Teatro

Teatro e lirica, Il doppio “Giro” di Davide Livermore

21 Ottobre 2024

GENOVA _ Diavolo di un Livermore! Non si può non riconoscere al regista conosciuto internazionalmente per le sue intuizioni e le originali messe in scene, che non abbia il dono di saper costruire, attorno alle prime, stupore e curiosità con atti imprevedibili! L’ultima, dopo essersi affidato alla penna di Henry James come fonte ispiratrice è un fatto di interessante significato politico. Eh sì, perché al regista, non è bastato solo affrontare un testo famoso come “Giro di vite” (trasformato in un meticoloso e immaginifico adattamento del testo da parte di Carlo Sciaccaluga), coadiuvato da un ottimo cast d’attori, ma ha puntato al raddoppio ripescando il libretto curato da Mafanwy Piper per la bellissima operetta “The turn of screw “. Anche qui è rispettato il titolo originale del racconto lungo di James, riletto dal geniale compositore Benjamin Britten in una splendida partitura musicale. E così, non un solo allestimento ma due! Questo l’inedito progetto: unire la prosa alla lirica. Parola-trattino-canto e note musicali. Una scommessa possibile a Genova grazie alla collaborazione con la Fondazione Lirica del Teatro Carlo Felice che, contestualmente a quella dell’ ”Ivo Chiesa” , ha inaugurato la sua stagione, prendendo in carico lo spettacolo musicale. Debutto congiunto così delle due messe in scena, firmate entrambe da Livermore. Si parte con la prosa e dopo un quarto d’ora di pausa si riprende con la musica. Una traccia per il futuro che potrebbe diventare modello per rinnovare certe asfittiche sale di prosa e di concerto disseminate in mezza Italia. La scommessa è degna di nota e potrebbe essere foriera di interessanti sviluppi, non solo per capolavori, anche dimenticati del passato, ma come occasione di sperimentazione.

L’istitutrice miss Giddens (Linda Gennari) con Flora (Ludovica Iannetti). Sullo sfondo Mrs Grose (Gaia Aprea) in “Il Giro della Vite” (Fotografia Federico Pitto)

Così sostiene lo stesso David Livermore direttore del Teatro Nazionale di Genova. “…i teatri non sono monumenti, ma sono quegli ambienti che il designer Ezio Manzini ha definito “spazi di opportunità”, ovvero luoghi in cui si offrono “possibilità di espressione, confronto, ricerca di soluzioni a problemi e apertura verso nuove prospettive”. Fermo immagine. Necessario soffermarsi sullo scritto di Henry James e di conseguenza sul nocciolo duro dell’allestimento (anzi dei due allestimenti).Racconto gotico, ritenuto il top del genere, “Il giro di vite” è una “ghost story” ambientata nella casa di campagna a Bly, in Inghilterra. Tra le atmosfere cupe di quelle stanze una trama assai semplice. La signorina Giddens viene assunta da un facoltoso londinese, tutore di due nipoti orfani, Flora e Miles. Unica richiesta: non intende essere disturbato nella sua vita per qualsiasi motivo. L’istitutrice accetta la sfida e inizia ad occuparsi dei ragazzi intrattenendo una buona relazione con la governante, la signora Groves. Ma nella casa iniziano ad apparire sinistre e innaturali figure: quella del cameriere Quint e della precedente istitutrice, signorina Jessel, entrambi scomparsi. Il primo, deceduto dopo una rovinosa caduta, la seconda in circostanze misteriose. Il tentativo dei due fantasmi è di impadronirsi delle volontà dei bambini. In particolare appare assai stretto e morboso il rapporto tra Quint e Miles, tale da addombrare trascorsi di violenze ed abusi sessuali. Dal canto suo, lo spettro di Jessel si comporta nello stesso modo con Flora. Impossibile la comunicazione tra Giddens e i due ragazzi, soggiogati apparentemente da queste presenze e senza un aiuto concreto dalla governante. La situazione cresce di tensione fino ad esplodere (Quint esclamerà che “l’innocenza è caduta”).

I residenti della villa di Bly assieme ai due fantasmi si recano alla messa della domenica in “Il Giro di Vite” in scena al teatro “Ivo Chiesa” di Genova (Foto di Federico Pitto)

Giddens, nel tentativo di strappare i ragazzi da queste nefande attrazioni riuscirà a far parlare Miles sui reali motivi per cui è stato espulso dal college dove studiava. In quell’attimo apparirà il fantasma di Quint contro la cui ombra il ragazzo urlerà di essere il demonio. Nonostante lo scudo di Giddens, Miles morirà tra le sue braccia. Per quanto semplice è la storia questa tende a sfuggire in modo ambiguo: ciò che appare spesso non è, o potrebbe non essere vero. Roba da riempire i quaderni di Freud e Jung messi assieme.

Quelle ombre, quei fantasmi: chi sono realmente? Non si dimentichi che il testo venne pubblicato dall’autore nel 1898, in un’epoca in cui spettri e sedute spiritiche erano ingredienti di racconti del genere gotico. Lo stesso James poi, era attrato da casi misteriosi e, in diversi, hanno messo in evidenza come la figura stessa della istitutrice può essere ricondotta ai volumi de “I misteri di Udolpho” del 1794 di Ann Radcliffe, libro antesignano del romanzo gotico, citato dallo stesso scrittore americano ma naturalizzato inglese, in “Giro di vite”.

