Teatro

Teatro di Lido Adriano, il volo degli Uccelli verso la libertà

3 Giugno 2023

Il Merlo domandò: Siamo sicuri che il Simorgh esista?

Upupa: Sì. Una delle sue penne cadde in Cina nel mezzo della notte e la sua fama si sparse per il mondo intero. Un disegno è stato fatto di questa penna, e tutti ne portano l’impronta nel cuore….

Esterno giorno. Acqua e sabbia. Un uomo in abito blu, s’immerge nel mare fino alle ginocchia. Con una bacchetta improvvisata, il ramo di un albero portato a riva dalla corrente, inizia a dirigere le onde come fossero parti di un’orchestra: un Profeta e una bambina sulla spiaggia guardano in silenzio.

Lido Adriano. Lungomare, frazione di Ravenna. Più o meno a metà, in via Parini, c’è il Cisim. Laddove una volta mosaicisti di tutto il mondo sperimentavano oggi c’è una casa del popolo del tempo meticcio. Nel saggio “Il mosaico attraverso i secoli” Henri Lavagne dice che il problema fondamentale dell’arte del mosaico sia “come esprimere la continuità della forma partendo dalla discontinuità del materiale”. Il Cisim dalla sua nascita, in cui ha messo insieme, rappers, artisti di street art e teatranti come Luigi Dadina, cofondatore del Teatro delle Albe, si dà “ancora l’obiettivo di accostare tessere, in un insieme in cui la giustapposizione e la diversità dei componenti appaiono caratteristiche più rilevanti che non gli elementi di unità. Per chi osservi l’insieme ponendosi ad una certa distanza, questa mantiene una sua specifica essenza, creando immagini nuove e inaspettate”.

Primo atto de “Il Verbo degli Uccelli” del Grande Teatro di Lido Adriano. L’attore Max Penombra (foto Nicola Baldazzi)

Cisim e Lido Adriano sono due realtà interconnesse. Luoghi di un comune sentire. Segmenti di una comunità che ha una storia complessa fatta di culture che si incrociano, dolori e nostalgie comuni e differenti. Lotte quotidiane per sopravvivere e affermare il bene comune. Settemila e più anime. Oltre ottanta per cento immigrati provenienti da regioni italiane, dalla Campania alla Calabria e dall’estero. Il quaranta per cento di origine extracomunitaria: macedoni in maggioranza, albanesi, nigeriani, senegalesi. Qui si registra il più alto numero di minorenni e nascite. Da record la quantità di idiomi parlati: una sessantina circa.

Quale altro luogo, meglio di questo, per iniziare un viaggio di conoscenza come quello del poema “Mantiq At Tayr-il Verbo degli Uccelli” di A Farid ad Din Attar, poeta persiano del dodicesimo secolo?  Unracconto amato dai teatranti. Ultimo in ordine di tempo è il regista Arnaldo Punzo della Compagnia della Fortezza – questo anno riceverà il Leone d’oro alla carriera dalla Biennale Teatro di Venezia- che lo scorso anno per il suo immaginifico “Naturae-Valle della Permanenza”, messo in scena a Volterra si è in parte ispirato al libro di Attar.

L’attore Max Penombra in “Il Verbo degli Uccelli” entra dentro il mare a dirigere le onde (Foto Nicola Baldazzi)

Ad averne per primo sposato la magia visionaria fu Peter Brook con la messa in scena seminale del 1979 de “La Conference des Oiseaux” da un adattamento teatrale di Jean-Claude Carrière nel Chiostro delle Carmelitane per il programma del Festival di Avignone. Ed è proprio a questa pietra miliare del teatro contemporaneo che occorre guardare per capire il senso artistico e il significato politico dell’allestimento al Cisim del Grande Teatro di Lido Adriano. La straordinaria portata ideologica di un Maestro come Brook, in primis, che ha lasciato una eredità molto più profonda di quanto si possa immaginare e di cui “Gli Uccelli” di Dadina restituiscono nella messa in scena, la visione di un teatro essenziale, costruito con pochi elementi ma lasciando ampia importanza allo spazio che, via via, nello svolgersi drammatico, viene occupato, interagito e vissuto dagli attori. Alimentato dai gesti e dai racconti, diventa subito inedito luogo di poesia. Per limpida magia l’immaginazione prende così il posto di quella essenzialità, mentre la parola degli attori dà forma ai sogni, caricando di energia la visione teatrale. Così accade nel teatro all’aperto del giardino del Cisim, dove le mura della costruzione, dipinte di nero, fanno da fondale fantastico ad un orizzonte oscuro, dove sembra intravedersi la sommità della montagna Qaf: qui si trova l’albero del Tubà sulla cui cima vive il leggendario re di tutti gli uccelli, cioè Simorgh... E’ questa la meta verso la quale l’upupa, il mitico uccello di Salomone, guiderà la brigata degli uccelli.

