Teatro

Teatro, il ritorno dei Maestri La lezione di Terzopoulos

10 Novembre 2020

Il teatro ha ancora bisogno di Maestri? Da tempo nelle ultime generazioni, a cui è mancata spesso la guida su metodi e linguaggi dell’arte della scena, sono state rilevate carenze di formazione. Mancanza di attrezzi insomma. Poco studio e insufficiente maturità, in progetti anche ambiziosi, possono essere causa di insuccessi e naufragi. A questo si aggiunga pure qualche critico che con troppa leggerezza magari grida al genio laddove ci sono solo qualità da coltivare… e la situazione diventa davvero imbarazzante. Certo, la solitudine in cui spesso si trovano a lavorare i giovani artisti è desolante: pochi i luoghi e le occasioni da dedicare alla conoscenza. Eppure, anche in un’epoca problematica come l’attuale, è di primaria necessità acquisire i fondamentali. Esattamente come chi lavora nei campi apprende quando c’è il tempo della semina e quello del raccolto, anche per chi sceglie il teatro è necessario costruire percorsi di sapere.  E’ in questa fase che sarebbe di grande ausilio incontrare un Maestro: un testimone di vita capace di aiutare con l’esempio ad affinare sapienza e tecniche. Ecco perchè l’uscita di un volume, “Il respiro di Dioniso”, opera dello studioso e critico Andrea Porcheddu (Luca Sossella editore, 224 pagine, 19,40 Euro) dedicato a Theodoros Terzopoulos, una delle più importanti figure della scena del nostro tempo, è da salutare come un salvagente. Lanciato agli appassionati del genere, ma soprattutto ai marinai che devono sfidare i marosi. Quei teatranti cioè che attraverso la lettura di questo volume potranno acquisire informazioni utili seguendo come in un viaggio il filo di una vicenda d’arte e vita tra le più intriganti del nostro tempo.

Le “Baccanti” di Euripide andato in scena a Mosca nel 2015. La regia è di Theodoros Terzopoulos (foto Johanna Weber)

 

E proprio il viaggio è la prima parola chiave di lettura per addentrarci dentro l’opera di questo uomo di teatro che Andrea Porcheddu disegna in modo appassionato e ben documentato in un reportage mai compiuto sinora in Italia, arricchito da inedite suggestioni, in cui alterna in modo non rituale la prima persona a quella dello studioso. Non esitando cioè a mescolare pubblico e privato raccontando con trasporto la scoperta di un teatrante capace di coniugare l’eredità brechtiana con la tragedia antica, grazie a un sapere enciclopedico che da Euripide giunge sino ad Artaud ed oltre. Una esistenza che in sé ha qualcosa di straordinario e in cui calza perfettamente il viaggio come metafora. Inizia settantatré anni fa nel villaggio natale di Makriyalos, nella Grecia del Nord, ai confini con la Macedonia e non lontano da quel monte Olimpo, caro agli antichi dei. Negli stessi luoghi dove Euripide scrisse migliaia di anni prima le “Baccanti”, e più tardi divenuto uno degli spettacoli feticcio di Theodoros, nato in una famiglia di esuli e comunisti che, dopo la cacciata dei nazisti dal suolo greco, è coinvolta nella violenta guerra civile , tra destra e sinistra, durata tre anni (al termine della quale Theodoros ricorda: “dovemmo lavorare nei campi. A cinque anni raccoglievo il tabacco”). Della sua famiglia, definita “un gruppo sociale politicamente e psicologicamente sconfitto” Terzopoulos spiega come stare “sempre dalla parte dei deboli, era quasi una tradizione”. Sul Mar Nero, in Russia o in Turchia, “furono ogni volta scacciati, prima dai turchi, poi dai russi. Eppure, restarono ottimisti, ballavano e cantavano, e amavano la vita. Erano nomadi. Sempre scacciati, sempre in viaggio. Proprio per il fatto che venivano rifiutati, che dovevano viaggiare continuamente, hanno sviluppato una cultura nomade, ricca e diversa – il dialetto del Mar Nero, che noi chiamiamo Pontos, le canzoni russe, la poesia turca, tutto si mescolava”.

