Teatro
Teatro e nuova cittadinanza: che sarà del progetto Migrarti?
C’è un bel progetto creato dal Mibact, e non possiamo non darne conto: si chiama Migrarti, è stato inaugurato nel 2016, e continua a provocare effetti positivi. Voluto dall’allora Ministro Dario Franceschini, Migrarti – si legge nel sito www.migrarti.it – è «nato con l’obiettivo di coinvolgere le comunità di immigrati stabilmente residenti in Italia, con una particolare attenzione ai giovani di seconda generazione che fanno ormai parte integrante dal punto di vista umano, economico, culturale e lavorativo del tessuto sociale del nostro Paese (…) il bando Spettacolo è aperto a progetti di teatro, danza e musica, mentre quello Cinema a rassegne, cortometraggi e documentari. Entrambi i bandi hanno l’obiettivo di consolidare il legame con i “nuovi italiani”, riconoscendo e valorizzando le loro culture di provenienza. Dopo il successo delle edizioni precedenti, che hanno visto coinvolte numerose realtà istituzionali e associative, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ha raddoppiato i fondi. Per il 2017 ha investito un milione e seicentomila euro: MigrArti Cinema (750mila euro) e MigrArti Spettacolo (850mila euro), con la collaborazione del Mibact e dell’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali».
Non sono cifre altissime, vista l’urgenza dei temi trattati e l’importanza socioculturale a cascata, di simili iniziative, ma sono investimenti davvero fondamentali e lungimiranti. Si tratta di capire ora, e per il futuro, che sorte avrà questo progetto pilota: lo chiudiamo? Facciamo finta di nulla? Lo lasciamo lì, come tante invenzioni sprecate del passato? Speriamo francamente, invece, che non solo potrà essere rinnovato, ma sarà addirittura “blindato”! Ovvero sistematizzato, reso dunque stabile e concreto: un investimento strutturale per il futuro. Pensando non solo al teatro e all’arte, ma al nostro Paese.
Staremo a vedere come si regolerà il ministro Alberto Bonisoli, che pure sta mostrando una ampia disponibilità all’ascolto e al confronto, in un governo che, invece, preferisce come è noto politiche di grande e feroce chiusura sul tema immigrazioni.
Intanto, però, Migrarti ha dato frutti insperati: disegna un mondo come ci ostiniamo a volere, anche più semplice di quel che pensiamo, fatto di serena accoglienza, di dialettica e confronto, di condivisione gioiosa di arti e talenti. Di ascolto e dignità, insomma, senza tante paure.
Sono molti gli appuntamenti in cartellone per il 2018, da Palermo a Bologna, da Genova (prossimamente grazie al vivacissimo Suq Festival) a Milano, da Ancora a Modena, da Torino a Capannori (con la danza di Aldes: ), da Amante a Roma – il cartellone è consultabile sul sito.
In particolare, provo a dar veloce conto di due esperienze che mi sono sembrate particolarmente significative.
A Roma, tra i quartieri Ostiense e Tor Pignattara, l’Associazione Asinitas Onlus ha messo in campo una squadra di operatori, guidati con sapienza ed entusiasmo dalla psicoterapeuta Cecilia Bartoli, che coniuga corsi di italiano per stranieri ad attività teatrali. Queste si sono concluse con saggi-spettacolo, andati in scena in un affollatissimo Teatro India. Va detto, a questo proposito, che il Teatro di Roma ha creato un contenitore intrigante, chiamato “Roma-città-mondo, festa teatrale dell’intercultura” che è stato un bellissimo successo di pubblico. Tra le iniziative della Festa laboratori, incontri, spettacoli: c’erano per citarne solo alcuni, anche Famiglia, diretto dalla brava Valentina Esposito, poi Deflorian-Tagliarini, e, per l’appunto, il duplice esito dei laboratori di Asinitas. I due lavori sono stati guidati da Emanuela Ponzano e Alessandra Cutolo.