Un’orchestra e una cantante accolgono nel giardino del Cisim del Lido Adriano il pubblico e gli attori de “Il Verbo degli Uccelli”

Un attimo prima, dopo i riti propiziatori, il gruppo degli attori abbigliati in gran parte con tuniche color terra -una massa di cento persone- guidati dalla musica di un ottimo quartetto e il canto coinvolgente di Jessica Doccioli in una intensa versione di “Mi votu e mi rivotu” della grande Rosa Balistreri (eseguita con una stupefacente perfezione) e la successiva ripresa rap di Lanfranco Vicari prende posto, riunendosi in piccole cerchie, nello spazio davanti al pubblico. Qui si svolge l’assemblea degli uccelli che, desiderosi di trovare finalmente un re vengono esortati dall’Upupa a prendere il volo, mentre avverte: “La strada per arrivare a lui è ignota” e “ ci vorrebbe un cuor di leone per affrontarla”. Da solo forse no, ma in compagnia la sfida potrebbe pure tentarsi. Ed è da questo momento che “Tutti gli uccelli presero a fantasticare su quel glorioso re. Un ardente desiderio di lui si impadronì dei loro cuori. Si fecero avanti compatti, ormai decisi a partire”. Anche se, “essendo la via lunga e difficile furono subito presi dall’angoscia della partenza e molti cominciarono ad accampare scuse e pretesti”.

Eppure si parte. Il grande volo ha inizio. Il viaggio alla ricerca di un re che forse non c’è dovrà superare tanti ostacoli e peripezie attraversando sette valli… fino ad assottigliare le file dei suoi cercatori. Un viaggio senza certezze, segnato dall’abbandono delle consuetudini, metafora di un cammino spirituale alla ricerca di se stessi.

“Il nostro punto di partenza -ricordava di quel periodo nomade Brook– eravamo noi stessi, ma per evitare di girare in tondo in un narcisismo pericoloso, è necessario appoggiarsi a qualcosa di più grande e più forte che proviene dall’esterno, che lancia sfide alla nostra comprensione costringendoci a guardare oltre quell’universo personale che proiettiamo davanti a noi in ogni momento e che confondiamo con la realtà”.

E andarono così all’assalto del Cielo. Uno, dieci, cento…

Il coro sedie in cerchio prima della assemblea degli uccelli nello spettacolo del Lido Adriano (foto Nicola Baldazzi)

Tra quegli uccelli che spiccarono dal 1970 il volo con Brook, dando vita a un nomadismo teatrale che li portò in Iran, Asia, Africa etc… c’erano attori inglesi come Helen Mirren, il giapponese Yoshi Oida, un bel manipolo di americani. La voglia di uscire dalla routine, andare oltre il proprio limite, scoprendo altri universi possibili per conoscere altre culture agitò quelle persone d’allora, attori, intellettuali, musicisti… “Ogni cultura esprime una diversa pagina dell’atlante interiore, ma la verità umana completa è globale, e il teatro è il luogo in cui il puzzle si può ricomporre” dice il teatrante inglese.

Tra gli uccelli viaggiatori emergono personalità diverse: l’usignolo innamorato del proprio canto, il pavone vanitoso per la sua bellezza, la colomba, la tortora, le gazze, il pappagallo, il falcone… E poi gli incontri con il pipistrello e l’eremita Heike dalla lunga barba bianca, perennemente in cerca di scoprire il perchè della vita di cui però non trova mai risposta. Forse perchè, suggerisce la colomba, pensa solo alla sua barba?

