
Teatro
Teatro, Il furore di “Erodiade” secondo Francesca Benedetti
Intervista alla grande attrice, presto novantenne, che si congeda dalle scene con il testo di Giovanni Testori, regia di Marco Carniti, in cartellone questi giorni al teatro Vascello di Roma. Francesca Benedetti collaborò con i più grandi: da Giorgio Strehler a Luca Ronconi
ROMA _Francesca Benedetti è l’immagine stessa del teatro. Appassionata come il fuoco poetico che cova dentro, determinata e riluttante come è quest’arte antica e moderna insieme capace di scatenare sentimenti e far battere i cuori. Un’arte che nelle grandi come è Benedetti, non finisce mai di stupire e consegna nuove sensazioni, palpitanti emozioni che restano nel tempo nei personaggi che ha vestito e ha fatto suoi. A novembre compirà novanta anni. E annuncia il ritiro. Per salutare le scene ha scelto così un testo di alta drammaticità come quello di “Erodiade”, suo mitico cavallo di battaglia e lo mette in scena il 25 e il 26 marzo al Teatro Vascello di Roma con la regia di Marco Carniti. Nella versione originale scritta per il teatro da Giovanni Testori il mito di questo personaggio viene ribaltato ed Erodiade è vista più come vittima che carnefice. Nella scena è protagonista di un lungo flusso verbale che racconta l’inizio della sua passione per Giovanni – quando fu conquistata dalla sua voce – come l’odio nato come conseguenza del suo rifiuto. Erodiade non più regina ma donna innamorata. Nella sua interpretazione Francesca Benedetti raggiunge le pieghe più intime di un dramma al femminile che mette in evidenza il conflitto tra religione e desiderio, timore divino e peccato, tragedia e poesia. Ma è tuttora un testo d’attualità?
“La grande poesia – risponde Francesca Benedetti – ha un pregio: di essere inattuale: ma anche di fare appello sempre e costantemente alle zone più imperscrutabili ed eterne dell’animo umano. Quando il pubblico teatrale crea un’assemblea, una comunità, le risposte che da settant’anni trovo in lui sono sempre le stesse: profonda adesione, enorme sensibilità, grande capacità di giudizio”.
Giovanni Testori. Questo straordinario scrittore e drammaturgo nato cento anni fa, celebre anche per la poliedrica attività ha sicuramente lasciato un segno forte nella scena contemporanea. Lei ha avuto una relazione speciale con questo autore fino a ricevere l’appellativo di musa ispiratrice. In che cosa consisteva la “specialità” del vostro rapporto intellettuale e teatrale?
“Un grande amore metaforico e metafisico. Giovanni era profondamente omosessuale, ma la carica di desiderio e di sensualità, in disaccordo con la sua educazione rigidamente cattolica e la sua profonda fede, sono state una connessione profonda fra noi. Uno slancio tragico verso qualcosa di irrealizzabile, la totalità dell’espressione corporea al di fuori di ogni condizionamento”.
Nel saggio “Il ventre del teatro” Testori indica come centrale della scena la parola. In particolare scrive che «Il luogo in cui il teatro è vero teatro, non è quello scenico, ma quello verbale, e risiede in una specifica, buia e fulgida, qualità carnale e motoria della parola». E, infatti, per lui il monologo è la vera espressione di un teatro che, come scrive nello stesso libro “non può essere azione, ma immobile prova religiosa del nucleo immutabile dell’esistenza”. Tutto questo è evidente nella “Trilogia” di quel periodo (1972-74) le messe in scena con la regia di Andrèe Ruth Shammah e l’interpretazione di Franco Parenti: “Ambleto”, “Edìpus” e “Macbetto”. In quest’ultima opera, scritta per lei da Testori, era in scena nei panni della Ledi. Cosa ricorda di quell’allestimento e di quel periodo? Quell’idea di teatro coltivata allora da Testori pensa abbia ha ancora oggi una sua validità?