Plurilinguismo e multiculturalismo sono così le basi dell’educazione sentimentale del futuro Maestro. Accanto a queste, la cultura classica e popolare: miti e riti di cui si perde l’origine nella notte dei tempi. Quello degli Anastenaria ad esempio, una pratica in onore dei santi Costantino ed Elena che consiste per alcuni fedeli nel camminare a piedi nudi sui carboni ardenti. Una danza sacra collegata allo stato della trance. Tradizioni appartenenti al mondo dell’epica che però spingono il futuro regista ad abbandonare quel mondo lontano dalla modernità, in nome del nomadismo. In una intervista rilasciata al critico tedesco Frank Raddatz, Theodoros sostiene infatti che “Se fossi rimasto avrei abbracciato il folklore, seppure con una vena cosmopolita. È un mix fatale, tipico del mio paese. E invece, una caratteristica del viaggiare è che ti obbliga a cambiare prospettiva. Come un nomade, vai da un luogo all’altro, arrivi a dei confini e devi superarli. In altre parole, il viaggio è un modo per andare oltre se stessi, i propri orizzonti, e i propri limiti”. Il giovane artista impara così il repertorio di danze popolari, frequentando una scuola di teatro amatoriale, ma a diciotto anni, nel 1965, è già ad Atene, per scegliere definitivamente il teatro. Fa politica nel movimento Lambrakis e frequenta la “Michailidis Drama School” influenzato dal docente Giorgios Sevastikoglu. Dopo il servizio militare (1971) si sposta in Europa. Bruxelles, Stoccolma, finchè approda a Berlino Est dove entra in contatto con il Berliner Ensemble. Sono anni intensi per il giovane teatrante segnati da incontri importanti come quello con il drammaturgo e regista Heiner Muller al quale si legherà con un solido rapporto d’arte e amicizia. Nel 1976, alla caduta del regime fascista dei Colonnelli in Grecia,Terzopoulos si stabilisce a Salonicco per collaborare con la compagnia Teatriko Ergastiri. Dopo alcuni successi riprende a viaggiare: Giappone, Cina e New York. In America gli giunge la richiesta di dirigere il festival di Delfi. Qui chiamerà attorno a sé il meglio della scena internazionale da Muller a Bob Wilson. Durante un worshop sulle “Baccanti” (1985) nasce l’idea di fondare l’Attis Theatre. Porcheddu segnala come quello sia il vero momento della svolta teatrale di Terzopoulos: l’incontro con la tragedia greca e in particolare con Le Baccanti, la tragedia che Euripide aveva scritto nelle terre d’infanzia del regista. “Le Baccanti sarà un eterno ritorno a casa, un viaggio che guarda al passato volando, come l’Angelus Novus di Benjamin, verso il futuro. A partire da quel laboratorio del 1985, Le Baccanti sarà il testo nodale nel percorso creativo del maestro greco” .  L’approdo per l’Attis sarà in una zona popolare di Atene, nel quartiere Metaxougeio dove la compagnia con il tempo diventerà un punto di riferimento “imprescindibile della vita culturale ateniese e greca”. Nel 1990 è tra i fondatori dell’Istituto del Teatro del Mediterraneo. Tre anni dopo dà vita alle Olimpiadi del Teatro, festival di respiro mondiale. Centinaia sono gli spettacoli realizzati da Terzopoulos che viene chiamato in tutto il mondo. Dalle grandi città ai piccoli centri.

