancora la domanda che Marcus ha rivolto agli erranti: “Cosa ci faccio qui? Cosa ci faccio in questa latrina di mondo, nato per Caso in quel posto o in quell’altro, in un palazzo signorile o in una baracca di lamiera, con questa faccia e questo corpo, a recitare questa o quella parte, ricco sfondato o miserabile, santo o assassino, Don Chisciotte o Don Giovanni, arriva sempre il momento in cui la maschera cade, e siamo travolti da un branco di bestie sataniche che ci urlano nelle orecchie, iene e lupi feroci che son lì lì per divorarci, e allora non ci crediamo più….”
Ancora da Majakowskji:
“Non occorrono né parole né preghiere.
Che senso ha, se tu solo ti salvi?!
Voglio salvezza per tutta la terra priva d’amore,
per tutta la folla umana del mondo.
Stò qui da sette anni e rimarrò altri duecento,
inchiodato ad aspettare questo”.
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