L’allestimento di Livermore recupera gli elementi di ambiguità mentre il racconto, sempre in bilico tra realtà e apparenze, procede a passi spediti verso il dramma, gettando luci sinistre su eventuali verità nascoste di esistenze cresciute a contattto con il Male. C’è una velata allusione a possibili abusi perpetuati ai minori da Quint e miss Jessel che riporta alla memoria la diabolica coppia formata da Regina e Attila (interpretati da Laura Betti e Donald Sutherland) nei panni di un caporione fascista al soldo degli agrari nel film “Novecento” di Bernardo Bertolucci, che nell’Atto secondo della pellicola violenteranno e uccideranno in modo feroce il figlio adolescente dei coniugi Pioppi (nel film Alida Valli e Pietro Longari Ponzoni). Ma c’è pure il possibile deragliamento della istitutrice, l’ottima Linda Gennari, che da amorevole e protettiva diventerà sempre più nevrotica e preda lei stessa di visioni, fino ad assumere i contorni di un personaggio hitchicokiano sul quale grava il peso più oneroso del dramma.

Un altro momento di “Giro di Vite” con le apparizioni dei fantasmi  Quintessenziare e Jessel ai ragazzi Miles e Flora (Fotografia di Federico Pitto)

Legata scrupolosamente al testo originale con l’orchestra del “Carlo Felice” diretta efficacemente dalla bacchetta di Riccardo Minasi anche l’opera “The Turn of the Screw” si avvale di un cast di livello dove, accanto agli “adulti” (Valentino Buzza nei panni di Quint, Karen Gardeazabal in quelli della Istitutrice, Polly Leech in Mrs Grose e Marianna Mappa, negli altri di Miss Jessel) hanno guadagnato più di una nota di merito i giovani cantanti Oliver Barlow, un perfetto Miles e Lucy Barlow in una più che credibile Flora.

Giudizio da riprendere pari anche per la parte teatrale dei due giovani attori (Luigi Bignone è Miles mentre Ludovica Iannetti è Flora). Accanto a loro attori di notevole presenza. Ambiguo e misterioso Aleph Viola nel ruolo di Peter Quint, vera incarnazione del Male, una ottima Gaia Aprea negli abiti della governante Mrs Grose e Virginia Campolucci in quelli del fantasma di Miss Jessel. Linda Gennari nel ruolo di istitutrice via via indossa tutte le sfumature dal bianco al nero di una interpretazione appassionata, capace di seminare dubbi e quesiti nello spettatore, come lo stesso Henry James avrebbe probabilmente apprezzato. Cosa è successo d’improvviso alla istitutrice così gentile? Perchè è cambiata? Ora è nervosa, e sembra perdere pazienza e ragione reagendo in maniera scomposta davanti a Flora che la rigetta e anche lo stesso Miles l’affronta sospettoso e guardingo…

Gli spettri di Quint e miss Jessel alle spalle dell’istitutrice miss Giddens nell’operetta di Benjamin Britten”The Turn of the Screw” (Fotografia di Federico Pitto)

La regia di David Livermore sfodera la consueta abilità nell’utilizzare materiali diversi, senza forzare la mano, lasciando trasparire in controluce interrogativi inquietanti. E poi c’è l’attenzione per il ritmo che nei lavori di questo regista è essenziale nel dare respiro a tutta l’opera. D’altro canto a Livermore non è certo sconosciuta l’arte del melodramma… Ed ecco quindi la musica, anche in “Giro di vite” giocare un ruolo strategico, ben oltre il mero accompagnamento sonoro. Elettrica e nervosa, composta, e anche eseguita, da Giua, costruisce e anticipa i cambi di umore, citando a tratti anche Britten, rilanciando umori e sinistre acidità rock.

E poi ci sono le scene di Manuel Zuriaga: quinte alte e semoventi a sfidare il cielo con un solo motivo stilizzato nella tappezzeria color acciaio che con i suoi cambi di posizione, anche repentini, assieme a un geometrico gioco di luci di Antonio Castro accompagna il flusso delle emozioni passando immediatamente da uno stato di falsa serenità a quella di inquietudine, per giungere infine a chiusure claustrofobiche e strettoie labirintiche. Quasi una seconda pelle su scena e personaggi. Design e movimenti rivisti a ricalco quasi nella operetta andata in scena successivamente, dove però il ritmo e i movimenti dei cantanti sono più sostenuti, assolutamente funzionali allo scorrere di una musica complessa ma di grande godibilità. Musica di istinto teatrale con un tema introduttivo in grado di conquistare subito all’ascolto. Una partitura intrigante che accompagna in crescendo lo sviluppo del racconto cantato e agito, tale da suggerire anche possibili risvolti e percorsi cinematografici. Un lavoro sicuramente impegnativo, ma che certifica come lo scambio prosa-lirica potrebbe rappresentare una buona opportunità per il futuro.

La cantante Karen Gardeazabal nei panni dell’istitutrice miss Giddens nell’operetta “The Turn of the Screw” (Fotografia di Federico Pitto)
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