Il primo è Narikhonto, voci oltre confine, un attraversamento del canone favolistico occidentale, che sarebbe piaciuto a Propp, affidato a un potentissimo gruppo di donne immigrate. Voci, accenti diversi, corpi e fisicità diverse che compongono un coro tutto al femminile, multietnico, ironico, giocoso. Tra teatro delle ombre e gag comiche, il mondo di Alice si mescola a Barbablu e ad altre leggende.
Il secondo spettacolo, intitolato Indidy, Mamady e il dono, è un attraversamento di Edipo a Colono, in cui il protagonista e la figlia-sorella Antigone sono immigrati, “fratelli di viaggio”, chiamati a confrontarsi con cittadini che rispecchiano varie posizioni politiche, teoriche, umane rispetto al tema, sempre vivo, dell’accoglienza. E la musica tradizionale della Kora si mescola dunque al rap degli immigrati di seconda generazione, lo spiritismo all’hip-hop.
Non tutto è condivisibile di questi allestimenti, specie per l’eccesso di prospettiva “registica-dirigistica” che rischia di travalicare e vanificare tensioni e slanci di chi sta in scena, ma di fatto entrambi i lavori mostrano una tendenza in atto, una possibilità, un tentativo di rilettura del canone europeo, messo (finalmente) in discussione.
A Viareggio ha avuto un esito vivacissimo il progetto che i registi-attori Alessandro Garzella e Satyamo Hernandez hanno dato alla Festa della Cittadinanza Universale. Un happening lungo un giorno, impastato di arte, musica, teatro, cibo, danza, con un segno fortissimo – impresso dal Maestro Michelangelo Pistoletto: la consegna del Passaporto di Apolide Universale. Commovente, ancorché simbolica, iniziativa, che ha come emblema il “terzo paradiso” di Pistoletto, per un’idea di accoglienza e cittadinanza libera, aperta, fluida e ancora umanissima. Un progetto, nato anche grazie al sostegno del Comune e della Fondazione Carnevale, che si potrebbe estendere, diventare rivendicazione umana e politica: «Il portatore di questo passaporto – si legge in prima pagina – chiede alle Autorità competenti di permettere al cittadino universale di oltrepassare senza indugio né difficoltà ogni confine in terra, in cielo e in mare e, in casi di necessità, di garantire ogni aiuto e protezione». Bello, no?
Dunque erano in tanti a festeggiare sul lungomare di Viareggio, a seguire una parata che metteva assieme persone segnate da “diverse diversità”: malati di mente, immigrati, e – perché no? – attori, danzatori, musicisti, (artisti da sempre ai margini del “bon ton” sociale). Percussioni, danza, piccole stazioni dove assistere a sequenze emblematiche, immediate, toccanti. La parata partiva dalla bella Galleria d’arte contemporanea viareggina, davvero da visitare per le opere in mostra, e approdava a Villa Paolina, spazio subito e pacificamente invaso dagli spettacoli.
In un giardino che fu sempre aperto all’arte e alla poesia – Paolina Bonaparte amava la scrittura di Percy B. Shelley morto proprio nel mare antistante l’edificio – risuonano oggi percussioni afro e drammaturgie liriche, dello stesso Garzella, che indagano e ribaltano i luoghi comuni sul “viaggio”. Lo spettacolo, come spesso accade nel teatro di Garzella, assume subito i toni feroci e ironici di una parabola nera, uno squarcio sospeso nel tempo e nello spazio che allinea archetipi, quasi un “morality play” inasprito dallo spirito toscanaccio, eppure impregnato di stupore, di candore quasi infantile. Un affresco, insomma, impregnato di umanità e compassione, in cui queste figurine bistrattate dalla vita diventano paradigmi di spaesamento, di sofferenze e dolori antichi, abbracciati in uno sguardo empatico che tutti avvolge – attori e spettatori.
Ecco allora un grottesco despota in cappello militare che declama gli slogan razzisti di questi tempi, di fronte a quella gente sospesa, impaurita, rinchiusa da barriere mentali e reali. Il viaggio, la fuga, l’amore, il sogno, l’incontro: sono questi i timidi appigli, le fragili zattere cui ci aggrappiamo per non naufragare in un mare di scelleratezze e razzismi programmatici.
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