“Ha detto benissimo e espresso in poche parole ciò che non potrei esprimere meglio. «Il luogo in cui il teatro è vero teatro, non è quello scenico, ma quello verbale, e risiede in una specifica, buia e fulgida, qualità carnale e motoria della parola»….”.
Qual’è in generale, secondo la sua idea, il lascito più importante di Giovanni Testori alla cultura italiana e al teatro europeo?
“Tutto. È stato un grande pittore, un grande giornalista e ha scoperto molti pittori dell’area nordica rimasti fino ad allora completamente dimenticati. Basta pensare a Sacro Monte che sembra partorito dalla sua mente infaticabile”.
Nasce ad Urbino e frequenta il corso dell’Accademia d’Arte Drammatica a Roma. Fu una passione da giovanissima a spingerla a fare l’attrice? Come venne accolta in casa la decisione di calcare il palcoscenico? Ricorda qualche collega di studi di quel corso? Ha poi tenuto rapporti con qualcuno di loro?
“Si con tutti i miei colleghi, da Orsini a Gian Maria Volontè, e la prego non mi faccia esercitare la memoria come può capire un po’ affaticata, per dire quanto ho imparato da loro e come sono debitrice a loro e ad Orazio Costa, maestro totale della parola, di tutta la mia formazione. Indimenticabile Orazio Costa. Quanto a Urbino io sono Urbino e Urbino è in me. La città più straordinaria del mondo, sede di tutte le mie memorie giovanili. Se vuole sapere le reazioni della mia famiglia, mia madre, allieva di Pirandello, che fu il relatore della sua tesi, minacciò seriamente di buttarsi dalla finestra”.
I primi passi li ha percorsi con Orazio Costa Giovanigli in “Ifigenia in Tauride” e poi ha lavorato con Proietti e Virgilio Gazzolo fino alla costituzione a Roma del Teatro Centouno diretto da Antonio Calenda. Aspirazioni e desideri di una giovane attrice: che sensazioni le vengono in mente?
“E’ stata bellissima la stagione del Teatro 101 cui arrivavo però già profondamente orientata. È stata un iniezione di entusiasmo e di generosità. Grazie Virginio Gazzolo. Grazie Antonio Calenda. E cosa dire del magistero del maestro Proietti”.
Nel 1980 l’incontro con Giorgio Strehler a Milano. Quanto fu importante per la sua carriera d’attrice?
“Che bella la mia Gerda. Che belle le carezze solidali di Giorgio Strehler!”
Non solo Strehler ma anche Luca Ronconi, regista visionario e grande sperimentatore. E pure Giancarlo Sepe, Missiroli, Perlini, Chèreau, Cobelli, Tiezzi… etc e tanti altri. Ha praticamente conosciuto e lavorato per il Gotha del teatro italiano, ma chi fu quello a lei più caro, quello che, oltre a Testori, ha lasciato una traccia importante nella sua vita d’artista?
“Credo Emilio Isgrò e il grande sindaco Corrao con i quali abbiamo fondato le Orestiadi sulle ceneri di Gibellina terremotata. Impresa quasi impossibile, ma da noi realizzata”.
Francesca Benedetti e il cinema. Al di là di una serie di titoli, non è mai sbocciato un vero grande amore. Come mai?
“Adesso ho un grande amore ricambiato con Marco Bellocchio che mi ha promesso di dedicarmi parte del suo prezioso tempo, nonostante le nostre venerabili età”.
Dopo il Vascello quali saranno i suoi futuri impegni?
“Nessuno. Se qualcuno non mi farà proposte all’altezza della mia avidità di assoluto….”
ERODIADE
di Giovanni Testori con Francesca Benedetti
Al Teatro Vascello di Roma, 25 e 26 marzo
Drammaturgia e Regia di Marco Carniti; Video Artist Francesco Scandale; Musiche Originali David Barittoni Aiuto regia Francesco Lonano; Produzione La Fabbrica dell’Attore in collaborazione con l’Associazione Giovanni Testori
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