“Antigone” di Sofocle, rappresentato dall’Attis Theatre  il 2015 a Philadelphia. Regia di Theodoros Terzopoulos (foto Johanna Weber)

Una esistenza come quella dell’uomo di teatro greco suggerisce percorsi differenti: dal mito si arriva alla storia, dalla filosofia alla politica, dall’antropologia alla poesia. Una vita coincidente con il teatro stesso. Conosce e indaga le trame più nascoste e oscure della tragedia impadronendosi delle lontane origini allo scopo di restituire per immagini di notevole potenza visionaria una lettura affilata e senza compromessi della nostra contemporaneità. Come scrive Claudio De Longhi nella sua prefazione a “Il respiro di Dioniso” quella di Terzopoulos è “una ricerca ostinata di memoria e di futuro”. Necessario darne conto e raccontarlo questo viaggio proprio perchè, come dice lo stesso Autore nella introduzione “il teatro di Terzopoulos è qualcosa che avvolge e travolge, che incanta e spaventa, che commuove. Che tocca, insomma, gli strati più profondi, archetipici del proprio essere: misteriosi e affascinanti, e raramente definibili una volta per tutte. Fai un paragone, che sembra tenere, e lui è già altrove”. Quale migliore fotografia può descrivere quella di un artista costantemente in cerca, vulcano di iniziative e idee, instancabile nella scena e fuori? Annota ancora Porcheddu: “Sembra inarrestabile, Theodoros: e certo non gli manca entusiasmo, determinazione coraggio, fantasia, capacità relazionale. E, soprattutto non viene mai meno la sua voglia di fare teatro, di lavorare con gli altri di interrogare i grandi testi del passato e del presente”. Ed è proprio da questo rapporto intimo del Maestro con il teatro che si muove lo studioso e reporter a caccia di quelle tessere _ dai segni alle figure, dagli spettacoli alla pedagogia _ indispensabili per comporre un quadro composito della figura di un artista e un intellettuale tra i più lucidi del nostro tempo. E a questo scopo, passo dopo passo faranno da guida studiosi importanti come Matthias Dreyer, lo psicanalista Konstantinos Arvanitakis, Erika Fischer Lichte, uomini di teatro come Heiner Muller, Eugenio Barba e Nicola Savarese, la studiosa Marianne McDonald, Antonio Attisani, Georgios Sampatakakis, il filosofo coreano Byung Chul Han.

Proseguendo nella sua indagine Porcheddu, dopo il viaggio, individua un’altra parola chiave: “l’impatto”. Il teatro di Terzopoulos, riflette l’Autore del volume è infatti “un teatro di impatto, che non lascia indifferenti” (e che alcuni studiosi non hanno esitato a paragonare a quello di Jerzy Grotowski). Sia che Terzopoulos affronti testi classici o contemporanei, scrive Porcheddu, il primo aspetto che colpisce è l’assetto spaziale. Va ricordato come il teatrante greco abbia collaborato a lungo con il geniale artista visuale, pittore e scultore, Yannis Kounellis con cui aveva notevoli affinità visionarie. Questi afferma che “il set non è solo un “décor” ma un elemento drammaturgico che porta in sé valenze artistiche e simboliche”. Citando l’allestimento di “Amor” (anticamera dell’Ade e parte di una trilogia assieme ad “Alarme” ed “Encore”) l’autore del volume descrive l’installazione scenica dello spettacolo in grado di generare un “senso d’attesa”, di energia che “propanava dal profondo in un crescendo di tensione che sarebbe poi esplosa”. Uno spazio “insondabile _ tra pieno e vuoto, che sarebbe piaciuto a Beckett _…”. L’estensore del libro conclude: “La cornice spaziale, dunque, in tutti gli spettacoli di Terzopoulos, è il preludio emotivo: significa porsi di fronte a un abisso, affascinante e seduttivo, ma pericolosissimo. È l’anticamera dell’Ade. Basta poco per perdersi e sprofondare”.