Il viaggio prosegue ed è una lunga traversata nel deserto dove il terreno è ingombro di uccelli morti. Ma la meta intravista non è come appare, a portata di mano, e l’upupa, guida spìrituale del gruppo avvisa che il viaggio non è finito. Simorgh è ancora lontano. Dopo tanto volare, ci sono le sette valli da attraversare: solo un piccolo drapello arriverà alla meta per scoprire che Simorgh altro non è che uno specchio dove si riflette la loro e la nostra immagine, perchè questo è il fine: riconoscere te stesso.

Scrive Attar: “Noi siamo uno specchio grande come il sole e chiunque in esso si guardi vede l’immagine di se stesso, del corpo e dell’anima. Poiché voi qui arrivaste in trenta, nello specchio apparite in trenta, ma se foste di più non temete di mostrarvi! Per quanto voi siate mutati vedete voi stessi e in verità voi avete visto esattamente voi stessi”.

Gli Uccelli decidono di seguire l’Upupa e volare alla ricerca del re (Foto Nicola Baldazzi)

“Il Verbo degli Uccelli” di Dadina è un’opera collettiva, corale. La linea parallela con Brook esiste e resiste in quanto forte fondamenta del contemporaneo, ma a differenza di quell’epoca rivolta allo studio esterno, trova qui -dentro un quadrato geografico ben preciso- la materia di confronto e ricerca interculturale e sociale. A realizzare infine, il miracolo del movimento e la gioiosa organizzazione scenica delle masse attorali è poi, naturalmente, la visione di un teatro majakovskijano inciso storicamente nel dna del Teatro delle Albe di cui Dadina è parte fondante.

La compagnia del Cisim ondeggia, si muove come una successione di onde, a tratti sembra che possa volare per davvero. Il ritmo è costante e non si perde mai, sembra quello di un musical a metà e i suoni, le arie musicali, accompagnano come un viatico un viaggio che scopre un forte risalto nei rapporti inter sociali, di gruppo e di territorio. Sono uccelli di mezza età che parlano napoletano, piccole colombe dall’accento maghrebino.Tutte le generazioni sono presenti. Dai più maturi ai giovanissimi. Gli uni accanto agli altri disegnano un nuovo mito contemporaneo nato dalle ceneri di quello antico persiano. Sa di condivisione, amore e compassione. Conoscenza della diversità e rispetto delle differenze. Sono straordinariamante coesi, simili e vicini. Uno vale cento e i cento valgono uno.

L’Upupa avvisa: “Attenti! Anche il nulla serba segreti”. Inizia l’ultimo, obliquo canto rap di Vicari.

“In volo ci siamo persi/ 
Costretti in questo corpo come un carcere
/ Forse siamo sempre Stati fermi/
Affoghiamo nelle pozzanghere

/ Che cosa cerchi dai fammi un ritratto
/ Per cercare un senso sul disastro
/ Sei sempre stato qui non hai mosso un passo”.

“Mantiq At-Tahir, il Verbo degli Uccelli” del Grande Teatro di Lido Adriano, prima di un lavoro pluriennale ha la direzione artistica di Luigi Dadina e Lanfranco Vicari, La regia di Luigi Dadina. Drammaturgia di Tahar Lamri. Direzione organizzaztiva di Federica Francesca Vicari. Scene di Alessandra Carini e Nicola Montalbini.. Composizione musiche e arrangiamenti di Francesco Giampaoli. Cori e testi rap di Lanfranco Vicari. Coordinamento musicale a cura di Francesco Giampaoli ed Enrico Bocchini. Narrazione e cura spazi scenici di Massimiliano Benini. Realizzazto per Ravenna Festival e la collaborazione di Ravenna Teatro/Teatro delle Albe.

Un altro momento de “Il Verbo degli Uccelli”  del Grande Teatro di Lido Adriano, regia di Luigi Dadina (Foto Nicola Baldazzi)

 

 

 

 

 

 

 

 

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