Ed ecco il successivo livello, dopo quello dell’impatto: la presenza del corpo dell’attore. Nel teatro di Terzopoulos attraverso una tecnica di scavo nel profondo “gli attori e le attrici di Attis – proprio come era per Cieslak – lavorano per raggiungere uno stato di estasi o trance e subito superarla nella consapevolezza scenica”. Il centro motore per il regista risiede nella regione pelvica: “il cosidetto “trigono”, il triangolo dell’energia che si cela nella parte bassa del busto all’altezza dei genitali”. Attore come sciamano che si ricollega “alle radici dimenticate dei testi antichi”. Terzopoulos guarda cioè a una storia che risale a più di 2500 anni, ne individua il cuore dell’energia sondando i confini di una storia fantastica:“carica di mistero, dolore, bellezza assoluta”. Una forza esplosiva che qualche studioso ha voluto accostare al teatro Noh giapponese, una tradizione in cui gli “attori mettono in gioco l’interezza del proprio corpo per cercare e comunicare segreti”. E il segreto, scrive Porcheddu, è “il terzo motivo più impalpabile, più inafferrabile, forse, eppure più profondo e radicale che segna l’impatto del teatro di Theodoros Terzopoulos. Il segreto: ciò che “non è detto né dicibile. Forse l’invisibile”.

“Paska Devaddis” Teatro Sardegna, Nora, estate 1999 Regia di Theodoros Terzopoulos (foto Marina Anenta)

Il viaggio continua. Da scavo nelle profondità dell’individuo a quella dell’”archetipo collettivo, nell’immaginario remoto dell’umanità”. Per definire il culmine di quel viaggio nel profondo Terzopoulos usa il termine “Manìa” che – spiega Porcheddu _ richiede “pathos” e mira alla trance. Attraverso la respirazione, la ripetizione ossessiva, l’uso della voce i performer “attivano una trasformazione profonda dal Sè” anche se poi, afferma il regista, è nell’estasi che l’attore trova “la sua strada a una realtà più densa di energia, più concentrata che è più vicino a Dio. Diventa simile a Dio. Diventa un semi-dio”.Insomma, chiarisce Andrea Porcheddu: “la molteplicità del Dio, la duplicità di Dioniso che si riverbera ancora come indicazione preziosa nel cammino compositivo del regista greco. Dioniso, il due-volte nato, continuamente risorge, attraversa i mondi, apre alla dualità, al doppio, all’Altro da sé. Non è un caso che il teatro sia dialogico, sia rito di distanza e riconoscenza, sia canto dell’uno e risposta del coro. Non è un caso che il teatro sia sguardo, ascolto, confronto tra scena e platea. Ogni volta ricominciare da zero, smembrarsi e ricostruirsi per ogni singolo spettatore, per ciascuno di noi”.Come riflette Terzopoulos stesso: il suo teatro è “un lungo viaggio nella terra della memoria”. Eros e Thanatos vengono “continuamente evocati nel tramite di Dioniso”: “Assieme alla morte _ dice il teatrante greco_ la nostra civiltà reprime il desiderio, come diceva Freud. E’ la nostra cultura, la nostra definizione di cultura. Ma noi abbiamo bisogno della morte per rinnovarci e per rinnovare i nostri sentimenti”. Ecco perchè analizza l’Autore de “Il respiro di Dioniso” Terzopoulos “non risente del tempo, non è contemporaneo; non c’è tecnologia, ma corpi e vita, memoria e inconscio”. Naturalmente nella sua storia di teatrante _ mette in guardia Porcheddu_numerose sono le influenze e i rapporti costruiti con la storia del teatro contemporaneo. Da Mejerchold al teatro della crudeltà di Artaud, Beckett, Brecht, Muller naturalmente, e poi il teatro delle Sorgenti di Grotowski e il Living Theatre. Non è un caso che proprio studiando questi teatranti Terzopoulos costruirà in sei mesi, dal dicembre 1985 al giugno 1986, l’allestimento de “Le Baccanti” di cui Andrea Porcheddu rende conto in modo preciso facendo luce su tutti i passaggi nella costruzione di questo allestimento che è poi fondamentale nell’opera di Terzopoulos e introduttivo agli spettacoli successivi. E’ qui che prenderà forma il “metodo”. A “Le Baccanti” seguiranno poi una “MedeaMaterial”, “Theo e Heiner”, “Libertà a Brema” di Rainer W. Fassbinder, “Quartet”, “La liberazione di Prometeo”, “Hamletmachine” presentato anche al Piccolo di Milano nel 2015. E ancora: “Prometeo incatenato”, la trilogia: “Alarme”, “Amor” ed “Encore”, “Antigone”, “Paska Devaddis”, “Le Troiane”.

“Paska Devaddis” Teatro Sardegna, regia di Theoodoros Terzopoulos. Al centro l’attrice Lia Careddu (foto Marina Anenta)

Ma davvero tante e innumerevoli sono le regie di questo straordinario uomo di teatro di cui in “Il respiro di Dioniso” Andrea Porcheddu riporta testimonianze, recensioni, interviste corredandolo di significative immagini della scena, approfondendo altri indizi e interessanti paralleli: uno con Romeo Castellucci e la Societas Raffaello Sanzio che proprio l’anno de “Le Baccanti” , il 1986, debuttava con “Santa Sofia. Teatro Khmer”. Evoca anche un interessante filo sotterraneo, molto da esplorare, che legherebbe Therzopoulos al grande Tadeusz Kantor (il riferimento nasce in “Aiace”). Capitolo a sé stante la relazione del regista greco con il Belpaese. Un rapporto altalenante e poco proporzionato alla grandezza di questo teatrante di fama mondiale. Insomma Terzopoulos non è stato mai veramente adottato fino in fondo dal pubblico e dai teatri italiani e, spesso, la sua è stata una presenza in situazioni off, certamente di qualità ma marginali e militanti ma non di realtà istituzionali. Tranne il festival di Polverigi che lo chiamerà nel 1988 con la sua “MedeaMaterial” di Muller che sarà rappresentato anche al teatro romano di Nora vicino Cagliari, il Teatro di Vicenza che gli commissionerà una sontuosa “Antigone”. “Aiace la follia” a Genova. E tornando in Sardegna, il dramma barbaricino di “Paska Devaddis” con l’interpretazione dell’attrice Lia Careddu allestito con il Teatro Sardegna. Il racconto della stessa attrice sarda reso all’autore assieme a quelli di Fabrizio Gifuni, Paolo Musio e Galatea Ranzi sono per il volume un imprenscindibile corollario di esperienze vissute a contatto con Terzopoulos. Raccontano il quotidiano di un’arte vissuta fino in fondo, attimo dopo attimo. Fondamentali come la figura dell’attrice greca Aglaia Pappas che nei confronti di Andrea Porcheddu ha avuto un po’ il compito del Virgilio introducendolo all’arte del teatrante greco in un magico incontro avvenuto, sorprendentemente, “all’insegna degli dei” nelle pendici del monte Olimpo. Ed è il primo tassello dell’appassionante racconto di una formidabile storia di arte e di scena. Quella di un Maestro, autore di un teatro, per usare le parole di Heiner Muller, dove “il mito non è una favola, è esperienza condensata; il processo di prove non è la performance di un concetto drammatico, è l’avventura di un viaggio nei territori della memoria, una ricerca dell’unità perduta di corpo e linguaggio, di una parola come entità naturale…”. Di un teatrante che ha scelto come suo nume tutelare Dioniso. E non a caso. A questo proposito è lo stesso Theodoros Terzopoulos che dichiara: “Dioniso è il mio Dio. Non è una questione metaforica. Quando esclamo “oh Dio”, mi riferisco a Dioniso. Tutti gli uomini sono devoti a qualcuno o a qualcosa: io ho scelto il dio dell’energia, del teatro, della libertà, della rivoluzione, della follia. E questo ha reso migliore la mia vita. Non avrei accettato un dio al quale ci si debba inchinare: mi avrebbe fatto diventare fondamentalista. Voglio invece il dio della rivolta, della lotta, il dio dell’anarchia: e Dioniso, nella sua dimensione divina e umana, è dentro di noi.”

Una immagine del Maestro di teatro Theodoros Terzopoulos, regista e drammaturgo di origine greca direttore dell’Attis Theatre
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